Informazione. Le persone cercano la verità, la soluzione a problemi, situazioni; ricercano la sana e giusta nozione che, aumentando la cultura, riesce a far comprendere meglio il perché di tante cose che accadono. Poi, successivamente, si possono mettere in atto delle strategie che migliorano il nostro modo di vivere, cioè il nostro benessere psico fisico, in relazione con gli altri individui e l’ ecosistema in cui viviamo. Ma guardatevi intorno e domandatevi se davvero stiamo andando nella direzione che dovrebbe portare a tutto ciò. Si parla di guerre a sfondo religioso, per davvero motivi insensati che annullano il valore della vita umana. L’ambiente in cui viviamo, piante e animali sta subendo i colpi più duri da che esiste l’uomo. L’inquinamento è alle stelle (forse dovremo andare proprio lì per sfuggirgli). La vita sociale, dominata dalla politica, non porta benefici, sottoforma di molte tematiche, tra quelle degne di nota direi il lavoro, le pensioni, la sicurezza e, veramente attuali, il degrado ambientale e l’integrazione. Ma, se a tutto o quasi c’è rimedio, la potenza del nostro stato sta nella sua infrastruttura politica, che dovrebbe farsi carico di tutto quanto non funziona e provvedere. Nonostante ci sia, sotto gli occhi di tutti, una necessità impellente che dovrebbe, ma non viene presa in considerazione: il tempo. Non ce n’è più. Basta con le lungaggini burocratiche. Basta con le lentezze inammissibili del nostro sistema giudiziario. Basta con la riduzione delle immissioni di co2dell’x% entro il 20xx. E sono solo le prime tre idee che mi sono venute alla mano, ma ce ne sono altre. E’ ora di farla finita con le attese. Un governo, qualunque esso sia, deve iniziare a fare da subito. I processi agli assassini devono assicurare una pena certa entro tempi diciamo, cento volte inferiori agli standard dei giudici che fretta di certo, non ne hanno, anzi. E il clima, per quanto sia ancora possibile, deve essere ricondotto alla sua natura, da domani mattina presto. Stop al petrolio e via, finalmente, alle auto elettriche, ormai è possibile da un pezzo. Ma quante spiegazioni ci vengono date a giustificazione di un processo curativo che non viene mai messo in opera, o tarda dieci anni a partire, che viene distorto e mal implementato. Ma qual è la ragione per cui si promette e poi non si mantiene? In generale, l’essere umano è un animale cosiddetto intelligente, che basa la propria esistenza su valori. Il problema è quando questi vengono meno, soppiantati da mania di potere temporale. Non si tratta di super eroi marvel, ma di ricconi possidenti giacimenti petroliferi, personaggi di spicco della politica e di altre caste. Essi si illudono che la loro alta remunerazione economica, la carica che rivestono, sia in grado di assicurare il diritto di fare quel che vogliono, oltre a vita lunga e agiata. In realtà, queste persone hanno indubbiamente un raggio d’azione molto ampio, ma non lo adoperano per fare del bene. Solo per arricchirsi, a discapito del resto dell’umanità. Ma se tutto questo porta anche alla distruzione ambientale, non temono per la loro salute? No! Questi convinti semi Dei, raggiungono la loro posizione spesso in età avanzata o comunque matura, 50, 60 o anche 70 anni e passa. Una cosa la sanno interiormente: metà o più della loro vita è passata, direi che pochi anni rimangono a loro disposizione. E allora che fare? Rovinarsi gli ultimi anni con un programma di ripristino delle foreste che non vedranno mai pulite e folte, se non nei loro ricordi di bambini? Meglio accentrare su di sé tutto il benessere economico e politico, anche se questo sarà il preludio della distruzione globale alla quale loro non parteciperanno. La torta delle belle cose l’hanno mangiata quasi tutta. Se ne sono accorti da un pezzo, ma non fanno niente. Speriamo che prendano coscienza affogando nella vergogna. Tratterò più diffusamente questo tema in un articolo apposito. Lo spazio a mia disposizione termina qui e non posso che augurarvi Buon Natale.
Cari amici, nuntio vobis: eccovi delle belle novità! Ci pensate, fare capodanno a Cuba: come sarebbe? Se venite con noi, si fa! Con serio impegno ci diamo da fare per offrire a ipo e non vedenti viaggi realmente godibili e chi viaggia con noi ci premia con la sua stima e la sua fiducia: segno che lavoriamo come si deve. Se volete, vi mettiamo in contatto con chi ha già viaggiato con noi, così vi confrontate. Ed ecco i viaggi da qui a capodanno. Prima la lista in breve, poi descrizioni dei viaggi. C'è un asterisco all'inizio di ogni descrizione. Chiedeteci i programmi dettagliati e ve li manderemo: qui non li metto per non farla troppo lunga. In fondo trovate una proposta di sottoscrizione in favore della ricerca sulla retinite pigmentosa. Lisbona-Porto, dal 21 al 25 novembre Guatemala e Belize, dall’8 al 22 dicembre - ultimi posti! Ancona e Museo Omero, 8-9 dicembre Cuba, dal 28 dicembre al 13 gennaio Come sempre, ringraziamo le associazioni Esplora (Venezia), Noisy Vision (Berlino) e The Labyrinth (Guatemala) per la collaborazione. * Lisbona-Porto 21-25 novembre: Ad ascoltare dal vivo la nostalgia del Fado, in una taverna, bevendo Porto o Madera, se preferite; a seguire le orme degli Arabi che qui hanno vissuto diversi secoli, ad ascoltare la voce dell'oceano, da quelle spiagge al limite di un continente da cui salparono Vasco De Gama e Magellano quando il Portogallo era una superpotenza, a sentire le stesse onde in quella loro parlata dolce che sa di genovese! Poi saremo al cospetto di monasteri come fortezze e forse scopriremo le cicatrici di una non dimenticata dittatura. Da Lisbona, a Porto a gustare una cucina che mescola i sapori del mare con quelli delle lontane colonie. Costi: 1000€, (750 con tuo accompagnatore), a persona, più volo e vitto. — * Ancona, 8-9 dicembre: In questa breve fuga di fine settimana andremo al Museo tattile Omero, una eccellenza a livello mondiale. Già che ci siamo, ne approfitteremo per visitare il centro storico, compresa una bella mangiata di pesce. Costo 190 euro a persona, tutto compreso tranne i due veloci spuntini di mezzogiorno. — * Guatemala 8-22 dicembre: Un’avventura che vi porterà tra mercati indigeni, la storia, l'artigianato, la cultura e la spiritualità dei discendenti degli antichi Maya, a provare i loro strumenti musicali, la loro arte della tessitura, a pescare, cenare e persino abitare con loro. Parteciperemo alle loro cerimonie, conoscendo piante, animali, bellezze naturali, ma anche i reperti archeologici del passato e le splendide realizzazioni comunitarie del presente, caratterizzate da eco-sostenibilità, sicurezza, solidarietà e uguaglianza di genere. Partecipare a questa esperienza significa anche contribuire economicamente al sostentamento dei piccoli gruppi etnici guatemaltechi. Parte delle attività saranno pagate direttamente ai locali. Costi: 2690€, (2290 con tuo accompagnatore), a persona, vitto e alloggio compresi tranne 5 pasti, escluso volo. — * Cuba, dal 28 dicembre al 13 gennaio: Il gruppo per questo viaggio è ancora in corso di formazione, e i prezzi da definire (anche se si aggireranno intorno ai 2200 € più vitto e volo), ma presto presenteremo il ricco programma sviluppato da Marta! Se interessati, vi invitiamo a farvi vivi al più presto ai contatti soliti. #Victor4RP, Maratona per la Retinite Pigmentosa A questo link trovate una spiegazione dettagliata e un'intervista a Victor. Victor è cieco a causa della RP. Quando ha chiesto di trasformare la sua Maratona di Monaco in una campagna di sensibilizzazione, l'associazione Noisy Vision ha accettato la sfida provando a , trasformare i suoi metri in euro. Stanno tentando di puntare in alto, cercando di raccogliere 42195 Euro che saranno donati al National Eye Institute negli Stati Uniti e al TIGEM di Napoli. Anche se crediamo che la vita vada vissuta al massimo adesso, con i limiti che abbiamo, bisogna comunque provare a fare qualcosa per il futuro e le generazioni che verranno. Ecco il link diretto alla piattaforma https://www.gofundme.com/1eurox1metre Per informazioni e prenotazioni: info@girobussola.org Marta: 320 25 19 115 Luigi - 331 963 93 28 Paolo Giacomoni - 051 614 28 03 - 334 83 00 187 Buona serata Paolo
Per tutti voi lettori e lettrici questo breve annuncio per informarvi che sul nostro sito www.gio2000.it al link download/libri troverete altri due libri gentilmente offertici dal nostro amico scrittore Vito Coviello. Già nel numero scorso ci aveva offerto un altro libro intitolato "DONNE NEL BUIO". Adesso invece ci ha inviato altri due che si intitolano "SENTIERI DELL'ANIMA" e, ultimo suo lavoro, "SOFIA RAGGIO DI SOLE" e che tra l'altro Vito ha regalato a molti ospedali dove ci sono bambini malati ricoverati in lunga degenza in particolare oncologici perché trattasi proprio di un libro di favole. Io insieme alla Redazione tutta ringrazio il carissimo amico Vito Coviello, che con il suo grande cuore e con tanta semplicità, ci regala tante emozioni grazie ai suoi scritti che ci riportano ad ambientazioni e atmosfere oramai dimenticate o forse mai conosciute, che fanno tanto bene alla nostra anima. Carissimo Vito, semplicemente "grazie!"
Sono 11.260 le persone non vedenti in Campania. A colloquio con Raffaele Rosa, paganese, presidente della UICI Salerno, che ci spiega la missione dell'associazione. Sono 362mila le persone non vedenti in Italia, 11.260 solo in Campania. Un mondo che prende forma nel buio, modellato da suoni, profumi, carezze. È così anche per Raffaele Rosa, paganese che dal 4 giugno scorso è presidente della UICI Salerno, la sezione territoriale "Luigi Lamberti" dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. Raffaele ha 43 anni, è affetto da retinopatia degenerativa che lo ha reso cieco assoluto dalla nascita. È sposato con Elisabetta ed ha un bambino bellissimo, Biagio, di 9 anni. Raffaele ha frequentato la scuola speciale "Domenico Martuscelli" di Napoli e si è laureato in fisioterapia. Lavora all'Asl di via Ricco, a Nocera Inferiore, e sa con fermezza quali sono i suoi obiettivi. "È molto importante per la nostra associazione sensibilizzare cittadini e istituzioni sull'importanza della prevenzione, perché a livello mondiale 8 casi di disabilità visiva su 10 sono evitabili". La sezione di Scafati. Con questo intento, in occasione della “Giornata mondiale della vista”, lo scorso 11 ottobre è stata inaugurata la sezione zonale UICI di Scafati, che ha sede presso i locali della parrocchia San Francesco di Paola, in Corso Nazionale. "Abbiamo dedicato l'intera giornata al tema prevenzione - spiega Raffaele Rosa - con seminari e screening oculistici al mattino, presso il liceo scientifico "Caccioppoli", e nel pomeriggio screening oculistici gratuiti alla cittadinanza, presso la nuova sede di Scafati. Abbiamo operato circa 200 controlli e nei casi in cui sono stati riscontrati problemi rilevanti abbiamo sollecitato a fare controlli più approfonditi". Prossima apertura a Pagani. Il prossimo 20 novembre anche a Pagani, presso i locali del Centro Sociale, aprirà una sezione zonale UICI. "Già negli anni passati, come UICI Salerno avevamo pensato di aprire sedi zonali – ricorda Raffaele -, come quelle che già sono presenti ad Angri, Casal Velino, Oliveto Citra e Polla. In continuità con un lungo cammino, stiamo cercando di essere un presidio su tutto il territorio della provincia. È importante avere una sede zonale perché così veniamo incontro alle persone che hanno bisogno del nostro aiuto. Raccogliere le istanze, aiutarli ad avere accesso ai loro diritti, all'assistenza, all'inserimento lavorativo con appositi corsi di formazione, alla pensione. La nostra associazione si prende cura dei ciechi e degli ipovedenti dalla nascita fino all'ultimo giorno". Presso i locali della sede salernitana, infatti, oltre a svolgere tutte le pratiche per la tutela e l'assistenza dei ciechi e degli ipovedenti, è anche possibile effettuare controlli: "Abbiamo allestito un ambulatorio oculistico all'avanguardia con specialisti che operano gli accertamenti" continua il presidente. Oltre il sostegno concreto, la UICI Salerno non dimentica il sostegno spirituale: "Siamo andati anche a Roma, due volte, ad incontrare papa Francesco. È stata un'emozione fortissima".
Gentilissimi,
continuano le iniziative che il Messaggero di sant'Antonio dedica alle
persone non vedenti ed ipovedenti.
Anche per il 2019, è disponibile il tradizionale calendario antoniano, nelle
versioni braille e nero braille a caratteri ingranditi, per le persone non
vedenti ed ipovedenti.
L'immagine in copertina è in rilievo e ritrae sant'Antonio con in braccio
il bambino Gesù.
Il calendario viene spedito accompagnato da un rosario da dito o decina
rosario, in metallo, color argento, con i grani e la croce. La decina
rosario, consentirà di pregare utilizzando solo il pollice e l'indice. Si
può tenere in tasca, nel portamonete, o dove meglio si desidera e
utilizzarlo in qualsiasi momento. La sua maneggevolezza lo rende pratico e
sicuramente più durevole rispetto ai rosari tradizionali, più delicati.
E' possibile altresì ricevere la rivista mensile del Messaggero di
sant'Antonio in formato word via e-mail o su cd-rom formato MP3 via posta;
il costo dell'abbonamento annuale per sé o per una persona amica è di euro
10.00 e in entrambe i casi, verrà inviata come omaggio, la borsa multiuso,
in materiale anallergico tessuto non tessuto, color crema, con la scritta
"pane di sant'Antonio" e raffigurato, su un lato, un cuore con all'interno 2
spighe.
E' anche possibile corrispondere con i frati e richiedere preghiere anche
in braille e ricevere la risposta sia in braille sia in nero-braille a
caratteri ingranditi. Sono disponibili alcuni audiolibri e alcune opere in
braille e braille-nero a caratteri ingranditi delle Edizioni Messaggero
Padova.
Su richiesta, vengono organizzate visite guidate nella Basilica di
sant'Antonio, ai Musei e alle Mostre Antoniane; è anche disponibile un
plastico tattile del complesso santuariale Antoniano collocato all'ingresso
del chiostro della Magnolia. Anche il nuovo percorso multimediale
"Antonius", una mostra dedicata alla vita di sant'Antonio e alle opere
antoniane, è fruibile anche dalle persone non vedenti. La mostra si trova
nel chiostro del Generale all'interno del plesso antoniano. L'ingresso è
gratuito ed è aperta dal martedì alla domenica dalle 9,00 alle13,00 e dalle
14,00 alle 18,00. Non è necessaria la prenotazione
Inoltre nel sito internet www.santantonio.org
Amici e amiche rieccomi ancora qui a fornirvi il mio contributo in termini gastronomici! Siamo oramai nel periodo Natalizio e considerando anche che questo tempo e adatto a una cucina per così dire un po’ più "particolare" ho deciso di proporvi varie ricette a base di un frutto per troppo tempo ritenuto cibo dei poveri e forse quindi non tanto apprezzato. Per fortuna da qualche anno questa tendenza e cambiata e ora questo frutto che altro non è che la castagna fa bella mostra di se in svariate preparazioni di alta pasticceria e di cucina. Inoltre la castagna italiana e tra le piu pregiate, non a caso ha il primato della qualità. Siamo l'unico Paese europeo che vanta ben quattro varietà con il marchio europeo Igp (Indicazione di origine protetta): la Castagna del Monte Amiata, quella di Montella, il Marrone del Mugello, quello di Castel di Rio, e una DOP: la "farina di neccio di Garfagnana", destinata alla produzione dolciaria. Prima di passare alle ricette mi piace anche ricordarvi due rimedi della nonna ancora validissimi. L'infuso" delle foglie (una manciata in un litro d'acqua) è indicato nel catarro bronchiale, contro la dissenteria e la tosse convulsa. Il decotto delle bucce di castagna invece viene molto raccomandato per lavare i capelli biondi, essendo una tintura innocua e di pochissimo costo Partiamo subito con un gustoso antipasto che tra l'altro e molto economico e anche dal sapore particolarissimo! Radicchio castagne e prosciutto Ingredienti per 4 persone: Due cespi di radicchio di Treviso. 4 grosse fette di prosciutto san Daniele. 100 grammi di prosciutto stavolta tagliato a pezzettini piccoli. 40grosse castagne lessate e sbucciate. Aceto balsamico quanto basta e un pizzico di sale e un filo d'olio di oliva. Preparazione per 4 persone. Pulite e tagliate il radicchio in quattro pezzi che poi avvolgerete ognuno nella fetta di prosciutto magari aiutandovi con qualche stuzzicadenti per fermare il prosciutto stesso. Ora rosolateli in una padella con poco olio. Adesso rosolate il prosciutto a dadini insieme alle castagne grossolanamente sbriciolate. Quindi suddividete castagne prosciutto e radicchio in parti uguali in quattro piatti e se occorre aggiungete una puntina di sale e una bella spruzzata di aceto balsamico! E sempre in tema di antipasti eccone uno veramente originale e dal sapore particolare visto che contiene un abbinamento di sapori che consiste nel fondere la dolcezza della castagna lessa e il rustico sapore del fungo porcino secco.Provare per credere! Pane casereccio con castagne e funghi porcini Ingredienti per 4 persone: 300 grammi di castagne. 50 grammi di funghi porcini secchi. 50 grammi ddi burro. 4 grosse fette di pane casereccio. un ciuffo di prezzemolo. olio sale e pepe quanto ne occorre. Preparazione. Sbucciate le castagne, lessatele per 40 minuti, poi scolatele, eliminate le eventuali pellicine rimaste e tagliatele non troppo finemente. Mettete a bagno in acqua tiepida i funghi porcini secchi. Fate scaldare il burro, unitevi i funghi e fateli rosolare dolcemente; aggiungete le castagne e lasciate insaporire per 4 minuti mescolando; salate e pepate. Tritate 1 piccolo ciuffo di prezzemolo; imburrate leggermente 4 fette di pane casereccio, mettetele in forno e fatele tostare leggermente su entrambi i lati. Distribuite ora il composto di funghi e castagne sulle fette di pane, spolverizzate con il prezzemolo tritato e servite. Ora vi proporrò un gustosissimo e delicato risotto alle castagne! Risotto gustoso di castagne Ingredienti per 4 persone: 280 grammi di riso per risotti. 50--60 castagne lessate 120 grammi di scamorza affumicata brodo vegetale scalogno olio extra vergine di oliva, burro sale rosmarino vino bianco, parmigiano grattugiato. Preparazione Affettare sottilmente lo scalogno e farlo appassire in una padella con poco olio e un rametto di rosmarino avendo cura di non farlo bruciacchiare. Aggiungere ora le castagne ben sgusciate e farle rosolare per bene, quindi il riso e farlo tostare (ovvero ripassatelo nell'olio per qualche minuto), quindi bagnare con mezzo bicchiere di vino bianco e lasciare sfumare. COminciare a bagnare con i brodo ben caldo aggiungendolo di tanto in tanto fino a portare il riso a cottura. Raggiunta la cottura versare nel riso la scamorza tagliata a tocchetti un'abbondante grattuggiata di parmigiano ed un tocchetto di burro e mantecare. Quindi portare in tavola. Ora vi proporrò un altro primo che sicuramente rifarete ancora per tante volte perchè son sicuro che vi gusterà tantissimo! Gnocchi di castagne Ingredienti per 6 persone: Per la pasta: 150 grammi di farina 300 grammi di farina di castagne 2 dl di acqua un pizzico di sale. Per il condimento degli gnocchi: 100 grammi di ricotta 200 grammi di noci sgusciate 15 grammi di pinoli leggermente tostati 2 spicchi di aglio 1 dl di olio extravergine di oliva 50 grammi di parmigiano grattugiato 50 grammi di pecorino sardo grattugiato poco sale Preparazione. Setacciate insieme le farine sulla spianatoia, unite un pizzico di sale e impastate con l'acqua vigorosamente e a lungo, poi avvolgete l'impasto in una pellicola per alimenti e fatelo riposare 30 minuti. Staccatene un pezzo, ricavatene un c ilindretto grosso come un dito e tagliatelo a pezzetti di circa 1,5 cm, che passerete sul retro di una grattugia o sull'apposita tavoletta di legno a solchetti. Ripetete l'operazione fino a esaurimento dell'impasto. Mettete gli gnocchetti ad asciugare su un canovaccio infarinato. Ora preparate la salsa: pestate nel mortaio tutti gli ingredienti, ( se non avete il mortaio va bene anche un robot da cucina) eccetto i formaggi, fino a ottenere un composto fino e omogeneo. Versatelo in una terrina e unitevi i formaggi, mescolando bene. Lessate gli gnocchi in acqua salata, scolateli con il mestolo forato, versateli nel piatto di portata, condendo con l'intingolo preparato. Bene, ora invece passiamo ai secondi piatti!Questa ricetta molto facile usa le castagne come contorno. Fettina di maiale alle castagne Ingredienti per 4 persone: 400 grammi di castagne 2 foglie di alloro uno spicchio di aglio un rametto di timo un rametto di maggiorana 4 fettine di maiale da circa 150 grammi ciascuna 40 grammi di burro un dl di panna da cucina olio extra vergine di oliva sale e pepe quanto basta. Preparazione. Incidete con un taglietto la buccia delle castagne e lessatele per 40 minuti appena coperte di acqua. Sbucciatele, pulitele, eliminando qualsiasi residuo di pellicina, e passatele a uno schiacciapatate. Raccogliete il passato in una capace terrina. Spezzettate abbastanza finemente le foglie di alloro, tritate lo spicchio di aglio, le foglie del timo e della maggiorana e mescolate tutto in una ciotola. Spolverizzate la miscela sulle fettine di maiale. Bagnatele con 4 cucchiai di olio extravergine e lasciatele insaporire 30 minuti. Asciugate a fuoco moderato il passato di castagne per 10 minuti in un tegame con 40 g di burro, 1 dl di panna, sale e pepe. Scolate le fettine e rosolatele in una padella con 2 cucchiai di olio extravergine. Salatele, pepatele e servitele con il passato di castagne caldo. Un altro secondo che in realtà potrebbe pure essere un primo magari aumentando le dosi, ma noi lo consideriamo secondo perchè accostato ai funghi e patate come si evince dalla ricetta diventà una vera delizia! Polenta di castagne ingredienti per 4 persone: 500 grammi di farina di castagne 2 litri di acqua sale grosso olio extra vergine di oliva parmigiano grattugiato Preparazione Portate all'ebollizione l'acqua con un cucchiaio di sale, versatevi a pioggia la farina di castagne, e mescolate bene. Fate cuocere per circa 40 minuti mescolando molto spesso. Condite con abbondante parmigiano e un po' di olio. Questo secondo si abbina molto bene con dei funghi misti saltati in padella insieme a un po di patate lesse naturalmente saltate a parte altrimenti si spappolerebbero. E ora si passa ai dolci! Bè in effetti a mio modesto parere la castagna è un alimento fondamentale della pasticceria. Non a caso esistono un infinità di dolci nei quali lei e la regina!Di seguito un paio di ricette tra le piu semplici e gustose! Bignè di castagne Ingredienti: 300 grammi di farina di castagne un mezzo litro di latte intero 2 cucchiaini di bicarbonato di sodio 2 cucchiai di zucchero 50 grammi di pinoli 80 grammi di uva passa olio per friggere zucchero a velo Preparazione. Mescolate la farina di castagne, il latte, il bicarbonato di sodio, lo zucchero e un pizzico di sale. Aggiungete i pinoli e l'uvetta fatta rinvenire in acqua tiepida, strizzata con cura e asciugata. Lavorate il composto e fatelo riposare, coperto da un telo, per circa 1 ora. Scaldate 3 dl di olio di semi in una padella dai bordi abbastanza alti. Versatevi cucchiaiate di composto e fate dorate i bignè, quindi scolateli su carta da cucina. Distribuiteli su un piatto di portata, spolverizzateli con zucchero a velo e servite subito. Ora un dolce dalla semplicità unica e dal sapore stupendo! Mattonella di castagne Ingredienti: 500grammi di castagne giá bollite e sbucciate 1 dl di latte 50 grammi di burro un cucchiaio di zucchero vanigliato 30 grammi di cacao amaro (meglio l'amarissimo Van Houten) 3 cucchiai di nocciole macinate 3 cucchiai di Kirsch (grappa svizzera di ciliege),se non si ha il Kirsch usare della grappa.Non usare assolutamente liquori dolci. Preparazione: Fare una purea con le castagne, il latte e lo zucchero. Far intiepidire quindi aggiungere cacao, burro, nocciole e Kirsch. Mescolare benissimo, mettere in uno stampo rettangolare e far riposare per almeno 2-3 ore in frigo. In questo modo l'alcool evapora e tutti gli aromi si mischiano in modo omogeneo e sublime. Eventualmente si possono fare anche delle palline da mettere poi negli appositi contenitori di carta e spolverizzarle con cacao amaro. In questa selezione non poteva certo mancare la torta di castagne! Eccone una versione semplice e buona, provare per credere! Torta alle castagne e cioccolato Ingredienti: 300 grammi di farina di castagne 300 grammi di latte 30 grammi di burro 30 grammi di farina 00 100 grammi di cioccolato fondente un cucchiaino di bicarbonato un pizzico di sale Preparazione. Preriscaldare il forno a 170 gradi Fondere il cioccolato con il burro. Setacciare insieme le due farine con il bicarbonato e il sale. ATTENZIONE! Questo e' un passaggio importante da non trascurare: se non viene setacciata, la farina di castagne fa moltissimi grumi. Aggiungere il latte e mescolando (magari con le frustine elettriche) ottenere una crema omogenea. Aggiungere il cioccolato fuso e intiepidito. Versare in una teglia quadrata di 20 cm di lato, rivestita con carta da forno Infornare e cuocere per 20-25 minuti. Fare la prova stecchino. Fare attenzione a non cuocere troppo la torta che altrimenti risulterà troppo asciutta. Per terminare questo ppiccolo viaggio gastronomico dedicato alla castagna vi proporrò dei biscotti che faranno felici tutti in famiglia e una marmellata di castagne che per i vostri piccoli ma anche per i grandi e una vera ghiottoneria! Biscotti con farina di castagne Ingredienti: dose per circa 100 biscotti 3 uova. 200 grammi di burro. 100 grammi di miele. 250 grammi di farina di castagne. 350 grammi di farina "00". una bustina di lievito per dolci. un pizzico di sale. una bustina di zucchero vanigliato. 200 grammi di zucchero. 250 grammi di nocciole tritate finemente. Preparazione. In una terrina unire le uova, il burro e poi aggiungere il miele. Mescolare alla farina di castagne la bustina di lievito per dolci e la farina "00" e setacciare. Unire lo zucchero, un pizzico di sale, lo zucchero vanigliato, le nocciole. Aggiungere tutti gli ingredienti asciutti al composto e lavorare l'impasto per renderlo omogeneo. Lasciarlo riposare in frigo per mezz'ora. Stendere la pasta con il matterello ad uno spessore di mezzo cm. e tagliarla usando dei taglia biscotti. Metterli in una teglia apposita, coperta con carta da forno e cuocere i biscotti in forno preriscaldato a 180°C per circa 12 - 15 minuti. Marmellata di castagne Ingredienti per 4 persone: 1kg di castagne. 400 di zucchero. scorza di 1 limone. 4 foglie di alloro. Sale. Cuocete le castagne in poca acqua leggermente salata, scolatele, sbucciatele togliendo anche tutta la pellicola interna e passatele al passaverdura. In una pentola preparate lo sciroppo con lo zucchero e 1/4 di acqua (100ml). Fate sciogliere lo zucchero mescolando, schiumate e appena si formano grosse bolle, togliete dal fornello. Lasciate raffreddare, aggiungete le castagne e la scorza di limone. Rimettete sul fuoco e cuocete ancora per un' ora mescolando ogni tanto. Togliete dal fuoco, eliminate la scorza di limone, lasciate intiepidire e versate nei barattoli ben sigillati. Bene, allora buon appetito e buone feste a tutti voi!
come sappiamo, attraverso la cucina passano la storia e la cultura di un popolo. la nostra guida, alì, ha tenuto molto a farci conoscere quella del suo paese, condividendone la tradizione e la degustazione. infatti, ciò che ho gradito di più è stato il fatto che non soltanto ci raccontava le ricette di alcune pietanze e la sua capacità personale di prepararle ma, anche, di proporre durante i pasti comuni del gruppo, pranzi o cene che fossero, dei piatti tipici, 2-3 alla volta, spiegarne gli ingredienti, ordinarli tutti in "giusta" quantità e lasciarci liberi di assaggiare ciò che si voleva. Così, abbiamo guadagnato tempo nell'interpretazione dei menù e nell'attesa di esser serviti, sopratutto, abbiamo provato un'ampia gamma di pietanze che da soli magari non avremmo scoperto o osato sperimentare. Nel mio caso, il riso con cavolo e carne, le melanzane con lo yogurt abbastanza onnipresente nel cibo in generale, benché, in piccoli assaggi, il pollo con la salsa di melograno, l'agnello con le prugne o la mela cotogna. particolari, non di mio gusto, però, ammetto, buoni. A colazione, c'era sia il salato che il dolce, mortadella di pollo o manzo, formaggi primo sale, uova bianchissime, salsicce, verdure, zuppe, biscotti al sesamo, datteri, ecc. Nei pasti principali, riso e carne sempre di ogni tipo eccetto, chiaro, il maiale, verdure cotte e crude prese senza negative conseguenze intestinali, dolci in gran quantità, simili a quelli dell'area geografica già frequentata. C'era pochissimo pesce, in genere, la trota e solo a fine viaggio un pesce del golfo persico. abbiamo provato la pizza :-) ben 2, una per scelta, io con salsiccia e formaggio, l'altra, margherita, gentilmente offerta, malgrado fossero le 22 passate, dal direttore dell'hotel di esfahan quando ci ha riconosciuti italiani. I succhi di frutta erano più buoni che in oman, c'era una bevanda all'acqua di rosa che io al contrario di mauro non ho gradito e che viene offerta negli hotel o nei ristoranti in segno di benvenuto. I gelati erano confezionati, spiccava quello allo zafferano mentre, l'accompagnatore ne ha preso uno di color blu, pare all'anice, che ha abbandonato in un cestino perchè dolce, di più! Pure nella scelta dei locali, alì ci ha dato un'ampia varietà di conoscenza delle tipologie. Dalle sale da pranzo degli hotel a dei ristoranti di livello, alcuni ex caravanserragli, altri stile ville a 2 piani con affaccio sulla piazza sottostante. Dai chioschi street food lungo strade trafficate a delle specie di tavole calde spartane dove non c'erano neppure i bagni e ti limitavi a lavarti le mani in un lavandino non sempre munito di sapone e da asciugarsi. La rapidità non è esattamente il principale pregio degli iraniani ma, diciamo che in genere la pazienza veniva premiata dalla qualità del cibo tra l'altro davvero economico e in discreta quantità. Di seguito, trovate un articolo che ho trovato in internet e che oltre a darvi un'idea più ampia delle caratteristiche della cucina iraniana, vi fornisce pure delle ricette di piatti che abbiamo gustato eccetto l'ultimo. Se volete cimentarvi a cucinarle... sorriso l'importante è poter disporre di tutti gli ingredienti necessari!... sorriso La gastronomia persiana è erede di 2500 anni di storia. Nel VI secolo a.C., Ciro il Grande, capo della tribù dei Pars, creò un impero esteso dall’India all’Egitto, dove si sviluppò una cucina di corte. Gli autori greci sottolineavano, nella descrizione degli usi e dei costumi persiani, i fasti dei banchetti e il piacere di vivere. Dell’epoca non rimane alcuna testimonianza culinaria, eccetto un’iscrizione nel tempio di Ciro a Persepoli. Scoperto durante la campagna di Alessandro (325 a.C.) e trasmesso da Polieno, l’elenco, inciso in bronzo, enumera i bisogni primari del palazzo. Si tratta per la maggior parte di ingredienti ancora oggi in uso nella cucina dell’Iran: grano, orzo, montone, agnello, bue, uccelli, pollame, selvaggina, latte e latticini, piante aromatiche, grassi di cottura, frutta secca. Sulla lista compare in particolare la conserva di melagrana acida, lo zafferano, il cumino, l’aneto, il succo di mela dolce, i ravanelli bolliti in salamoia, capperi sotto sale e mandorle dolci. Inoltre viene riportato che il re faceva distribuire alle sue truppe una considerevole quantità giornaliera di cereali e orzo, oltre all’olio di sesamo e l’aceto. Da questa lista della corte persiana si può desumere la preparazione di ricette acide, dolci e aromatiche. La base dell’odierna cucina iraniana islamica è il riso; ce ne sono almeno cinque varietà. Agnello e pollo vengono marinati e cotti stile kebab oppure stufati per diventare khoresht. Cardamomo, cannella e spezie in genere sono usate correntemente, come anche erbe e conserve. Una cuoca rispetta la tradizione e difficilmente spiega le ricette con pesi, misure e tempi precisi. Spesso si mette “quanto basta” di questo e si spegne il fuoco quando si vede che è pronto”. La quantità di cibo messa a disposizione per l’ospite e un segno della sua importanza. È d’uso, quando si cucina, calcolare qualche porzione in più nel caso in cui giungessero ospiti. Ogni ospite si serve del cibo a suo piacimento, dalla splendida tavola imbandita. Ma attenzione: alla fine del pasto dovrebbe sempre avanzare una discreta quantità di cibo, altrimenti si potrebbe pensare che qualcuno non è stato soddisfatto appieno e avrebbe potuto mangiare di più. Tradizionalmente un pranzo persiano viene servito sopra un sofreh, una tovaglia di cotone adornata di poesie, la quale è appoggiata su di un tappeto persiano o su di una tavola. I piatti principali sono circondati da pane (naan) e varie ciotole piene di differenti salse, verdure fresche e formaggio (mazé). La cucina persiana è leggera e non è piccante né troppo speziata, le pietanze principali non si dividono in un primo ed un secondo ma in un’unica portata. I cibi sono spesso abbinati a seconda della loro natura, (garm) caldi o (sard) freddi, per creare un equilibrio nella alimentazione in modo tale che la persona sia sazia a fine pasto ma non gonfia o abbia la tipica pesantezza di stomaco. L’ingrediente principale è il riso basmati cucinato al vapore e lavorato in maniera tale da perdere la maggior parte del suo amido per rendere più facile la digestione. Con questo si possono accompagnare gli spiedini di vari tipi di carne rossa e bianca, cucinati al momento sulla carbonella. E sempre assieme al riso si possono abbinare sughi a base di verdure e legumi, cucinati separatamente dalla carne in modo tale da creare pure pietanze vegetariane, come tutti gli antipasti e i contorni che possono essere a base di yogurt o sottaceti. Naturalmente c’è anche il caviale iraniano, famoso per essere il migliore del mondo dato che gli storioni del mar Caspio, nella zona dell’Iran, sono carnivori e non onnivori. Inoltre la salatura e la raccolta delle uova (tramite taglio cesareo) è diversa da tutte le altre. Alcune ricette della cucina persiana Shishlik (agnello alla persiana) Occorrente: 800 gr di agnello, un cucchiaino di coriandolo in polvere, due limoni, un rametto di rosmarino, sale e pepe quanto basta, un cucchiaino di semi di sesamo pestati, tre cucchiai di olio extravergine di oliva. Preparazione: tagliare la carne in maniera adeguata alla composizione di spiedini. Farla marinare con il succo dei limoni, l’olio e gli aromi per due ore, mescolandola spesso. Preparare gli spiedini e cuocerli su fuoco vivo, preferibilmente di carbonella oppure al grill, pennellandoli con la marinata per mantenerli morbidi. Servire ben caldi Shole Zard Occorrente: riso, zafferano ed acqua di rose È una specie di budino di riso all’iraniana. Viene molto usato nel mese di Ramadan perché è molto calorico. Preparazione: prima di tutto far riposare il riso nell’acqua per qualche ora. Poi versare due litri d’acqua in una pentola ed aggiungere il riso mettendo sul fuoco e facendo bollire. Abbassare il fuoco e far cuocere il riso. Aggiungere poi lo zucchero e mescolare in continuazione per evitare che il riso si attacchi al fondo della pentola. Sciogliere lo zafferano in un po’ d’acqua e aggiungerlo gradualmente al riso finché si arrivi ad un colore giallo non tanto scuro. Versare poi l’acqua di rosa e mescolare ancora, aggiungere il burro, chiudere il coperchio e lasciare sul fuoco lento. Servire in piccole ciotole ed ornare con la canna e le mandorle e i pistacchi a fettine. Khoresh-Fesenjan Come in Italia ogni tipo di pasta viene condito con uno speciale sugo, in Iran il riso è spesso accompagnato con il “koresh”. Ce ne sono di vari tipi, fatti con verdure, carne, pesce o legumi. Ora si propone il koresh fesenjan (pollo cotto a fuoco lento) Occorrente: 300 gr di pollo, 240 gr di noce macinata, 120 gr di salsa di melograno, due cipolle grattugiate, 60-120 milligrammi di zucchero, 15 gr d’olio, 15 milligrammi di zafferano, due tazze d’acqua, sale. Preparazione: soffriggere il pollo in una padella finché abbia assunto un color marrone. Soffriggere poi in un’altra padella a cipolla per cinque minuti e poi aggiungere la noce macinata e mescolare in continuazione finché non profumi di scotto. Mescolare in una pentola la salsa di melograno, il sale, lo zafferano e lo zucchero con due tazze dell’acqua. Aggiungere poi le noci e mettere sul fuoco e far bollire per cinque minuti. Abbassare poi il fuoco per farlo cuocere lentamente per circa 30 minuti. Aggiungere poi il pollo e se il sugo sembra troppo denso versare una tazza d’acqua. Lasciare cuocere con il fuoco moderato per altri 40 minuti. Servire con il riso caldo. Invece del pollo si può usare la carne macinata e la cipolla grattugiata fatta a palline oppure, volendo, il pesce. Se non piace il gusto dolce, basta rinunciare allo zucchero aumentando la salsa di melograno. Baghali polo Riso con fave e cime di aneto, lo si gusta in pieno accompagnandolo con il pesce al forno, oppure con pollo o con il cosciotto di agnello al forno. Occorrente per quattro persone: riso basmati 600 gr, fave 100 gr, cime di aneto 25 gr, curcuma mezzo cucchiaino da caffè. Preparazione: due ore prima del pasto si bagnano in acqua tiepida 600 gr di riso e la fava secca in modo che essa lo copra e lo superi. Si mette un cucchiaio di sale, si mescola e si lascia a mollo nell’acqua. Un’ora prima di mangiare far bollire l’acqua in un tegame, poi si versano riso, fave, curcuma ed un po’ di sale, si mescola il tutto e poi si gira di tanto in tanto finché il riso non sarà al dente. Scolare e dopo, nello stesso tegame, si metta una tazzina d’acqua con un po’ d’olio. Per avere una bella crosta si possono mettere due o tre foglie di lattuga o fette di patate crude sul fondo del tegame. A questo punto si versa uno strato di riso e di fave, e si completa versando a pioggia un po’ di cime di aneto. Proseguire fino all’esaurimento degli ingredienti a forma di montagna, poi si fa un buco al centro mettendo 5-6 cucchiai di olio su tutto il riso, facendo cuocere a fuoco moderato per 10 minuti e poi a fuoco basso per 30-40 minuti.
Leccornie con farina di neccio Questo è il periodo giusto per usare la farina di neccio. Chiariamo subito che si chiama così, perché con la farina di castagne si facevano, e si fanno, i necci. Presento il mio modo migliore per usare questa farina che un tempo aveva moltissima importanza della alimentazione contadina e pure adesso rappresenta un alimento sano e gustoso, che meriterebbe migliore attenzione di quella che le diamo. Cosa ci possiamo fare? Polenta di neccio Castagnacci Necci Frittelle Vinata. Manifregoli, o briciaioli, o farinosi asseconda dei nomi locali, ecc. Poi anche le castagne secce sono una leccornia. Le possiamo bollire in acqua leggermente salata con aggiunta di foglie di alloro e, ancor meglio, di fiori di finocchio secco : dopo la cottura le possiamo gustare insieme al loro brodo con aggiunta di un pochino di latte fresco, usando una tazza o, una scodella. La bontà dei risultati dipende molto anche dalla qualità della farina e dalla sua freschezza. Alcune farine sono discretamente dolci, mentre altre lo sono meno. Normalmente non si usa zucchero con la farina di castagne, tanto è vero che è chiamata anche farina dolce. Ma in alcuni casi, io tendo a mettere una piccola aggiunta di zucchero per migliorare il gusto finale. Ma, cosa vi propongo? Vorrei proporre tutte le ricette, perché tutte buone. Ma, decisamente sta scomparendo la vinata. Cosa è? Si tratta di una polenta con farina di castagne fatta con vinella, o vino diluito con acqua e lasciata assai diluita. La vinella oggi è praticamente scomparsa, mentre un tempo quando i contadini facevano il vino, dopo averlo prelevato dalla botte, aggiungevano al mosto una certa quantità di acqua e facevano fermentare di nuovo quel mosto, ricavando altro vino molto più leggero dal punto vi vista alcoolico e di gusto. Il prodotto finito era chiamato vinella. Chiaramente era per usi familiari. Per fare la vinata, oggi possiamo miscelare vino con una parte di acqua. Ci si può cuocere la farina di neccio con poco sale, quanto basta cuocendo quanto per una normale polenta di neccio,ovvero, 10 o 15 minuti. Poi la si consuma in scodelle, usando un cucchiaio. Ma cosa propongo in questo articolo? Castagnaccio normale Castagnaccio lievitato Necci Frittelle di neccio Castagnaccio, con noci e rosmarino: Ingredienti: Farina di neccio 8, 10 cucchiaiate colme di farina setacciata Sale, un buon pizzicotto Zucchero, circa un cucchiaio, se gradito. Ma non si deve sentirlo, quindi si deve fare esperienza Olio extra vergine di oliva, un cucchiaio nell'impasto. Poi quanto basta per ungere abbondantemente Noci di ottima qualità a pezzi Rosmarino alcune cimette buccia di arancio grattugiata Possibilmente usare una teglia di rame stagnato. La teglia deve essere molto ben unta, considerando che l'olio verrà assorbito rapidamente dal castagnaccio. Perché il dolce non attacchi, si può usare un espediente efficace. Quello di mettere una piccola manciatina di farina sull'olio della teglia e poi, con un dito picchiettare sulla farina per farla incorporare nell'olio su tutto il fondo. In questo modo si creerà un velo che impedirà l'incollaggio al fondo della teglia e al bordo. Esecuzione: Mettere in una ciottola, la farina con un pizzico di sale e un chucchiaio di zucchero. La quantità di sale usato sarà determinante per il gusto finale. Mettere sulla farina un bicchiere di acqua o due, poi impastare omogeneamente. In questo modo avremo un impasto denso senza grumi. I grumi si formerebbero se si mettesse molta acqua, subito. Una volta sciolta tutta la farina, aggiungere olio, uno cucchiaio, poi aggiungere altra acqua e mescolare bene. La quantità di acqua deve portare ad un impasto fluido che, se giusto porterà a formare un dolce croccante fuori e tenero dentro. Possibile anche usare latte, sia per metà del liquido, che interamente. A me piace di più con la sola acqua. Terminato l'impasto, versarlo nella teglia già trattata come indicato Conviene che lo spessore del dolce sia intorno ad un centimetro, perché cuocia bene e rimanga croccante fuori e tenero dentro. Sulla superfice dell'impasto, si mette un filo di olio facendolo scendere dall'alto zigzagando qua e là per formare un reticolo. Poi, si mettono le noci a gherigli spezzati, che in parte affonderanno nell'impasto, Poi gratteremo un po’ di buccia di arance, ben lavata. Infine metteremo il rosmarino a rametti spezzettati. Metteremo la teglia nel forno a centoottanta gradi o più. L'alta temperatura porterà alla formazione di una superfice croccante, mentre l'interno rimarrà morbido. Se la temperatura fosse meno alta, il castagnaccio perderebbe liquido e diventerebbe più sodo internamente, perché impiegherebbe più tempo a cuocere e, prima di fare la gratinatura asciugherebbe anche dentro. Con questa nota potremo giostrare sul risultato che preferiremo. Non fornisco tempi di cottura, perché dipendono dalle temperature effettive e dal liquido : guideranno il profumo e la forchetta come tatto. Castagnaccio lievitato: Si tratta di una variante del normale castagnaccio, al quale si aggiunge nell'impasto circa un cucchiaio di bicarbonato setacciato. Non eccedere con il bicarbonato per evitare che il castagnaccio prenda un gusto amarognolo. Mescolare rapidamente e bene. In questo caso si deve usare una teglia con bordo alto, perché, appunto la lievitatura lo farà aumentare di volume. A cottura ultimata avremo un dolce alto, soffice dentro, leggermente croccante fuori, gusto diverso da quello del castagnaccio normale. In questo caso, meglio usare latte, invece che acqua.. Non usare il lievito chimico per dolci, perché i suoi aromi non si abbinano bene con il gusto. Il bicarbonato alimentare, se usato bene, influisce nel gusto senza prendere l'amaro. Poi il prodotto finale diviene più digeribile. E', comunque, un dolce diverso e buono. Necci Il classico per eccellenza! Per farli bene ci vogliono cure semplici ma importanti. Indispensabile avere le "cotte " Si tratta di due piastre di ferro battuto, circolari e con manici lunghi. Non confondere con le pinze per cialde, o piastre moderne per focacce. Il diametro di queste piastre, sarà tra i venti ed i venticinque centimetri. Si troveranno in negozi di ferramenta o, di casalinghi, o da artigiani del ferro. Per fare i necci ci vuole anche un pezzo di legno da usare per premere la piastra superiore contro quella inferiore... a meno che non preferiate provare a pressare con le mani nude le piastre arroventate! Ingredienti: Farina di neccio di ottima qualità, setacciata o, comunque senza grumi. Calcoliamo dieci cucchiai Un buon pizzicotto di sale Un cucchiaio di zucchero, se piace; io lo uso Acqua quanta basta, oppure latte fresco intero. volendo si può mettere anche un pugnetto di uvetta sultanina, ma è cosa facoltativa. Ricotta fresca, sia di mucca che di pecora., da usare come farcitura dopo la cottura. Esecuzione: Mettere la farina dentro una ciotola. Aggiungere il pizzicotto di sale, quanto piace. Mettere un cucchiaio di zucchero se piace. Mettere un bicchiere di acqua, o di latte, se preferito. Mescolare bene. L'impasto diverrà assai denso e i grumi si sfaranno. Aggiungere acqua, o latte mescolando bene, fino ad ottenere un impasto pastoso, ma un pochino fluido. Ora passeremo alla cottura : piastre ben pulite, senza residui di altre cotture. Mettere le piastre sulla fiamma del fornello grande del gas a livello medio. Usare una cotenna di lardo per ungere le piastre. Evitare l'olio, perché i necci attaccherebbero più facilmente. Le piastre devono essere molto calde entrambe ed entrambe ben unte ad ogni neccio fatto. Togliere la piastra superiore e mettere al centro di quella inferiore due o tre cucchiaiate di impasto. Mettere subito la seconda piastra sull'impasto, con precisione, poi pressare con il bastone di legno fino a raggiungere uno spessore giusto del neccio da cuocere. fare attenzione a non fare slittare le piastre, tenendole saldamente con una mano a stringere i manici. Lasciar cuocere per circa un minuto e mezzo, poi, sollevare le piastre e invertire le facciate, rapidamente per non fare slittare le piastre e, addirittura fare uscire il neccio. Pressare leggermente per essere sicuri di mantenere la compattezza, poi cuocere per un altro minuto e mezzo. Controllare il livello di cottura, sollevando la piastra superiore. Il neccio deve prendere un colore dorato. Aggiustare la cottura su entrambe le facciate, Poi far scivolare il neccio su un vassoio con carta idonea. Ungere nuovamente con la cotenna di lardo o di prosciutto e, passare a cuocere un altro neccio. Il tempo di cottura sarà intorno a tre minuti per neccio, che deve risultare leggermente croccante e tenero, comunque a piacere. Come consumare i necci? Li possiamo coprire con ricotta, o panna montata. Consiglio una ricotta di buona qualità e fresca. Poi arrotolate i necci con la ricotta dentro. Potremo anche mettere della uvetta dell'impasto o anche buccia di arancio grattata o anche pezzettini di noce o pinoli. Se poi non vi piacciono, portateli a me, che ci penserò io!. Frittelle di neccio Facili per tutti? Si, facili, ma un minimo di attenzione ci vuole, come pure un pochino di esperienza. Con queste semplici istruzioni, non si può sbagliare: per friggere ci vuole olio abbondante, fumante, ma ricordiamoci che le frittelle tendono adassorbire olio, per cui devono fare subito la crosticina superficiale. Meglio usare un olio extravergine di oliva che resiste meglio alle alte temperature. Può andare bene anche un buon olio di semi tipo arachide. L'impasto si fa come quello dei necci, con le stesse attenzioni, ma in questo caso va bene usare anche solo latte, con un pizzico di sale. Comunque benissimo anche sola acqua e, allora, aggiungere poco zucchero. La densità dell'impasto dovrà essere poco più densa di quella per il castagnaccio, ma l'impasto deve poter scivolare bene dal cucchiaio, il quale potrà essere unto allo scopo. Attenzione che l'olio bollente potrebbe anche schizzare, per cui converrebbe usare un guanto. Ma evitate quelli di plastica che potrebbero risultare pericolosi. Magari usate un cucchiaio più lungo, oppure prendete il cucchiaio con un tovagliolino di carta Scottex, in modo che faccia da scudo agli schizzetti di olio bollente. Si possono mettere più cucchiaiate di impasto fino ad empire la padella. Dopo circa un minuto di cottura, rivoltare la frittella usando una paletta di acciaio. Controllare che le frittelle prendano un bel colorito. Mettere ogni frittella cotta su un vassoio foderato con carta Scottex o altra idonea, cosicché si assorbirà un po’ di olio. Ad ogni strato si interpone un nuovo foglio di carta. Queste frittelle possono essere spalmate di ricotta fresca o con panna montata. Possibile mettere nell'impasto anche un pochino di uvetta ammollata. Attenzione ai golosi. Manifregoli Nella mia zona li chiamano anche briciaioli. In pratica si tratta di una polenta di neccio fatta cuocere con più acqua, sempre leggermente salata, con la cottura di circa 15 minuti Esecuzione: Mettere a bollire l'acqua, mentre prepareremo la farina nella ciotola e, sciogliere eventuali grumi. Calcoliamo otto cucchiaiate di farina e cinque bicchieri di acqua. Quando l'acqua bolle, si versa la farina, tutta in una volta... nell'acqua, dico, non sul piano della cucina! Usando un cucchiaio di legno a manico lungo, rumare subito ed energicamente, il tutto fino a sciogliere tutti i grumi: non è cosa facile da fare, perché la farina tende a galleggiare e, trovando poco attrito si formano facilmente i grumi. Allora si deve essere veloci ed energici. Poi, in cottura, con l'addensamento diversi grumi si scioglieranno. Si può tenere di riserva un pochino di acqua bollente da aggiungere nel caso in cui il composto si addensi troppo. A cottura ultimata, si mette questa polenta in scodelle da portata e sopra si versa latte freddo. Si consuma con un cucchiaio, prendendo un po’ di polenta e un po’ di latte insieme. I manifregoli bollenti, si intiepidiranno con il latte freddo, rendendo la pietanza più gradevole. Polenta di neccio Si fa come i manifregoli, ma usando più farina con la stessa quantità di acqua, in modo che dopo la cottura si possano formare fette che diverranno sode e, potranno essere anche lasciate raffreddare. Un tempo si consumava questa polenta con biroldo, ovvero mallegato. Ma, anche con alcune altre pietanze rustiche che non descrivo, per non appesantire il tema. Posso aggiungere che per formare le fette di polenta, sia quella di neccio, che quella di mais, si procedeva in questo modo: si versava la polenta su una spianatoia di legno leggermente impolverata della stessa farina. Poi si usava un archetto di legno che veniva affondato nella parte esterna della polenta e poi, tirando verso di noi l'archetto e sollevandolo si prelevava un po’ di impasto depositandolo in un altro punto della spianatoia. cosicché ci voleva anche una certa manualità. L'effetto era molto bello e pratico: fette a forma di barchetta a due punte che, raffreddate potevano essere prese con le mani senza danneggiarsi. In frittura, queste fette venivano preparate a strisce lunghe tagliate con un coltello.
E’ dolce, facile da conservare e cresce ovunque. Perciò ha ispirato molti miti: per i Greci donava l’immortalità (e la scienza lo conferma). Ha scatenato conflitti fra gli dei, contenuto incantesimi, promesso l’immortalità. A aiutato a colonizzare il Far Wuest, svelato le leggi del cosmo, ispirato gli artisti (e la saga di Rambo). Oggi è contesa dalle multinazionali e gli scenziati ne confermano i benefici effetti sulla salute. Non ci sono dubbi: la mela è davvero un frutto magico. Lontana “Parente” di pesche, susine, ciliegie e albicocche (tutte appartenenti alla famiglia delle Rosaceae), con le sue 7 mila varietà la mela è uno dei frutti più apprezzati al mondo, gli italiani ne mangiano oltre17 kg l’anno a testa e l’Italia, con oltre 2 milioni di tonnellate annue, è il 6° produttore mondiale (il più grande è la Cina, con 27 milioni). Ma perché la mela ha tanto successo? Semplice: cresce quasi a ogni latitudine tranne ai tropici e all’equatore), è facile da conservare e da trasportare, costa poco ed è disponibile tutto l’anno. In più sazia ed è altamente digeribile. E dire che la mela è un “Pomo”, Cioè un falso frutto: la sua polpa deriva dallo sviluppo del ricettacolo e non dall’ovario del fiore. Il vero frutto è il torsolo che contiene i semi. Il melo fiorisce tra marzo e aprile e la maturazione dei frutti avviene a seconda delle varietà, in estate, autunno o inverno. Ma da dove arriva un frutto, pardon, un pomo così versatile? Resti fossili di mele carbonizzate e tagliate a spicchi son stati trovati in siti archeologici neolitici nell’Europa centrale. Ma la patria natale della mela sono i monti dell’Asia centrale, l’odierno Kazakistan da cui, tra l. 8000 e il 3500 a. C. il pro genitore del melo, il Malus tieversii, si diffuse a Occidente: lo hanno dimostrato studi genomici, “Per questo” spiega Wolfgang Dqrahorad, agronomo altoatesino “è meta di specialisti di mele di tutto il mondo”. Ancora oggi, intorno alla città di Almatya che in Azako significa “Il posto delle mele”, è possibile passeggiare in boschi di meli selvatici. Attraverso il Medio Oriente, la mela giunge in Egitto, in Grecia e in Italia. Durante il Medioevo, nei conventi, i monaci selezionarono molte varietà di mele, progenitrici di quelle odierne e scoprirono la possibilità di ricavarne il siero, bevanda alcolica ottenuta dalla loro fermentazione. Dal 500 bellissime mele appaiono sulle tele dei grandi pittori fiamminghi, tedeschi e italiani, (celebre quella bacata dipinta da Caravaggio: il primo frutto “imperfetto” della storia dell’arte) lasciando traccia del progresso delle colture. “Grazie al suo gusto acidulo, si sposa bene con la carne” afferma Allayn Bay, gastronomo. “I Persiani, per primi, cucinarono carne con le mele. In Europa, a parte la tradizione dolciaria anglosassone della torta di mele, la diffusione della mela cucinata è legata soprattutto al mondo germanico: salsa e burro di mele con la carne, la selvaggina, il pesce. Nell’immaginario degli italiani, invece, la mela cotta resta legata all’idea della malattia perché spesso è nel menu ospedaliero”. La mela arrivò nelle Americhe nel 1600 grazie ai coloni europei. Fra loro, il pioniere svedese Peter Gunnarsson Rambo, a cui fu intitolata una particolare varietà di mele: un nome che piacque al romanziere David Morrell, che scelse di battezzare così l’Eroe di First Blood, da cui è tratta la saga di Rambo interpretato da Sylvester Stallone. Ma la diffusione della mela negli Usa è attribuita a Johon Kapman, che ai primi dell. 800 esplorò le regioni selvagge del West piantando lungo il suo cammino migliaia di semi di mela: perciò fu soprannominato Johonny “appleseed” (seme di mela). Ancora oggi, la mela è protagonista dei giochi tradizionali di Halloween, come l’apple bobing: addentare, con le mani legate, una mela a galla in un bidone d’acqua (o appesa a un filo). Giochi a parte, il segreto del successo della mela è nella sua chimica: “Composta all. 83% di acqua, è un’ottima fonte di reidratazione” spiega Carlo Cannella, docente di Scienze dell’alimentazione alla Sapienza di Roma. “Contiene dal 6 al 14% di zuccheri semplici, principalmente fruttosio e glucosio, che al contrario degli zuccheri complessi (come l’amido) sono assorbiti rapidamente come una sferzata di energia”. Queste caratteristiche la rendono il primo cibo dei neonati dopo il latte materno. “La mela sazia senza appesantire” dice Carlo Cannella. “anzi, e stato dimostrato che la piccola dose di fruttosio di una mela dopo un pasto a base di cibi ad alto indice glicemico (pane, pasta, dolci) è in grado di abbassare la glicemia nel sangue”. In più, la mela contiene vitamine, Sali minerali; sazia frenando l’appetito smodato (perciò è indicata nelle diete dimagranti). Regola la pressione sanguigna e contiene 5 diversi antiossidanti, efficaci nel combattere i radicali liberi che contribuiscono a farci invecchiare. E si è scoperto che le mele possono ridurre i rischi di cancro al colon, al polmone, alla prostata. Insomma, è proprio vero che “una mela al giorno toglie il medico di torno”. Anche gli antichi l’avevano intuito: per questo la mela è protagonista di tanti miti. Simbolo di fecondità e dell’amore (soprattutto), la mela rossa ma più che altro di immortalità: nella mitologia nordica, la dea Duno possedeva mele che avevano il potere di impedire l’invecchiamento; una delle fatiche di Eracle consisteva nel rubare le mele d’oro (portatrici di immortalità) dal giardino delle esperidi, protetto da un drago; si dice che Alessandro Magno scoprì in India delle mele che prolungavano la vita dei sacerdoti fino a 500 anni. D'altronde, il termine “pomata” deriva proprio da pomo, la cui polpa era utilizzata nella confezione di unguenti medicinali come eccipiente per favorire l’assorbimento del principio attivo attraverso la pelle. Mele d’oro sono protagoniste di vari miti: la bella e veloce Atalanta si sposò dopo aver perso una gara di corsa, perché si chinò a cogliere le mele d’oro gettate sulla pista dallo sfidante Ippomere, che poi dovette sposare. Il “pomo della discordia” era una mela d’oro gettata da Erip, dai non invitata al matrimonio di peleo e Teti: sulla mela c’era scritto “alla più bella” e ciò scatenò la rivalità fra le dee Ere, Atena e Afrodite. (Paride scelse quest’ultima e poi si scatenò la guerra di Troia). E sempre per invidia femminile Biancaneve fu avvelenata da una strega con una mela magica che la fece cadere in un sonno profondo. Mentre ad Avalon, l’isola delle mele, riposa Artù in attesa di tornare nel mondo. Perché la mela ha ispirato tanti miti? “Per la sua dolcezza” risponde Laura Pepe, grecista e docente di diritto Romano all’Università Bocconi di Milano. “In unh epoca in cui i dolci erano pochhi (soprattutto a base di miele) era il cibo più prelibato. E dalla dolcezza è passata a rappresentare la tentazione, la seduzione, la curiosità, il desiderio (di afferrarla)”. La sua forma rotonda le anche permesso di simboleggiare il globo terrestre e, in senso traslato, la sovranità. Da Caracalla in poi, gli imperatori romani portarono una mela d’oro raffigurante la Terra su cui campeggiava spesso una Vittoria alata: il simbolo del potere assoluto, cui gli Imperatori del Sacro Romano Impero sovrapposero una croce a indicare che il loro potere derivava da Cristo. Secondo la tradizione, fu per aver mangiato una mela che Adamo ed Eva furono cacciati dal paradiso terrestre: in realtà, però, la Gensi parla genericamente di un “frutto” proibito; fu tradotto come mela nel medioevo per assonanza tra malum, con la “A lunga” (melo) e (malum) con la “A breve” (il male). Ma non è l’unico mito da sfatare sulle mele: la celebre saga di Guglielmo Tell, che nel Xiv secolo riuscì a centrare con la balestra una mela posta sulla testa del figlio per salvarsi la vita, dando inizio alla ribellione degli svizzeri contro gli Asburgo, non ha alcun riscontro storico. Mentre ha un fondamento il fatto che Isaac Newton scoprì la legge di gravitazione universale grazie a una mela: egli stesso racconta di aver avuto l’intuizione nel 1666 vedendo una mela cadere da un albero (non sulla testa) stando alla finestra della sua tenuta a Woolsthorpe, e cominciò a chiedersi perché cadeva verso il centro della Terra. Oggi, però, accanto ai significati simbolici, le mele hanno valori più prosaici: come loghi di aziende milionarie e come mercato alimentare. Muovono infatti un mercato mondiale di 8 miliardi di euro l’anno fra sidro, marmellate, aceto, calvados, canditi, succhi, fette di mela essiccate, purea di mele e… carta: un ingegnere atesino, Alberto Volcan, ha brevettato infatti un procedimento per ricavare fogli A4 dai torsoli di mela, ricchi di cellulosa e zucchero. Li ha chiamati “Cartamela”. E dopo che la mela è arrivata nello spazio come cibo per gli astronauti della Nasa, sono allo studio le mele o g m, che saranno più resistenti alla siccità e al caldo. “Ma siccome per tutti è il simbolo dell’alimentazione sana, nessuna mela o g m è stata ancora lanciata sul mercato” conclude Drahorad. Marcia, cotta, a metà, così la sfrutta il linguaggio nei modi di dire, la mela è uno dei frutti più… sfruttati. Ecco i più celebri e il loro significato. La grande mela: E’ New York. Nel gergo dei Jazzisti degli anni 30 le “Mele” erano le città. L’altra metà della mela- Il Filosofo greco Platone narra che un tempo vivevano esseri “Doppi” di tre specie: androgini (formati da una metà maschile e una femminile), uomini (formati da due metà di sesso maschile) e donne, formate da due metà entrambe femminili. Questi esseri erano felici perché indipendenti. Ma erano tanto arroganti che Zeus, per punirli, li tagliò in due come mele, condannando ogni metà a ricercare la felicità nella metà perduta. Una mela al giorno leva il medico di torno: I benefici effetti della mela sulla salute. Quando il baco s’affaccia alla mela, trova il becco del merlo. Chi, come il verme nella mela, vive sempre nel proprio piccolo mondo, quando ne esce troverà sempre qualcuno pronto a fargli male. Adamo mangiò la mela e la mela gli rimase in gola. Così si spiega l’origine del pomo d’Adamo. Una mela marcia ne guasta cento: Basta una persona cattiva per trascinarne molte al male. Mela cotta, merda fatta: proverbio scurrile sulle doti lassative delle mele.
Prima una planata a pochi metri sul pelo dell'acqua,poi un colpo di cloche,la cabrata verso l'alto per venir subito giù sulla nave nemica,a folle velocità fra le esplosioni dell'inferocita contraerea. "Banzai!" si urlava prima dello schianto con tutto il fiato che restava nei polmoni:erano questi gli ultimi momenti dei piloti del Sol Levante che si gettavano coi loro caccia "Zero" carichi di esplosivo, sui ponti delle portaerei americane: sapevano che la guerra era persa ma almeno miravano,senza alcuna particolare ricompensa nell' Aldilà, a ottenere una resa non incondizionata per il proprio Paese. Ma troppo spesso i media ora identificano con la parola Kamikaze (che vuol dire Vento Divino) anche gli uomini-bomba dell'odierno terrorismo islamico i quali invece si fanno esplodere fra civili inermi procurando morte tra innocenti per guadagnare un paradiso di vergini e fiumi di lattemiele. Una differenza abissale. Era il 1944,l' Impero del Sol Levante aveva ormai perso la guerra:la potenza industriale aveva consentito a gli Stati Uniti di ripristinare , dopo l'attacco di Pearl Harbor, una flotta formidabile con la quale invadere il Giappone,pure difeso a carissimo prezzo da un esercito educatovi da almeno quarant'anni nell'etica guerriera del Bushido. Infatti, sebbene dalla fine del XIX Secolo la classe nobiliare dei samurai fosse stata esautorata,i precetti della sua filosofia erano stati diffusi in tutte le altre classi: i militari ma anche i civili avrebbero dovuto servire l'Imperatore con l'eroismo,la lealtà e l'inflessibilità degli antichi cavalieri. Entrare nel nuovo corpo speciale di assalto aereo ("Tokkotai"),divenne allora la massima aspirazione per tanti giovani che si offrivano volontari. In un'epoca d'individualismo come la nostra è difficile comprendere come si possa gettare la propria vita in nome del bene collettivo;ma in Giappone è ancora vivo il senso dell'onore e i Tokkotai son tuttora molto rispettati. Quest'arma segreta,fatta solo di onore e coraggio,sortì i suoi effetti:oltre al terrore psicologico suscitato nell'avversario,furono circa 550 le navi statunitensi affondate o gravemente danneggiate da 2000 piloti suicidi. Il loro esempio fu seguito anche da soldati del regolare esercito imperiale,i quali nella difesa di Iwo Jiima e di Okinawa spesso si facevano esplodere carichi di bombe contro i carri armati americani. Tuttavia,proprio a causa della tenacia con cui i giapponesi difendevano ogni palmo della loro terra, gli americani optarono per la soluzione drastica e terribile di Hiroshima e Nagasaki. Pochi sanno che la nostra Aeronautica ebbe i suoi "kamikaze italiani" : già nel 1940, il capitano Giorgio Graffer,come recita la motivazione della Medaglia d'oro al valor militare conferitagli, aveva fatto "della sua macchina e del suo corpo l'arma suprema per distruggere il nemico con l'urto". Lanciatosi contro aerei della RAF, Graffer poté tuttavia salvarsi all'ultimo sganciandosi col paracadute, mentre il tenente pilota Bruno Serotini,il quale,il 19 luglio 1943,da solo, si slanciò verso un gruppo di bombardieri americani nei cieli di Roma, fu abbattuto. Per quanto anche in Italia fosse stata proposta la creazione di un gruppo d'assalto suicida,il progetto non ebbe seguito:l'anima cattolica non concepisce il togliersi la vita. Interessante è scoprire quale filo lega i kamikaze originali alle bombe-umane islamiste che mietono vittime anche ai giorni nostri. Furono proprio dei giapponesi, cioè i terroristi comunisti del gruppo Sekigun, i quali nei primi anni Settanta addestrarono nel Libano già invaso da Israele una intera generazione di guerriglieri islamici,trasmettendo loro la mistica dell'attacco suicida. Capo di questi Sekigun era una donna, la "pasionaria rossa" Fusako Shigenobu. Il 30 maggio del 1972, nell'aeroporto israeliano "Ben Gurion" ecco che tre terroristi islamici uccidono una ventina di persone sparando all'imbarco sulle file dei passeggeri. Per la prima volta non è prevista una via di fuga:una volta accerchiati dalle forze d'ordine israeliane, due attentatori arabi si fanno esplodere e un terzo,nipponico,viene ferito e catturato. Da quel giorno in poi sarà una sanguinosa strada in discesa,sempre più giù,verso le valli del disonore e della abiezione. Quindi, non chiamateli kamikaze.
La presenza sulla Terra di queste intelligenze provenienti dagli spazi esterni è indiscussa. Vi portiamo a conoscenza di alcune testimonianze raccolte nel nostro passato. I Sumeri, popolo vissuto in Mesopotamia, di cui non si sa la provenienza, avevano un solo concetto dell'Universo: ANKI, che significa letteralmente CIELO E TERRA. I loro miti parlano di Dèi che, viaggiando attraverso lo spazio in "barche" o "navi di fuoco", scendevano dalle stelle e ci ritornavano. I testi Sumeri dicono esplicitamente che il popolo aveva visto con i propri occhi i loro DÈI. Essi li cercavano sempre sulle vette dei monti. Gli Dèi insegnarono loro la scrittura, il modo di lavorare i metalli e di coltivare la terra. Anche gli antichi Sumeri credevano che i primi uomini fossero il risultato di incroci tra gli Dèi e le figlie della Terra. Analizzando quanto è accaduto nella Cina preistorica, si apprende che ognuno dei leggendari imperatori era un "celeste governatore". Tutti viaggiarono attraverso lo spazio in "dragoni che vomitavano fuoco". PANKU, il primo governatore celeste, viaggiò nel cosmo, secondo la leggenda, 2.224.000 anni fa. In un antico testo INDÙ si narra che un essere straordinario chiamato SANAT KUMARA giunse sulla Terra migliaia di anni fa da Venere assieme ad altri suoi compagni, risvegliando l'intelligenza degli uomini e facendo loro conoscere il grano, le api e molte altre cose che resero la vita più facile ai nostri antenati. Il testo afferma che, con un tremendo rumore, discesero da enormi altezze e circondato da fiamme che riempivano il cielo comparve il carro dei figli del Fuoco, dei Signori della Fiamma. Essi erano venuti dalla Stella splendente e questo carro si fermò sull'isola bianca nel mare di Gobi. Le leggende dell'Asia centrale ci tramandano che in un tempo remotissimo nel deserto del Gobi c'era un grande mare nel quale vi era un'isola abitata da uomini bianchi, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi che, venuti dal cielo, cercarono di diffondere la civiltà. Le regioni dell'America centrale lo Yucatàn e Guatemala attuali, furono la culla di una delle più luminose civiltà precolombiane: la civiltà dei Maya. Nella piramide delle Sacre Iscrizioni, a Palenque, nel 1952, venne scoperta una cripta di importanza inestimabile. Nel sarcofago venne ritrovato lo scheletro di un uomo alto 1,70 m. circa, coperto da gioielli e da una maschera di giada che sottolineava una morfologia umana non appartenente a quella dei Maya. Il coperchio, sempre in pietra, riporta una incisione stupefacente che rappresenta il Dio Kukulcán mentre pilota un razzo molto simile a quelli che oggi conosciamo. Il rilievo è noto come astronave di Palenque. Il pilota è seduto in mezzo al veicolo, con il busto piegato in avanti; il tallone poggia sopra un pedale e con le mani manovra degli strumenti. Ha in testa un casco trasparente e il naso collegato con un tubo verso una specie di respiratore. Una parete divisoria separa l'abitacolo del pilota dalla parte posteriore del veicolo ove si scorgono i diversi organi del motore e un insieme di nubi da cui escono delle fiamme. Anche se i templi e i palazzi della civiltà Maya hanno subito danni irreparabili, è possibile decifrare in modo inequivocabile l'influenza di civiltà extraterrestri. Le vaste cognizioni astronomiche dei Maya sono per noi stupefacenti: conoscevano l'esistenza di Urano e Nettuno; sapevano che la Terra è rotonda ed erano riusciti a calcolare l'anno solare e quello venusiano con approssimazione fino a quattro decimali. Ma come fu possibile tutto ciò? Come mai i palazzi, i templi e le statue furono eretti in onore degli Dèi? La nostra civiltà si vanta di aver conquistato la Luna, di aver esplorato il nostro sistema solare, di aver inventato i computer, ma si è mai detto alla gente che moltissime informazioni sono state riprese da testimonianze del passato? Ad esempio, le tute dei nostri astronauti hanno avuto dei perfezionamenti scaturiti dall'esame di alcune statuine risalenti a 5-6 mila anni fa. Nel corso degli scavi archeologici, in alcune zone dell'isola di Honsu, in Giappone, sono state scoperte da A. P. Kazantsev statuine, denominate DOGU, raffiguranti degli uomini che indossano delle tute spaziali. In esse vi è una specie di filtro respiratore; il casco è munito di occhiali e ci sono anche cerniere speciali introno al collo. L'americano H. Zeissig ha mandato il rendiconto del suo meticoloso studio alla NASA. Ecco cosa risponde l'Ente Spaziale americano: "I nostri osservatori ritengono che l'ipotesi concernente la tuta raffigurata nei documenti da lei inviati, sia molto interessante. È stata preparata una tuta analoga che, inviata alla Direzione Centrale dell'Attrezzamento delle astronavi della NASA, è in via di perfezionamento a scopo sperimentale. La informiamo inoltre che i dispositivi di comunicazione, le montature speciali degli occhiali, le articolazioni pieghevoli, le cerniere a sfera e gli accorgimenti per il mantenimento della pressione, che Lei ha elencato e che sono indicati nelle fotografie, sono inclusi da detta Direzione Centrale nella variante rigida della tuta spaziale". La testimonianza delle statuine DOGU non è l'unica. Ci sono innumerevoli disegni e incisioni rupestri che rappresentano anche i loro mezzi con i relativi occupanti con tute spaziali in quasi tutti i continenti. Anche in Russia si è avuto un ritrovamento eccezionale: il graffito di Ferghana. C'è anche la testimonianza di alcuni avvenimenti accaduti molti secoli fa in Egitto. Essa compare nel papirus Tulli. Questo documento fu ritrovato tra gli incartamenti del prof. A. Tulli, già direttore della sezione egiziana dei Musei Vaticani. Il frammento risale all'incirca al 1.600 a.C. e fece parte, a suo tempo, degli annali di Thutmose III. In sintesi si dice che durante l'inverno in Egitto, il popolo fu preso dal panico per ciò che vedeva in cielo e il terrore lo spinse a nascondersi nelle case. I sacerdoti fecero subito avvisare il Faraone. Egli uscito sul terrazzo vide, alto nel cielo ed immobile, un cerchio di fuoco che pulsava ritmicamente. Il suo splendore era abbagliante. Il Faraone, molto emozionato, pensò: "Essi sono ritornati". Infatti ricordò quando suo nonno gli raccontava delle visite degli Dèi che, a bordo di navi volanti, gli davano degli ammaestramenti segreti. Ora finalmente avrebbe conosciuto gli Dèi e le domande che da parecchio tempo si poneva avrebbero avuto una risposta. Tutto ciò è facile ricollegarlo con la metodologia che usano gli extraterrestri oggi, anche se i loro insegnamenti, nella maggioranza dei casi, non vengono presi in considerazione. Anche nell'Impero Romano si ebbero tantissime testimonianze; tra esse spiccano quelle di uomini illustri. Livio, nel libro "Storia", ai libri XXI÷XXIII, afferma: "Anno 218 a.C.: In molte località del distretto di Amiterno è stata vista l'apparizione di uomini in mantello bianco che venivano da molto lontano. Il globo del Sole si rimpicciolì. A Praneste lampi di luce discesero dal cielo. Ad Arpi fu visto uno scudo nel cielo. La Luna combatteva con il Sole e, durante la notte, furono viste due Lune. Navi fantasma apparvero nel cielo". Julius Obsequente, in PRODIGIORUM cap. 114, disse: "Anno 121 a.C.: Nei pressi di Spoleto, una palla di fuoco, di colore dorato scese verso il suolo diventando sempre più grande, spostandosi verso est; era così grande da nascondere il Sole". CICERONE nel suo libro "Sulla Divinazione" (libro I cap. 43), affermò: "Quante volte il nostro Senato ha ingiunto ai decemviri di consultare i libri della Sibilla! Per esempio, quando furono visti tre soli, o quando erano apparse tre lune, o quando furono notate lingue di fuoco nel cielo; o in quell'altra occasione quando fu osservato il sole di notte, o quando nel cielo si udirono fragori e il cielo stesso embrò squarciarsi e vi furono notati strani globi". Si potrebbero fare moltissime altre citazioni, ma vogliamo scorrere il tempo ed arrivare ad analizzare il Medio Evo. Una testimonianza attendibile è da attribuirsi a Cristoforo Colombo. Durante il suo primo viaggio verso la "sconosciuta" terra che verrà poi chiamata America, il 15 settembre 1492, Colombo scorge una immensa scia di fuoco che squarcia il cielo e scompare nell'oceano. A questa stranezza, riportata nel libro di bordo, fa seguito l' 11 ottobre, una luce verdastra che si muoveva ad intermittenza sulle vicinanze della costa orientale delle Bahamas. Nello stesso periodo visse Michelangelo Buonarroti (14751564) e di lui si apprende, nel II libro di VULNERA DILIGENTIS di Fra Benedetto Luschino cap. 22, che, trovandosi in un momento della sua vita a Roma, ebbe una esperienza straordinaria. Una notte, mentre faceva orazione e guardava il cielo, gli apparve uno straordinario segno triangolare e molto grande, al di fuori di ogni conoscenza di quel tempo. Era come una grandissima stella con tre code, diverse per colore e strane. Michelangelo, dopo una attenta osservazione, cercò di ritrarre tutto ciò su un foglio. Purtroppo nel breve tempo che rientrò in casa per prendere il foglio ed uscì fuori, l'oggetto lucente scomparve. Altri insigni artisti medioevali immortalarono le loro conoscenze attraverso dei dipinti che mostrano in maniera inequivocabile quanto oggi viene presentato in altra maniera e con mezzi diversi, come "La Madonna e San Giovannino", che risale alla seconda metà circa del XV secolo. La tela, di cui è autore Filippino Lippi, mostra sullo sfondo un uomo col suo cane che stanno guardando, in alto nel cielo, una strana macchina volante. Anche in Jugoslavia, nel monastero di Visoki Decani, in un affresco della prima metà del XIV secolo, si notano ai due angoli superiori, due capsule spaziali pilotate. Quindi la storia, maestra di vita, ci dà una netta testimonianza di una realtà presente ed operante da millenni: la presenza sulla terra di intelligenze provenienti dagli spazi esterni.
A volte ciò che viene espulso a forza dalla porta rientra prepotentemente dalla finestra. Una delle cose di cui è difficile sbarazzarsi, di solito, è la bugia appena detta e sembra che di inesattezze più o meno volute la scienza ne abbia dette tante. Incertezze sulla vera evoluzione umana sembrano non comparire minimamente nei testi canonici che vengono utilizzati all’Università, dove si tenta, sempre più disperatamente, di convincere lo studente che tutto è sotto il controllo della “scienza”. La spudoratezza della scienza moderna, che si esprime attraverso i suoi oracoli (i docenti universitari), sembra non aver limiti. Così l’idea che siano veramente esistiti, in un passato remoto, esseri di altezza molto più elevata della nostra attuale non viene nemmeno presa in considerazione, nonostante che le prove della loro esistenza escano un po’ dovunque dal sottosuolo del pianeta. Infatti scheletri appartenenti ad esseri umani di grande statura si ritrovano, come vedremo meglio più avanti, in tutte le parti del globo e, se qualche scienziato di passaggio ha sentenziato che tali resti non si debbano attribuire ad esseri umani, bensì ad animali, qualcuno ha anche sostenuto che essi sono appartenuti sì ad esseri umani, ma storpi scherzi di natura, ad esseri umani colpiti da varie sindromi, sfociate in un abnorme gigantismo. Vedere i siti Internet: (http://encarta.msn.com/media_461516336/picture_of_person_suffering_from_gigantism.h tml). Fenomeni di gigantismo o nanismo, prodotti da malfunzionamenti della pituitaria. (http://www.medstudents.com.br/endoc/endoc8.htm), (http://www.emedicine.com/ped/topic2634.htm), (http://www.wrongdiagnosis.com/g/gigantism/intro.htm ). I malfunzionamenti della ghiandola pituitaria producono rachitismo in tutte le parti del corpo, pertanto, se alcune seguono un andamento di crescita normale, altre divengono sproporzionate rispetto alla grandezza dello scheletro. Anche fattori genetici, come alcune alterazioni cromosomiche, sono in grado di produrre fenomeni di nanismo o gigantismo. Chi ha il babbo alto ed il nonno alto, ha una certa probabilità di diventare anch’egli alto: in effetti molti ritrovamenti hanno portato alla luce cadaveri di giganti a breve distanza l’uno dall’altro, nello stesso sito archeologico. In questi casi è evidente che la malformazione c’entra poco, ma è stata, invece, la genetica degli abitanti del posto, la loro razza (in senso lato), ad avere riproposto le stesse caratteristiche scheletriche anomale. A complicarci la vita si mettono pure le leggende ed i miti provenienti da tutte le parti del pianeta, i quali parlano di giganti non sempre buoni, ma sempre superuomini, discendenti più o meno diretti da Dei o Semidei e nati dall’unione con un (una) normale terrestre. Uso il termine “terrestre” poiché, se la scienza ufficiale esclude che in passato l’uomo potesse essere più alto di adesso anche solo di una spanna, allora bisogna dedurre che gli esseri “umanoidi” molto alti e biologicamente compatibili con noi (come dice persino la Bibbia) sono venuti da altrove. Se, proponendole l’ipotesi che siano esistiti uomini molto più alti di quelli attuali, la scienza ufficiale gridava allo scandalo, ora, dopo la formulazione dell’ipotesi “aliena”, si mette a ridere, o meglio, a deridere chi ha il coraggio deontologico di proporla, in questo caso il sottoscritto. Ma vediamo di chiarirci un po’ le idee. ridere, o meglio, a deridere chi ha il coraggio deontologico di proporla, in questo caso il sottoscritto. Ma vediamo di chiarirci un po’ le idee. Nel suo libro del quale è mostrata, qui sopra, la copertina, Stephen Quayle riporta molti esempi di giganti, sia del passato, con prove storiche e fotografiche molto documentate, sia del presente. Altre tracce storiche di giganti nel passato si possono reperire in alcuni siti Internet, come, per esempio, http://www.lostinn.com/lworld/index.html . Ecco alcuni esempi biblici: (Bibbia - Genesi VI,1) “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: ‘Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni’. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono, questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.” (Bibbia - Numeri XIII,33) “…vi abbiamo visto i giganti, i figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro”. (Bibbia - Deuteronomio II,10) “Prima vi abitavano gli Enim: popolo grande, numeroso, alto di statura come gli Anakiti…” (Bibbia - Deuteronomio III,11) “Perché Og, re di Basan, era rimasto l’unico superstite dei Refraim. Ecco, il suo letto, un letto di ferro, non è forse a Rabba degli Ammoniti? È lungo 9 cubiti secondo il cubito di un uomo.” (Bibbia - 2 Samuele XXI, 20) - Gigante a sei dita. “Ci fu un'altra battaglia a Gat, dove si trovò un uomo di grande statura, che aveva sei dita per mano e per piede, in tutto ventiquattro dita; anch’egli era nato a Rafa.” Presso i Maya si parlava dei giganti Quinatezmin ed il "Manoscritto messicano di Pedro de los Rios" dice: "Prima del diluvio, che si verificò 4008 anni dopo la creazione del mondo, la Terra di Anahuac era abitata dagli Tzocuillixeco, esseri giganteschi..." A Gargayan, nelle Filippine, è stato trovato uno scheletro alto 5,18 metri ed a Ceylon diversi scheletri alti circa 4 metri; in Pakistan uno scheletro recuperato era alto 3,5 metri. Denti umani giganteschi sono stati ritrovati in Perù ed in Cina (dove sono chiamati “denti di drago”). Nel 1810, in California, fu trovato uno scheletro gigantesco, con un cranio enorme e sei dita, ma non è il solo esempio di essere gigantesco munito di sei dita nelle mani e nei piedi. Un altro esempio è fornito dal cosiddetto “Gigante di Nexus”. Nexus, la famosa rivista internazionale che si occupa anche di risvolti insoliti della ricerca, ha stampato, recentemente, la foto di un Gigante pietrificato, ritrovato in una vecchia miniera di carbone. Il gigante aveva sei dita nelle mani e nei piedi, era vestito in modo insolito ed era stato fotografato appoggiato ad un vagone ferroviario (foto sopra). I giganti hanno lasciato molte evidenze della loro esistenza sul nostro pianeta e ci sono località dove basta scavare per veder affiorare ossa decisamente fuori misura per un uomo dei nostri tempi. In questo disegno sono stati radunati tutti gli esempi di scheletri umani altissimi conosciuti nel mondo (http://www.mtblanco.com/). Si ricordi che 1 piede = 30,49cm. A. Normale essere umano (circa 1,83 m) B. Essere di 15 piedi d’altezza trovato nel sud-est della Turchia nel 1950, nella valle dell’Eufrate. In quel sito furono trovati molti resti di esseri altissimi, con ossa femorali gigantesche. C. Caius Julius Verus Maximinus Thrax, imperatore romano, 235-238 A.D: uno scheletro di ben 8 piedi e mezzo! D. Golia era alto circa 9 piedi. E. Re Og (Bibbia - Deuteronomio 3:11), Il di cui letto era lungo 14 piedi. F. Scheletro umano alto quasi 20 piedi, ritrovato nel 1577 sotto un grande albero nel cantone di Lucerna, a Willisau, Svizzera. G. Scheletro di 23 piedi d’altezza, trovato nel 1456 sulle rive di un fiume presso Valence, Francia. H. Scheletro (completo) alto 25.6 piedi, ritrovato nel 1613 vicino al castello di Chaumont, Francia. I. Al di fuori di ogni umana comprensione appaiono due scheletri di 36 piedi d’altezza ritrovati presso Cartagine, nel 200/600 dopo Cristo. Non mancano neppure fotografie di giganti di oggi e di ieri a testimoniare non solo la reale presenza di giganti sulla Terra, ma anche l’esistenza di un problema scientifico non risolto, anzi, totalmente ignorato dalla scienza ufficiale. Questi giganti sono veramente ben proporzionati e non appaiono affatto essere storpi o mostruosi; non sembrano vittime di sindromi particolari, ma piuttosto di una recessione genetica, una memoria all’interno del loro DNA che li ha fatti forse crescere sulla base del ricordo di qualche loro lontano antenato. È il caso di ricordare, a questo punto, che, nelle indagini sulle interferenze aliene che porto avanti ormai da molti anni, ed in particolare nelle ipnosi regressive effettuate su addotti da parte di alieni, ci si trova sempre di fronte ad esseri molto alti oppure molto bassi rispetto alla nostra statura. Una “razza” particolare di tali esseri viene descritta come dotata di sei dita nelle mani e non è un’idea peregrina, a parer mio, sospettare che almeno alcuni di quei giganti di cui abbiamo le vestigia ossee non fossero originari del nostro pianeta, ma venissero, forse, “da fuori”. In altre parole, se l’assioma di partenza è vero, cioè se gli scheletri di quegli esseri molto alti non possono essere “incastrati” in nessun punto dell’evoluzione umana, ne consegue semplicemente che gli alieni sono venuti su questo pianeta già molto tempo fa. Dovremmo dunque dare ben altro peso alle leggende sui mitici Giganti e forse potremmo scoprire che queste creature della fantasia in realtà tanto fantastiche non erano. Ulteriori informazioni sono fornite da una parte dei loro scheletri particolarmente ricca di significato: il cranio. Diamo, quindi, un’occhiata ad alcune strane tipologie craniche attribuibili ad esseri molto alti e/o grossi: I crani qui di seguito riportati mostrano due tipologie particolari. I primi due sono allungati e retroversi, molto simili alle teste di alcuni faraoni egiziani, stranamente disegnati e scolpiti in questo modo. L’altro cranio appare, in realtà, bilobato. Qualche antropologo ha pensato che scheletri di crani così allungati potessero appartenere a persone alle quali, per motivi estetici e religiosi, essi erano stati fasciati fin dall’infanzia, proprio per far loro assumere tale forma. (http://www.acam.it/deformazioni_craniche2.htm). In effetti questa usanza era presente presso alcune tribù e dovremmo chiederci cosa spingesse gli indigeni a far assumere al loro cranio quella forma, con chissà quali sofferenze: forse il desiderio di assomigliare a qualcuno dei giganti, considerati Dei, visti transitare dalle loro parti molto tempo fa? In realtà la maggior parte dei crani di cui si parla è di proporzioni enormi rispetto ai nostri od a quelli dei nostri antenati e sembra impossibile che tali vestigia ossee siano appartenute ad un comune essere umano. È altrettanto impossibile credere che questi crani traggano origine da malformazioni ossee legate a sindromi di qualche genere, poiché dalle analisi effettuate su tali reperti sembra di poter dedurre che si trattava di umanoidi perfettamente normali. (http://www.stevequayle.com/index.html). Molti di questi crani appartenevano certamente a creature umanoidi molto alte, ma forse non tutti. Noi umani siamo soliti prendere delle cantonate pazzesche quando cerchiamo di fare ricerca come si deve, pertanto se arrivasse un solerte e serio naturalista esperto in evoluzione umana e vedesse questi crani direbbe: A. Sono di umani malformati B. Sono di grosse proporzioni, perciò sono di umani malformati e grossi. Le due affermazioni appaiono del tutto risibili: ho già dimostrato, in altri lavori, che l’essere umano attuale non ha la più pallida idea della sua vera evoluzione e che le teorie oggi sbandierate nei nostri atenei fanno acqua da tutte le parti. Il punto B risulta ancor più delicato, perché, nelle descrizioni fatte dagli addotti, ci si trova sempre in presenza di esseri piccoli ma macrocefali. L’ipotetico (si fa per dire) esperto, nell’esprimere un giudizio su quei crani, avrebbe applicato un criterio del tutto personale, secondo il quale ciò che va bene per l’uomo dovrebbe andar bene per qualsiasi altro essere antropomorfo. Nella morfologia di alcuni di quei crani ho trovato una strana ed intrigante somiglianza con la forma cranica di una “razza” aliena descritta molte volte dagli addotti da me studiati. Questi addotti non conoscono le strutture dei crani riportate in questo studio, ma descrivono un essere piccolo (circa 1,50 m), con un grande cranio bilobato, proprio come quello mostrato qui sotto. Cosa vorrà dire? Mumble, mumbe, c’era scritto nel fumetto sopra la testa di Topolino quando lui era perplesso: chissà se quel fumetto si adatta anche a coloro che sono stati addotti da questi esseri di bassa statura, con le pieghe della pelle del collo molto in evidenza e con qualcosa ai lati del cranio della quale non si è ancora capito cosa sia e che qualcuno, oltre oceano, ha ricostruito in questi modi. Ecco che, in queste ricostruzioni fantastiche, risaltano ineluttabilmente analogie con i misteriosi crani bilobati del Perù. Dunque forse non è pazzesco pensare che qualche forma di alieno umanoide abbia lasciato le sue vestigia ossee su questo pianeta e che possa ancora essere da queste parti a farsi gli affari propri in barba a noi.
In effetto i materialisti, consapevoli o no, ritenendosi comunque fedeli alla realtà, in quanto percepiscono la materia come la realtà obiettivamente loro offerta e in quanto se la rappresentano senza sapere di rappresentarsela, non hanno vero contatto con la realtà. Sono gli esseri più pericolosamente astratti. E il banco di prova della loro mancanza di praticità -che è dire insufficienza di senno umano- è l'organizzazione dell'economia, che si risolve in sistematici fallimenti dei loro astratti programmi. Il materialista è il metafisico persuaso, perché ciò verso cui si comporta come con una trascendenza, in definitiva, lo palpa. Mai un metafisico nel passato aveva palpato la metafisica. Questa volta egli la tiene in mano : perché infine l'ha scoperta : si è accorto di percepirla. Ha scoperto infine il fondamento: la materia. E' sufficiente che egli cammini perché la tocchi con i piedi o che mangi un piatto di tagliatelle perché egli l'abbia dentro di sé. IN VERITA' IL MATERIALISTA MANGIA LA METAFISICA. Ormai non vi sono più veri problemi, perché ciò che prima sembrava svanire nelle nebbie della mistica o della speculazione, della misteriosofia o della magia, è stato realisticamente identificato. Si tocca, è lì, dinanzi all'uomo, percepibile e duttile. Mai immanenza è stata più immediata ed evidente. Perché tutti siamo fatti di materia e ci nutriamo di materia, e tutto quanto vi è di bello e armonico nella natura, sino alla forma umana non è che una elaborazione della materia. Operata da chi? Dalla materia stessa, naturalmente, la quale, per virtù di tale autoelaborazione, giunge ad essere in Hegel una filosofia dello spirito e non della materia. Come mai? Certo non perché lo spirito esista, bensì perché la materia, mediante un pensatore come Hegel, giunge a darsi una veste di idee. Situazione ben compresa da Marx, che invece rimise le cose a posto, perché attraverso lui la materia si restituì a se stessa, servendosi dello spirito. La materia è lo spirito. Si tratta di vedere quale di questi due termini è il soggetto.Che non può essere problema discorsivo né dialettico. E' la questione di cui potrebbe decidere soltanto chi sperimentasse la materia in sé e da questa sapesse che cosa è lo spirito, se vuoto nome, o qualcosa di più, che si possa tuttavia dedurre solo dalla materia e sia perciò una sorta di secretum della materia : oppure da chi sperimentasse lo spirito e perciò potesse percepirlo come fondamento, senza cui la materia non esisterebbe, allo stesso modo che senza forza vitale non potrebbe esservi pianta(forza vitale che mai nessun strumento fisico ha afferrato, fuori delle manifestazioni fisico-meccaniche, altrimenti si sarebbe giunti a ricostruire una pianta chimicamente: ciò che non è mai avvenuto. Si potrebbe certo riprodurre il seme di una pianta chimicamente e dargli persino la forma giusta, ma mai da un tal seme potrebbe nascere una pianta). Ma chi sperimentasse veramente la materia, non potrebbe sperimentarla se non con ciò che ad essa non è riducibile : lo spirito. Così non è lo spirito quello che non è capace di penetrare la materia, ma solo opporsela materialmente o dialetticamente. Come diviene reale una percezione? E' questo ancora il problema, sia per coloro che vedono solo il percepito, sia per coloro che vedono solo il pensiero, o lo spirito. Il materialismo è la conseguenza di queste due posizioni parimenti esclusivistiche :perché da ambedue la materia non è conosciuta, non è penetrata, perciò lasciata dominare laddove dovrebbe essere compenetrata da forze di conoscenza : che non sono la dialettica, né materialista né spiritualista. Perciò l'antimarxismo vale il marxismo: l'uno apre il varco all'altro. Il materialismo che si coltiva nelle università europee e americane, sotto forma di astratto sapere che non penetra un atomo del mondo materiale, è quello che alimenta il marxismo e le forme marxiste sulla terra.La mentalità sistematico-meccanica di certi docenti, l'astrattezza di certa analisi fisiologica e psicologica, il dialettismo strutturato unicamente di rapporti terminologici, e perciò privo di pensiero di una serie di autorevoli sociologi, filosofi, economisti, storici, ecc., non è che materialismo teorico, eliminante gradualmente nella gioventù le forze della moralità che possono venire solo da movimenti e vita dell'anima. La realtà è che non si ha sufficiente autonomia rispetto alla percezione sensibile, non si vuole conseguire -almeno dai responsabili della cultura- la coscienza delle forze interiori che si esplicano nella percezione, perché tali forze sono le stesse su cui il pensiero ha fondamento incorporeo, essendo esse puramente sovrasensibili, altrimenti non potrebbero afferrare il sensibile. La materia non penetrata è il materialismo : così la dialettica dell'impotenza a penetrare il mondo della materia è il marxismo. Nell'epoca in cui l'uomo comincia ad avere le forze per penetrare il mistero del mondo sensibile, tale possibilità viene paralizzata da una mitica della materia che tende a incantare l'uomo dinanzi al feticcio della materia percepita e non conosciuta : per impedirgli di conoscerla veramente. La realtà umana come mera percezione sensoria, privata del moto intimo di pensiero per cui sorge, viene deificata. Le percezioni perdono la possibilità di essere unite da ciò che è il loro significato unitario : i particolari vengono esaltati nel loro realismo staccato dalla unità ideale che li domina e li giustifica. Il fatto umano, nella sua gretta veste sensibile, priva di interna correlazione, viene reificato. Parimenti mitizzate vengono le cosiddette "relazioni umane", le più pedestri e spente: sorge la retorica realistica: dell'arte, del romanzo, della sociologia, della propaganda che non risparmia nulla. Certa letteratura esaltata e premiata è veramente l'ambito del più grigio provincialismo psicologico, in cui vengono elevate a dignità letteraria squallide situazioni erotiche, o domestiche, o sentimentali, o quadri di esistenza in cui la banalità che dovrebbe essere trascesa viene invece consacrata esteticamente. Ciò che si percepisce sensoriamente viene esaltato come se fosse la verità: il particolare, il provvisorio, il contingente, l'insignificante, l'inessenziale vengono elevati a valori di realtà. Qualsiasi tanghero sappia scrivere con facilità, purché raggiunga il grado di banalità e prosaicità, o talora di trivialità, necessarie alla rappresentazione realistica del "comportamento umano" e alla "feticizzazione delle relazioni umane", o alla idolatria delle "istanze sociali", viene consacrato scrittore e comincia a imperversare sulla carta stampata con la sua socialoide retorica, in cui di realmente sociale non fluisce nulla, perché non fluisce vita di idee. Mai realismo è stato più lontano dalla realtà e della socialità. Perché i fatti, i particolari, la cronaca, le note sensibili, la necessità materiale, non sono l'uomo, ma ciò attraverso cui egli si manifesta: non sono la verità ma ciò di cui la verità si veste. L'uomo non è il suo vestito. Potrà essere importante per lui vestirsi e conoscere l'arte di vestirsi, e persino propagare la necessità di quest'arte, ma il vestirsi non sarà lo scopo della sua vita. E' lui che deve vestirsi, non il vestito vestirsi di lui. Così il fatto economico non è la sua realtà, ma uno dei modi di manifestarsi della sua realtà. V'è qualcosa al di sopra della cronaca, che è la storia, ma v'è qualcosa di superiore alla storia, che è la leggenda. La leggenda di Garibaldi contiene più verità che la cronaca della sua vita. Questa cronaca può prestarsi all'espressione della miseria mentale di cronisti, storici, rievocatori, registi, che possono ridurre la rappresentazione della vita di lui alla bruta e incolore fattualità quotidiana, alla meschinità dei particolari, che non sono nulla, mentre tutto è il senso che li unisce e può vivere solo come idea o come leggenda: ciò che soltanto può essere arte, o storia. Occorrono talora mille fatti perché si possa trarre da essi un pensiero, mille situazioni sensibili perché si possa risalire all'idea che li muove, la realtà non essendo la serie dei fenomeni ma il loro incorporeo principio, ciò che li unisce e li usa come sostanza della forma della storia dell'uomo, quotidiana ed eterna : onde, quando tale realtà sia percepita, in un solo particolare può essere còlto il suo elemento di verità e perennità, così come dalla contemplazione di un filo d'erba si può risalire alla natura creatrice. Questo è il vero realismo, non il particolare in quanto tale deificato, non il bruto fatto metafisicizzato: non l'idolatria. Perché caricare di forza psichica la scorza, o l'apparire delle cose, per l'incapacità di cogliere l'idea che le muove e non ha altra possibilità di movimento che quello della nostra interiorità :consacrare la veste sensibile e ignorare ciò di cui è veste e che solo può essere còlto nell'atto vivente del pensiero: è in vero idolatria.
Ho già parlato in passato di antivirus. Niente spiegazioni su cosa è un software antivirus o come si installa. Un’occhiata invece al mondo di quelle soluzioni gratuite che nascondono delle insidie o, per meglio dire, piccoli inganni. L’antivirus è un qualcosa di irrinunciabile, ci tutela dagli attacchi virali al nostro pc. È però un software di sistema, in background, che non notiamo più di tanto, di cui a volte ci dimentichiamo l’esistenza. Ecco il perché di scelte preinstallate, fornite dai rivenditori. Spesso si tratta di abbonamenti annuali già compresi nell’offerta, allo scadere del tempo si disattivano.; prima di arrivare alla data di scadenza, il programma informa, varie volte, sulla possibilità di rinnovare l’abbonamento a costi vantaggiosi. Se avete una carta di credito di solito la cosa avviene in modo molto semplice ma, se non l’avete, non solo non avrete la versione aggiornata perché quello è l’unico mezzo di pagamento accettato. Poniamo il caso in cui non vogliate un software completo, vi vada bene la release ridotta. Ci sono sicuramente delle funzionalità in meno, forse anche un’esecuzione più lenta ma, d’altronde, è gratis. E’ pur vero che ormai, i prezzi di questi prodotti si sono ridotti tantissimo per cui, la scusa che il software ha un prezzo alto non la possiamo usare. Ed ecco che, allora, a intervalli decisi dal detentore dell’antivirus, a volte all’avvio del computer, appaiono box di dialogo che richiedono di passare alla versione completa a pagamento. Il messaggio a volte si limita a mostrare statistiche sull’efficienza del prodotto, in versione full, dimostrando così la convenienza del passaggio a tale versione. Altre volte, il software ci propone di eliminare un virus o passare ad un aggiornamento che dovrebbe essere un normale update dell’archivio dei virus, invece si tratta di una installazione guidata verso il software a pagamento. Questi annunci si susseguono anche molto frequentemente, disturbando le operazioni, perché ciò che appare è una finestra sopra tutte le altre. E quindi ci costringe a focalizzare l’attenzione sul messaggio, eliminando il pop-up che, in fase di chiusura, ci può chiedere se siamo certi di voler rinunciare all’estirpazione di quel nuovo virus. In realtà non è così. Anche gli antivirus gratuiti hanno l’obbligo minimo di garantire la sicurezza del sistema. La soluzione non gratuita associa spesso altri strumenti come delle barre che si agganciano al browser internet e una forma di backup nel cloud. Ma non siamo, non dovremmo essere costretti a tornare sui nostri passi per acquistare il pacchetto. Gli antivirus sono noti, in versione a pagamento e non. Se facciamo la scelta di avere sul nostro pc un qualcosa che esiste anche gratuito, le motivazioni possono essere diverse, in ultima proprio il prezzo. Poi la leggerezza nell’esecuzione, la trasparenza, la semplicità di utilizzo. Potremmo menzionare anche il tempo da dedicare alla manutenzione, sicuramente maggiore, e che può richiedere competenze di cui non disponiamo. Ecco come mai. Gratuito significa più facile da gestire, meno impegnativo. Ma non per questo non sufficientemente sicuro. I messaggi un po’ minacciosi che si susseguono sono vergognosi. A volte anche intimidatori o ricattatori. Come dire che se non acquistiamo il pacchetto completo il nostro notebook non sarà in grado di fronteggiare l’ultima novità virale. Capisco che siamo immersi continuamente in spot pubblicitari, non mi pare corretto ossessionare chi lavora davanti a un terminale con continue richieste che termineranno solo se si effettuerà l’upgrade. Diffido le società fornitrici di antivirus gratuiti, perlomeno a diminuire il numero di interruzioni con le quali danno la possibilità di passare, dietro pagamento, alla versione completa perché in fondo , è un comportamento del tutto lecito.
Windows continua a imperversare sulla maggior parte dei computer di tutto il mondo. Ha avuto il pregio della compatibilità e per questo, nel tempo, si è portato dietro una folla di sostenitori. A parte il contraltare di questa scelta, dovuta più che altro a motivi storici, che ha sempre portato a problemi di instabilità dovuti alla pletora di componenti che si è tenuti a supportare, si è cercato di migliorare l’interfaccia verso l’utente. Questo a volte, ha comportato anche delle mosse non proprio corrette, cercando di imitare ambienti operativi già a proprio agio nel mondo grafico, come i Macintosh. Nel farlo, Microsoft ha subito,in corso di sviluppo, una curva a volte ascendente, spesso discendente. Alcune migliorie sono state accompagnate da piccoli errori, a volte trascurabili, alcuni sono stati corretti con patch successive, altre volte hanno afflitto il sistema fino all’uscita della nuova versione di Windows. La pecca maggiore è sicuramente l’interfaccia, sia dal punto di vista grafico che per quanto riguarda l’interazione con il mouse e la tastiera. Partiamo da un punto di vista, apparentemente non considerato. Un computer non è un quadro, un dipinto, o un opera d’arte da ammirare, standosene comodamenti seduti sul divano di casa. Non è un oggetto passivo. E, sebbene la sua veste grafica possa influenzare, psicologicamente o materialmente, il modo di interagire, è necessario che la percentuale di attenzione rivolta a questo aspetto cambi, diminuisca. Trasparenze dei bordi delle finestre, continue notifiche, possono, in un primo momento incuriosire, successivamente divenire fastidiose e confusionarie. Il vedere parte del desktop sottostante, anche a finestra massimizzata, può arrecare disturbo. In fondo, se ingrandiamo la nostra applicazione, non ci interessa sapere cosa sta sotto. Diversamente, la semplice combinazione ALT + TAB, o un clic del mouse sulla barra delle applicazioni, in corrispondenza dell’icona del desktop, saranno sufficienti a riportarci dove vogliamo. Alcune notifiche, come quella della barra della lingua, sono veramente inutili. Anni fa si tendeva ad eliminare servizi e software di sistema superflui, per alleggerire e velocizzare la macchina. Oggi si consumano cicli di clock, con la giustificazione che i processori siano ormaidivenuti sufficientemente potenti e multitasking, per implementare più servizi, a volte non proprio vitali. E l’interfaccia, in generale? Siamo passati, di versione in versione, a voler figurare le varie cartelle e oggetti in modo tridimensionale, con un’idea di prospettiva, tornando ai tempi attuali, con riquadri piatti e finestre, in certi casi, senza pulsanti disposti sulla barra del titolo, a volte anche lei assente ingiustificata. Ma perché tutto ciò? A logica Microsoft, questo porterebbe a un avvicinamento tra le interfacce utente dei vari dispositivi, con un innegabile occhio di riguardo a quelli mobili. Su di uno smartphone o tablet, per motivi di ridotta potenza di calcolo e primitive grafiche, il contesto degli oggetti è reso molto semplicemente, con il minor numero di elementi, togliendo animazioni e altri fronzoli superflui che renderebbero la navigazione internet più problematica. Inoltre, la disposizione delle icone e del testo, della visualizzazione in generale, è diversa. Su un cellulare touch abbiamo la cosiddetta modalità portrait, vale a dire dall’alto in basso, con vista verticale; Su di uno schermo grande di un pc fisso invece, c’è il modo landscape, con vista orizzontale. Ora, capisco l’intenzione di far assomigliare uno schermo da 20 pollici orizzontale, a uno in verticale da 5, per spingere la gente verso quest’ultimo. Ma già il discorso è fisicamente inapplicabile. Prendete un normale forno da cucina e un piccolo scaldavivande. Ora immaginate di avere da cuocere una pizza e fare un toast. Non credo che vi siano dubbi: la pizza nel forno grande e il toast diventerà leggermente croccante nel fornetto. La pizza non entrerebbe nemmeno nello scaldavivande, il toast brucerebbe, consumando molta corrente, nel forno più grande. Il senso del discorso? Certe cose non sono intercambiabili, a tutto c’è un limite. Non potremo mai usare un software cad su un cellulare. Poca potenza, schermo troppo piccolo per i dettagli, il dito è più impreciso rispetto al mouse per disegnare. Viceversa, La trasportabilità, in termini di peso e leggerezza, la fanno da padrone parlando di touch screen come quelli degli smartphone. Le modifiche non sono solo dei desktop verso i mobili, ma anche dei cellulari, basti pensare alla possibilità di ruotare lo schermo in orizzontale con la mano. Ma anche qui c’è uno snaturamento; il disagio dell’interno della mano, sopportabile per un tempo limitato. Il cellulare, sia per rispondere, sia per effettuare operazioni via web, viene tenuto in posizione verticale. Poi, se vogliamo apprezzare un video, che solitamente è visualizzato su un grande schermo, ruotiamo il display e magari lo appoggiamo su un supporto o un tabolino, guardandolo senza toccarlo, con la possibilità di mostrarlo anche ad amici. Ma, in pratica, sono i dispositivi mobili ad assomigliare ai desktop o al contrario? Diciamo che la cosa va, più o meno, di pari passo. Rispettando le possibilità offerte dall’hardware, le funzioni cambiano, aumentano. Su di uno smartphone si riescono a visualizzare video e immagini, audio e altri particolari che prima non era possibile eseguire. Tutto in accordo all’accresciuta capacità elaborativa. Sullo schermo di un pc, se prendiamo Windows 10, possiamo trovare una fila di programmi, chiamati app, affiancati dagrandi icone, le cosiddette tile, che abbiamo su schermi di ridotte dimensioni idonee al touch. E poi l’assistente vocale Cortana, ad emulazione dei software equivalenti su piattaforme android e IOS. Posso capire il voler far conoscere una nuova applicazione software, non certo il suo utilizzo sul desktop. L’interfaccia dei vari assistenti vocali risulterà indubbiamente di grande aiuto su un device di piccole dimensioni tipo tablet o meglio uno smartphone, dove l’interazione tastiera touch o gesture coinvolgono di solito l’altra mano che così, può essere lasciata libera di fare altre operazioni. Ma in ambito desktop, quando si è comodamente seduti, e quindi si ha un appoggio che lascia libere entrambe le mani, e una comoda tastiera di formato standard, nessuno adopererà mai Cortana, se non per gioco, data l’imprecisione che ancora questi riconoscitori di voce portano con sé. Allo stesso modo, perché utilizzare riquadri touch come le tile, su uno schermo di, diciamo 20 o 24 pollici? Il mouse è molto preciso, non c’è motivo di usare una rappresentazione con icone di buone dimensioni che servono ad agevolare l’interazione con il dito. Ciò avviene solo con quegli schermi di mezzo, come notebbok con schermo touch o convertibili, dove l’interoperabilità tra utente e macchina è ripartita tra tastiera standard e touch; per inciso, i notebbok con schermo tattile sono più costosi e non così diffusi. Ma parliamo anche delle app. Termine oggi, ormai universalmente accettato e conosciuto, ereditato dal mondo degli smartphone. Anche qui, stessa cosa. Le applicazioni originariamente sviluppate per i computer desktop, sono state, per ovvi motivi, ridotte, in termini di dimensioni occupazionali ed esigenza di hardware. Le prestazioni ridotte sono un compromesso ragionevole per far si che questi software possano girare in modo efficiente anche su dispositivi mobili con poca potenza di calcolo. Sono stati anche ideati piccoli software ad hoc per i mobili e, tutte queste applicazioni software, per indicare la loro differenza prestazionale con programmi dalle mille funzioni presenti sui computer fissi, utilizzano il troncamento della parola applicazione, app. Ma non dovrebbe essere il contrario. Se aprite il menu del tasto start in Windows 10 trovate la voce app, ad indicare la lista di tutti i software installati. Qui potreste trovare un rilevatore di posizione gps, analogo al suo gemello su di un cellulare; ma poi trovare Microsoft word o Coreldraw che, di app, hanno ben poco. Sono programmi con una miriade di funzioni, pesanti se vogliamo, ma che, per l’appunto, spremono a fondo tutta la potenza elaborativa fornita da un pc senza compromessi. Ma allora perché chiamare anche queste applicazioni app? Ma è evidente. Allineare tutto a quello che si vuol far entrare nella testa, il business degli ultimi anni, gli smartphone. Non c’è motivo di sminuire le reali prestazioni di un vero pc desktop classico osannando la portabilità di un piccolomarchingegno che non potrà mai eguagliare le caratteristiche avanzate del fratello maggiore. Si dovrebbero tenere separati questi due mondi, quello desktop e dei pc portatili, laptop o notebook che siano, e quello dei convertibili, tablet e in misura preponderante, gli smartphone. I target sono diversi, come i modi d’uso; e il perché non c’è tanto da spiegarlo: Sono nettamente divisi in termini oggettivamente prestazionali e di usabilità, i pochi punti in comune che li rendono parte della famiglia informatica non devono essere esasperati. Ma veniamo alle ultime variazioni che Microsoft ha apportato a Windows. Il menu start. E’ stato il componente più discusso di tutta l’interfaccia. Anche perché è il primo che utilizziamo e vediamo all’accensione. Da lì possiamo accedere ai vari software e alle caratteristiche del sistema. Dopo aver pesantemente cambiato la sua impostazione in Windows 8, la casa di Redmond ha fatto un piccolo passo indietro, con una visualizzazione più snella e la possibilità di configurare alcune sue parti. Troppo tardi! Ormai nel web imperversano utility gratuite e a basso costo per rimpiazzare questo menu stravagante con un altro che, oltre ad offrire una quantità di funzioni elevata e interessante, riporta il lokk and feel ai tempi di Windows 7 o addirittura XP. L’interfaccia Modern che aveva fatto la sua comparsa in Windows 8 ha avuto vita breve. Fortemente criticata è stata subito rivisitata in Windows 8.1. Ma mamma Microsoft ha mantenuto la sua linea, insistendo in una rappresentazione di un menu ingombrante e affollato, non tanto e solo di cosiddette “app”, ma anche di link a siti web di supporto tecnico, gaming e altro. Ha inoltre modificato alcune funzioni, che permettevano cose che ora sono nascoste, difficilmente raggiungibili. Un esempio per tutti: aprendo il menu start, cliccando col tasto destro del mouse su una applicazione (oops, app), potevamo trovare la voce proprietà, che ci mostrava un box di dialogo con varie info su quel collegamento, importantissimo, la sua posizione, per eventuali azioni. Provate a fare la stessa cosa su di una macchina windows 10. Sia che clicchiate coll tasto destro del mouse o usiate il tasto aplicazioni, le voci saranno diverse, inferiori alle aspettative. Non troverete la voce che ho citato sopra. E vi garantisco che non risulta così ovvio giungere allo stesso risultato. Dovrete selezionare la voce altro, poi apri percorso file. Verrà mostrata una cartella con i link contenuti. Poi, se volessimo avere le stesse informazioni dovremmo fare qui un clic destro col mouse sul collegamento e scegliere proprietà. Una tortuosa e inspiegabile lungaggine che Microsoft giustifica col fatto che certe azioni devono essere lontane dalla portata di utenti non esperti, che rischierebbero di provocare eventi dannosi alla stabilità del sistema. Ma davvero? Molti sono gli utilizzatori alle prime armi di un pc e forse rimarranno utenti superficiali, per incapacità o scelta. Potrei assicurare agli ingegneri di Microsoft che questi soggetti,, 9 su 10, spesso non sanno nemmeno che il mouse possa essere utilizzato al di fuori del doppio clic sinistro; e non si sognerebbero mai di fare un singolo clic destro andando a ricercare una o più voci annidate di cui non saprebbero cosa farsene…diciamo che, nella pratica, si è complicata un po’ la vita di quei piccoli manutentori o smanettoni che vogliono intervenire direttamente su alcune caratteristiche di windows, che non sono poi così pericolose. Altra novità. Aprite il menu file e cercate la voce nuovo per creare una cartella. Non c’è più. Per crearla dovrete cliccare su di un’icona sopra il menu, oppure digitare la combinazione da tastiera CTRL + SHIFT + N. Potrete ritrovare la voce nel menu contestuale cliccando col mouse in una zona vuota della cartella. D’accordo per le scorciatoie da tastiera e le barre con le icone di scelta rapida, ma a chi dava fastidio una voce del genere, tra l’altro logicamente presente, non solo per la creazione di nuove cartelle ma anche di vari tipi di documenti vuoti, nel menu file? Si è invece aggiunta la voce di menu “apri nuova finestra”, in puro stile web, anche se non siamo connessi. E,sempre nel menu file, trovate la voce “apri windows powershell”, un potente linguaggio di script a riga di comando, non so bene quanto noto. Certamente sarebbe stato preferibile mettere questo comando da un’altra parte; Gli utenti avanzati sanno come raggiungere questa interfaccia, mentre gli altri, o non sanno di che farsene, o rischiano di combinare dei guai, come la cancellazione di alcune importanti componenti del sistema operativo. Ecco perché non capisco l’aver messo questa voce di menu all’interno delle cartelle e non lasciarla nel menu start. Ah, sempre a proposito di start, vi ricordate il comando esegui presente nella parte inferiore del pulsante avvio? Anche quello non c’è più. Esiste ancora, ma per scovarlo dovrete cliccare su start col tasto destro del mouse e qui avrete, tra le altre cose come powershell, la voce esegui. Tale comando si pone ad un livello intermedio, non elevato come il powershell; ragion per cui, poteva essere lasciato all’interno della lista delle applicazioni del menu start, in basso, per essere subito visibile e raggiungibile. Altra stranezza? Avete presente quando, in un word processor, foglio di calcolo o altro software con il quale stiate lavorando ad un documento, inavvertitamente, chiudete l’applicazione? Vi verrà notificato che avete modificato tale file, chiedendovi se volete o meno salvare le modifiche apportate. Se cliccate di no, il programma si chiuderà e perderete il lavoro fatto. Se rispondete di sì, il software salverà il file con il nome impostato o ve lo chiederà, poi si chiuderà. Ciò vale non solo per le grandi applicazioni, ma anche per wordpad, il piccolo e ristretto software di videoediting. E il blocco note? Udite udite, se scrivete qualche appunto in questa piccola applicazione storica di Windows, dalla versione 10, le cose sono cambiate. Se avete effettuato modifiche, vi verrà mostrato il prompt con la richiesta di salvare o meno i cambiamenti. Se dite si , saranno salvate le modifiche, ma l’applicazione resterà aperta sullo schermo. Dovrete cliccare nuovamente sulla X o premere ALT + F4 una seconda volta per chiudere la finestra. Un’azione in più che, s’intende, non è la fine del mondo ma è, semplicemente insensata, costringendo l’utente a ripetere l’azione di chiusura della quale era già certo e che non avrebbe portato perdite di danni vista la richiesta modale di salvataggio. Vorrei citare un’altra stravaganza, da inserire tra le scorciatoie da tastiera. Vi ricordate la pressione del tasto Windows + F? Dall’inglese find, trova, apre una finestra di ricerca con la quale è possibile ricercare file o altri elementi nel pc o in remoto. Molto comoda. Peccato che sia presente fino a Windows 7 e, ora, in Windows 10 no. Se usate la combinazione WIN + F si apre una finestra con la dicitura “hub di facebook”. Francamente non mi riesce di dare una logica a questa scelta. Sì, forse una logica c’è. Facebook è una piattaforma social che ormai imperversa in tutto il web, come non farne a meno? E si è pensato quindi di inglobare un richiamo a questo social network. Ma Facebook non fa parte di Windowss, non è Microsoft. Ma allora si predilige un link a questo sito piuttosto che mettere a portata di mano una funzione ormai consolidata. Proprio così. Si potrebbe pensare che comunque, la funzionalità non sia stata abolita, ma sia stato tolto il richiamo rapido da tastiera. In effetti, se andiamo nel menu start, non troviamo più nemmeno la voce “cerca”. Ma se ci clicchiamo di tasto destro, nel menu contestuale troviamo questa voce. Eccola lì, qualcuno dirà. Provate. Questo comando aprirà la finestra di ricerca vocale di Cortana. Vi immaginate, essendo su di un pc da scrivania, senza microfono, a che cosa possa mai servire questa cosa? Queste vscelte progettuali mi lasciano un po’ perplesso. Al limite, su di un portatile, con microfono incorporato, la funzione di ricerca sarebbe immediatamente attiva ma, in altre condizioni?Perché fingere sempre di trovarsi su di un dispositivo mobile? E passiamo un po’ per l’accessibilità. Da varie versioni, Windows ha pubblicizzato sommessamente le proprie implementazioni di sintesi vocale e ingranditore di schermo. Il maggior difetto del sintetizzatore certamente è…la voce, in inglese! Da un po’ comunque, si riescono a trovare nel web sintesi vocali in italiano di discreta qualità da abbinare al motore già presente nel sistema. Ma, alla fine, tutta la struttura non regge il confronto con altre soluzioni gratuite o commerciali di cui ho già accennato in altro articolo. La lettura avviene, con pochi comandi, spostandosi in porzioni di testo racchiuse in riquadri, allo stesso modo di quanto succede sui dispositivi portatili; questo la dice lunga sulla comune natura evolutiva del software. Ma, parlando della serie niente è perfetto, anzi peggio, diamo un breve sguardo al sistema ingrandente. Il noto magnifier. In certi frangenti, grazie a questa soluzione, non si sente la mancanza di nomi altisonanti come Magic o Zoomtext. La comodità di poter impostare diverse opzioni di personalizzazione rende il prodotto adattabile a diverse esigenze. Proprio di una di queste impostazioni vorrei capire il senso. Segui il cursore del mouse, o segui la tastiera, in windows 7 consentono di far sì che la porzione di video ingrandita sia sempre sotto controllo pratico, quando scriviamo, quando ci spostiamo col tasto tab su un determinato elemento, oppure quando vogliamo inquadrare, muovendo il mouse una fetta dello schermo. Bene, in Windows 10, oltre a farvi venire il capogiro, questa doppia impostazione andrà in conflitto; il punto di inserimento da tastiera viene continuamente riaggiornato, e, quando muovete il mouse, il punto inquadrato viene riportato sempre da un’altra parte. Anche il sottoscritto utilizza questo magnifier e, posso dirvi, l’unico modo per ovviare a questo comportamento che non consente di utilizzare la massimizzazione dello schermo, è disattivare una delle due opzioni. Dovrete selezionare solo segui il puntatore del mouse o, alternativamente, segui il punto di inserimento della tastiera. Ovviamente rinunciando ad alcune funzionalità. Se, ad esempio, avete impostato solo l’opzione che segue il cursore del mouse e state scorrendo una lista di file, dovrete lasciare le mani dalla posizione sulla tastiera e raggiungere il contorno interessato dall’ingrandimento muovendo il mouse. Lo stesso accade se vi trovate in un word processor. Se però siete in una pagina web con form e campi da riempire, dovrete impostare solo la funzionalità segui il cursore del mouse, ma non entrambe, per il problema detto prima. Non è dato sapere se questa sia una stranezza dovuta al sistema operativo o al software di ingrandimento. Fatto sta che prima non succedeva, abbiamo fatto un capitombolo all’indietro. Certo, qualcuno dirà, ma sono ben pochi ad usare queste funzionalità. Beh, vero fino a un certo punto. Le persone con handicap sono in aumento, le normative e i dettami tecnici da rispettare ci sono però…ogni tanto si brucia l’arrosto…semplicemente queste cose non dovrebbero succedere, così come non dovremmo incontrare pdf inaccessibili resi in modo grafico (vedi altro mio articolo “Riviste inaccessibili” nel numero precedente di questa rivista).
Cari lettori e lettrici! Che piacere trovarvi qui. Sono felice di condividere con voi questo spazio dedicato al benessere ed alla bellezza il cui obiettivo è quello di incoraggiarvi ad apprezzarvi di più. A qualunque età, vedersi più piacevoli e sentirsi in forma, dà sicurezza, ci aiuta a vivere meglio la giornata e i rapporti con gli altri. Piacevolezza, bellezza esteriore ma anche interiore, perché è fondamentale curare il corpo, ma anche lo spirito. Solo la serenità con sé stessi può esprimere bellezza, dunque, fascino. La bellezza non è solo un dono di natura per pochi fortunati: è costruzione, creatività e un continuo dialogo con sé stessi. Lo è anche il benessere e la decisione di restare giovani. E se la mente decide, il corpo ci segue. Quindi non ci resta che iniziare a pensare di intraprendere questo viaggio! A tale scopo basta seguire questo decalogo che di seguito ho incluso in questo breve scritto. Dieci regole per coltivare la bellezza. 1- non contare le calorie ma la quantità di movimento rapido da fare ogni giorno. 40' al giorno (camminata veloce, bici, corsa) sono per la forma fisica e mentale. 2- niente bevande zuccherate o alla frutta. (tutto zucchero, anche se non aggiunto.) 3- ogni giorno fare almeno una cosa che ci piaccia molto. 4- dare spazio all'inutile. non solo a ciò che conviene, che costa, che richiede sforzo o rassegnazione. 5- prolungate l'igiene. relax di bagno o doccia, che non devono mai essere di corsa. 6- nutritevi in modo sano, con tanti centrifugati di verdura fresca bio.. 7- mangiate ogni giorno una mousse di 1/2 avogado frullato con 1/2 mela verde e succo di limone: omega3, vitamina C, Vitamina A ed E, ottime per ringiovanire la pelle. 8- leggete libri di approfondimento psicologico, che aiutano a capire meglio se stessi e gli altri. Se ne trovano di fantastici in libreria, semplici e divulgativi. 9- accogliete in casa amici, e/o uscite per conoscerne di nuovi. Telefonate!!!! Voce voce voce!!!!! È più rassicurante degli impersonali SMS. Ok alle cene semplici e improvvisate. 10- tirate fuori i sogni dal cassetto. Ogni cosa per essere realizzata deve prima maturare dentro di noi. Ma non rimandiamo: é ora di far fluire all'esterno, l'energia che rende materiali e pratici i nostri progetti mai realizzati. Su, il mondo vi aspetta!
Non è più solo il trattamento delle star, ma uno dei trattamenti più "cliccati" della medicina estetica. Vi ricorrono donne e uomini di tutte le estrazioni: impiegati, manager, casalinghe Basti pensare che il botulino ha sostituito il lifting chirurgico della parte superiore del volto. Per capire l'importanza e la validità di questo trattamento che ormai conta decine d'anni d'esperienza e oltre 5000 lavori scientifici. Ma quali cautele prendere e quali i luoghi comuni da sfatare? I MIEI CONSIGLI: - non fare mai il botulino se non si è convinti! - se si decide, scegliere in tutti i casi un medico esperto - farsi rilasciare dal medico sempre il nome del farmaco utilizzato - entro 15 giorni fare un controllo dal medico per eventuali ritocchi - non fare il botulino se si hanno malattie muscolari autoimmuni, neurologiche o in gravidanza SFATIAMO I LUOGHI COMUNI! - il botulino non è tossico, in particolare nelle quantità usate in medicina estetica - non paralizza i muscoli, ma li rilassa per cancellare o addolcire le rughe della fronte e delle zampe di gallina - non gonfia nè le labbra nè gli zigomi ( non si usa per queste zone e non è un volumizzante!) POSITIVITA ' DEL BOTULINO - è una sostanza sicura, un farmaco approvato e sorvegliato dal Ministero della Salute - migliora e ringiovanisce l'aspetto di occhi e fronte, rialza il sopracciglio, Migliora l'aspetto del collo e del profilo mandibolare (Nefertitis lift), ma non altera i lineamenti né crea danni permanenti - il suo effetto dura infatti circa 4/5 mesi, dopo tutto torna come prima (mai peggio!) - si può ripetere ogni 4/5 mesi, a tutte le età e in tutte le stagioni dell'anno. Le migliori precauzioni? Scegliere un medico competente (un buon riferimento è la Società Italiana di Medicina Estetica) e soprattutto non lasciarsi sedurre da prodotti a prezzi "scontati", di ignota provenienza e nessuna garanzia di efficacia e di igiene.
Un menù con i fiocchi… (di salute)! In questo periodo dell’anno il piacere della tavola si fa sempre più spazio alla ricerca soprattutto di ricette tradizionali. E se tra i nostri invitati ci fosse qualche commensale con intolleranze o allergie ad alcuni alimenti (ad esempio latte, formaggi, uova), con ipercolesterolemia, oppure fosse vegetariano, vegano o seguisse altri regimi dietetici inusuali? Cosa si potrebbe cucinare? Ecco alcune idee per un menù alternativo, sfizioso e adatto a tutti! Vi auguro con tutto il cuore di poter trascorrere momenti gioiosi e conviviali con i vostri cari, avvolti dalla magica atmosfera di queste feste... Buon Natale e Buon 2019! Menù Antipasto: Chips di topinambur alla paprica Salsa: Salsa di spinaci su crostini fumanti Primo: Lasagne al ragù di seitan Secondo: Bastoncini croccanti di tofu impanato Contorno: Cavolini di Bruxelles al forno con panna di soia e gherigli di noci Dolce: Stelle di Natale al farro con crema spalmabile alle nocciole e fiocchi di neve Tisana digestiva: “Spirito di Provenza” ai frutti di bosco NB: le dosi consigliate sono per 4 persone Chips di topinambur alla paprica Ingredienti: ½ Kg di topinambur, olio extra-vergine di oliva, pane grattugiato, paprica, sale integrale. Lavate molto bene i topinambur per eliminare anche l’eventuale presenza di terra. Con un pelapatate ricavate delle fette molto sottili (dallo spessore di qualche millimetro), ponetele all’interno di una ciotola e condite con l’olio extra vergine di oliva, paprica e sale. Oleate una teglia, distribuite sulla superficie un po’ di pane grattugiato, adagiate le chips di topinambur e cuocete in forno caldo per circa 10 minuti. Salsa di spinaci su crostini fumanti Ingredienti: 250 g di spinaci (già cotti e strizzati), 4-5 cucchiai di panna di soia, 4 fette di pancarré, 8 gherigli di noci, un cucchiaio di pane grattugiato (o quantità maggiore in base alla consistenza desiderata della salsa), un cucchiaio di olio extra -vergine di oliva, origano, sale integrale. Frullate tutti gli ingredienti (ad esclusione dei gherigli di noci) e spalmate la salsina ottenuta sulle fette di pancarré tagliate a triangoli e precedentemente fatte tostare per qualche minuto in una padella antiaderente. Guarnite con i gherigli di noci. Lasagne al ragù di seitan Ingredienti: 12 fogli per lasagne (di semola di grano duro), olio extra-vergine di oliva, lievito di birra in scaglie, sale integrale. Ingredienti per il ragù di seitan: 1,4 l di passata di pomodoro, 600 g di seitan al naturale, mezzo bicchiere di vino bianco, una carota, una cipolla, un gambo di sedano, olio extra -vergine di oliva, sale integrale. Ingredienti per la besciamella (senza latte e burro) 500 g di bevanda vegetale (latte di soia, di mandorle ecc.), 4 di olio extra-vergine di oliva, 4 cucchiai di farina semintegrale, noce moscata, pepe, sale integrale. Preparazione del ragù di seitan Pulite le verdure, tagliatele a dadini e fatele insaporire in una pentola capiente dove avrete messo qualche cucchiaio di olio extra-vergine di oliva. Aggiungete il seitan tritato finemente, sfumate con il vino bianco, unite la passata di pomodoro, un pizzico di sale e cuocete per circa 30-40 minuti. Preparazione della besciamella (senza latte e burro) In una pentola ponete l’olio extra-vergine di oliva, la farina semintegrale e mescolate con la frusta per evitare la formazione di grumi. Aggiungete il latte vegetale (non caldo), un pizzico di noce moscata, pepe e sale; mescolate lentamente e portate ad ebollizione sino a raggiungere una consistenza abbastanza densa e cremosa. Fate ora lessare per qualche minuto i fogli per lasagne in abbondante acqua salata, aggiungendo un filo di olio extra-vergine di oliva per evitare che si incollino tra loro; scolateli con una schiumarola e adagiateli, uno accanto all’altro, su di un asciugamano pulito. Quando tutti gli ingredienti saranno pronti, distribuite su una teglia uno strato di fogli per lasagne, uno strato di ragù e infine di besciamella. Ripetete l’operazione, con la stessa sequenza, per altre 2 volte e terminate l’ultimo strato con un’abbondante spolverata di lievito di birra in scaglie. Cuocete in forno caldo per circa 20-25 minuti a 200° C. Bastoncini croccanti di tofu impanato Ingredienti: 350 g di tofu al naturale, 2 cucchiai di farina semintegrale, un bicchiere di acqua, pane grattugiato, olio extra-vergine di oliva, origano, salsa di soia, sale marino alle erbe. Preparazione Fate bollire il tofu in acqua salata per 2-3 minuti, scolatelo, fatelo intiepidire e tagliatelo a bastoncini. Preparate ora una pastella unendo alla farina, l’origano, un pizzico di sale alle erbe ed un quantitativo di acqua fredda sino ad ottenere la densità della besciamella. Passate i bastoncini di tofu nel composto ottenuto e poi nel pane grattugiato. In una pentola antiaderente ponete qualche cucchiaio di olio extra-vergine di oliva e cuocete i bastoncini di tofu finché saranno ben croccanti. Prima di spegnere il fuoco, distribuite a piacere qualche goccia di salsa di soia. Cavolini di Bruxelles al forno con panna di soia e gherigli di noci Ingredienti: 400g di cavolini di Bruxelles, 10-12 gherigli di noci, 5-6 cucchiai di panna di soia vegetale, lievito di birra in scaglie, olio extra-vergine di oliva, noce moscata, sale integrale. Preparazione Lavate i cavoli di Bruxelles, cuoceteli al vapore per circa 10 minuti, lasciateli intiepidire e tagliateli a metà. Oleate una teglia, distribuite i cavolini, coprite uniformemente con la panna di soia, le noci frullate, aggiungete un pizzico di noce moscata e spolverate a piacere con il lievito di birra in scaglie. Cuocete in forno caldo per circa 10 minuti a 180° C. Stelle di Natale al farro con crema spalmabile alle nocciole e fiocchi di neve Ingredienti per i biscotti: 250 g di farina farro, mezzo bicchiere di bevanda vegetale (latte di riso, di soia, di mandorle, ecc.), mezzo bicchiere di zucchero integrale, 8 cucchiai di olio di mais, cocco grattugiato in scaglie, un cucchiaino di lievito per dolci, scorza grattugiata di un limone, cannella in polvere. Ingredienti per la crema spalmabile alle nocciole: 200 g di nocciole tostate, 150-200 g di zucchero integrale, 120 ml di acqua, 60 g di cacao amaro, 60 g di olio di mais, cocco in scaglie. Preparazione dei biscotti Ponete la farina di farro in una ciotola, unite lo zucchero integrale, la cannella, la scorza grattugiata del limone e il lievito; aggiungete poi l’olio di mais, la bevanda vegetale ed impastate sino ad ottenere un composto compatto (inserite se necessario ancora un po' di bevanda vegetale). Lasciate riposare l’impasto in frigorifero per circa mezz’ora, poi stendetelo con un matterello e, con l’aiuto di una formina, ricavate delle stelline, disponetele su di una teglia ricoperta da carta da forno e cuocete in forno caldo per circa 10-15 minuti a 180° C. Preparazione della crema spalmabile alle nocciole. Ponete in un mixer lo zucchero integrale e frullatelo; aggiungete le nocciole tostate, tutti gli altri ingredienti e frullate nuovamente sino ad ottenere una crema omogenea. Quando i biscotti saranno raffreddati, spalmate sulla superficie la crema alle nocciole e spolverate con il cocco in scaglie. Tisana digestiva “Spirito di Provenza” ai frutti di bosco Ingredienti: 1 litro di acqua, 2-3 cucchiai di componenti vegetali (rosa canina, lavanda, tiglio, pezzi di mele, fragole, rovo, foglie di mirtillo), dolcificante naturale (facoltativo). Preparazione Portate l’acqua ad ebollizione con 2-3 cucchiai di erbe. Lasciate in infusione per una decina di minuti, filtrate e dolcificate a piacere (facoltativo). La tisana può essere bevuta calda, tiepida o fredda.
A) ALIMENTAZIONE a) Dieta alcalina e invecchiamento La massa muscolare decresce gradualmente negli over- 50 generando debolezza, aumentando i rischi di cadute e disabilità fino alla riduzione dell’indipendenza dell’individuo. Il calo di massa magra connesso all’invecchiamento ha cause multifattoriali: molti studi hanno dimostrato che l’Acidosi Metabolica favorisce l’indebolimento muscolare e che le diete ricche di cibi acidogeni possono contribuire a una riduzione della massa magra negli anziani. Attraverso un trial clinico condotto presso la Tufts University, durato tre anni, su 384 arruolati (di cui 212 donne) con età > 65 anni è stato provato che la dieta, intesa come combinazione di alimenti consumati quotidianamente, influisce sull’equilibrio acido-base dell’organismo, contribuendo, se non correttamente bilanciata, a questo processo negativo (fonte: The American Journal of Clinical Nutrition 87.3 (2008): 662–665). B) DIABETOLOGIA a) Diabete e cibi ricchi di fibre Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia legata agli stili di vita che, riducendo la capacità dell'insulina di regolare la presenza di zuccheri nel sangue, causa danni a organi e tessuti in circa 4 milioni di italiani. Ricercatori della Rutgers University (New Jersey), hanno suddiviso i partecipanti a uno studio in due gruppi, la metà dei quali ha ricevuto una dieta standard e l'altra metà una dieta simile ma con alti livelli di fibre, come i cereali integrali. Dopo 12 settimane, il secondo gruppo mostrava maggiore riduzione dei livelli di glucosio nel sangue. L'aumento delle fibre aveva potenziato in particolare un gruppo di circa 15 batteri intestinali, favorendo la produzione di alcuni acidi grassi a catena corta (acido acetico e acido butirrico) che derivano dalla fermentazione dei carboidrati introdotti con il cibo con la creazione di un ambiente più acido nell'intestino, portando ad un aumento della produzione di insulina e a un migliore controllo della glicemia. Le fibre alimentari, quindi, cambiano la flora intestinale in senso anti-diabetico (fonte: Science). C) EPATOLOGIA a) Epatite da HBV: nuove linee guida L’Epatite B cronica può portare a cirrosi, insufficienza epatica o tumori epatici primari, complicanze precoci in circa il 25% dei casi e la vaccinazione rappresenta il metodo più efficace di prevenzione. Le nuove linee guida pubblicate da ACP e CDC richiedono ai medici di vaccinare tutti gli adulti non vaccinati a rischio di infezione, comprese le donne in gravidanza, e di sottoporre a screening gli adulti a rischio alcuni dei quali, in particolare quelli immunocompromessi con nefropatie terminali, potrebbero necessitare di dosi vaccinali maggiori e dovrebbero, inoltre, essere sottoposti a test post-vaccinali ed in caso di risposta subottimale, essere vaccinati di nuovo. Nelle popolazioni ad alto rischio andrebbe inoltre effettuato uno screening basato su diversi marcatori anticorpali del virus (Ann Intern Med online 20/11/2017). D) GASTROENTEROLOGIA a) Ruolo delle cellule nervose intestinali nella regolazione delle risposte delle cellule linfoidi Ricercatori americani della Cornell University di New York hanno scoperto che le cellule del sistema immunitario del tratto gastrointestinale (cellule linfoidi innate del gruppo 2, ILC2s) sono connesse ai neuroni colinergici ed esprimono il neuropeptide neuromedina U che fa da messaggero per le cellule nervose che in vitro indurrebbe le ILC2s a moltiplicare e secernere più rapidamente le citochine che possono contribuire a scatenare una risposta immunitaria o a causare l’infiammazione. Inoltre, la somministrazione di neuromedina U ad animali da laboratorio infettati da un parassita intestinale provocherebbe infiammazione e una risposta immunitaria che aiuta i topi a eliminare più rapidamente l’infezione viceversa gli animali geneticamente programmati per non avere il recettore della neuromedina U sarebbero più suscettibili all’infezione tanto che i parassiti si moltiplicano più rapidamente. L’identificazione di un ruolo del sistema nervoso intestinale, nella regolazione delle risposte delle cellule linfoidi, apre la possibilità che questi percorsi possano essere mirati nel contesto dell’infezione intestinale, delle allergie alimentari e della malattia infiammatoria dell’intestino quindi i risultati dello studio potrebbero fornire le basi per sviluppare nuove terapie (fonte: Nature, 2017). E) GENETICA a) Terapia genica per l’adrenoleucodistrofia cerebrale (Ald o malattia dell'olio di Lorenzo) L'Ald è una malattia genetica che colpisce un bambino su 20mila i cui sintomi si manifestano intorno ai 7 anni con una prognosi non superiore ai 10 anni circa. Ricercatori del Children's Hospital di Boston utilizzando cellule staminali del sangue, inserendo con un virus HIV inattivato la versione corretta del gene difettoso e poi reinfondendole somministrate prima che i sintomi diventino evidenti, sembrano riuscite nell'arrestare la progressione della malattia, quindi sembrano riuscire dove l'Ald ha fallito. A due anni dal trattamento in 15 bambini su 17 la malattia si è arrestata, in uno progrediva troppo velocemente perché la terapia facesse effetto e l'ultimo ha lasciato lo studio per tentare un (non riuscito) trapianto di midollo (fonte: New England J Medicine, 2017). F) GERIATRIA a) Prevenzione dell’invecchiamento cerebrale Ricercatori del NICO-Università di Torino,avvalendosi di una tecnica che marca i neuroni in divisione già dalla vita fetale, usando la pecora come modello animale con aspettativa di vita estesa (15-20 anni) e cervello relativamente grande, situandosi a metà tra il topo e l’uomo hanno concluso che la prevenzione dell’invecchiamento cerebrale potrebbe essere possibile grazie ad una riserva di neuroni immaturi in alcune zone del cervello, riserva evidenziata in modelli animali e studi sono ora in corso anche sull’uomo. Ci si è accorti che esistono due tipi di neuroni “giovani”: quelli generati ex novo nella neurogenesi adulta e altri che vengono prodotti prima della nascita ma rimangono in uno stato di immaturità per tempi indefiniti, in attesa di essere utilizzati presenti anche in altre specie di mammiferi oltre ai roditori. Oggi è confermato che sono immaturi tutti i neuroni della corteccia cerebrale sono immaturi e anche in altre regioni del cervello, tra cui alcune importanti nella gestione delle emozioni e degli stati coscienti. Questi risultati suggeriscono che questo tipo di plasticità potrebbe essere stato ‘scelto’ nel corso dell’evoluzione da specie con ridotte capacità di neurogenesi come la nostra. La possibilità di una riserva di neuroni giovani nel cervello è oggi un’allettante ipotesi per il futuro con possibili ruoli nella prevenzione dell’invecchiamento cerebrale (fonte: Journal of Neuroscience). G) INFETTIVOLOGIA a) Blenorragia (Gonorrea o Scolo): in USA frequente terapia inappropriata La Blenorragia (Gonorrea o Scolo) è causata dalla Neisseria gonorrhoeae, un diplococco Gram-negativo, la cui trasmissione avviene per contatto diretto con una persona infetta, per contatto con secrezioni infette o attraverso il canale del parto, dalla madre al figlio. In più della metà delle femmine risulta asintomatica; nelle restanti, fra i vari sintomi, si riscontrano: bruciore vaginale; perdite vaginali giallastre; minzioni frequenti; gonfiore delle parti genitali; rossore e prurito. L'infezione può diffondersi per via ematica e possono manifestarsi: febbre; tachicardia; nausea, vomito; peritonite e ovarite [infiammazione dell'ovaio]. Nel sesso maschile, se contratta attraverso rapporti sessuali attivi, si manifesta dopo un periodo di 2-7 giorni di incubazione, soprattutto con la difficoltà all'emissione di urine: disuria e stranguria. In assenza di trattamento i sintomi possono durare anche mesi prima di normalizzarsi. In caso di contrazione a seguito di rapporti anali passivi si può riscontrare l'infezione a livello rettale. Per una diagnosi certa è necessario prelevare un campione delle secrezioni mediante tampone della zona infetta. La gonorrea rappresenta la seconda più comune patologia modificabile dopo la clamidia ed i casi in USA sono aumentati del 18,5% dal 2015 dove il 18,7% dei pazienti non riceve il trattamento raccomandato dal CDC, condizione particolarmente preoccupante alla luce della resistenza in aumento alla maggior parte degli antibiotici impiegati (Morb Mortal Wkly Rep 2’18; 67: 375-6). Dal 2015 il CDC raccomanda ceftriaxone ed azitromicina per il trattamento della forma non complicata utilizzati soltanto nell’81,3% dei pazienti. H) LABORATORIO a) Diagnosi ematologica precoce di neoplasia (metodo ISET) Il metodo ISET permette di riscontrare la presenza di cellule tumorali in chi ha avuto un tumore e chi è a rischio molto prima rispetto ai metodi tradizionali (PET, TAC e Risonanza magnetica), estraendo dal sangue cellule che derivano dagli organi, non utilizzando quindi antigeni, ma è interamente basato sulla dimensione delle cellule infatti, poiché le cellule degli organi sono più grandi delle cellule del sangue, è possibile “filtrarle”, trattenerle e analizzarle. I) NEUROLOGIA a) Nuove linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence) del Morbo di Parkinson Il morbo di Parkinson è una patologia neurodegenerativa dall’impatto socio-sanitario rilevante con ripercussioni sulla qualità di vita di migliaia di famiglie. In Italia i pazienti sono circa 250.000 con circa 6.000 nuovi casi/anno, con un’incidenza maggiore negli uomini. Il 70% è over-65 mentre nel 5% dei casi è under-50. In atto la sua gestione è influenzata negativamente: dalla mancanza di strategie preventive, di una terapia risolutiva, dall’esistenza di pochi centri specializzati e dal fatto che la maggior parte delle Regioni mancano di specifici percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) basati su linee-guida recenti di buona qualità metodologica. In attesa dell’aggiornamento delle linee-guida pubblicate nel 2013, la Fondazione GIMBE ha realizzato la versione italiana delle line- guida del NICE, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del nuovo Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’I.S.S. che sottolineano la necessità di coinvolgere paziente, familiari e caregiver in tutte le decisioni terapeutiche e di prendere in considerazione condizioni cliniche, bisogni e circostanze di vita dei pazienti oltre che obiettivi terapeutici e preferenze sui potenziali benefici ed effetti collaterali dei diversi farmaci. Particolare attenzione viene dedicata al disturbo del controllo degli impulsi che consiste nell’impossibilità di resistere alla tentazione di eseguire atti dannosi per sé stessi o per altri (alimentazione incontrollata, gioco d’azzardo, shopping compulsivo e ipersessualità), quali effetti collaterali della terapia dopaminergica nel 14-24% dei pazienti. Il disturbo del controllo degli impulsi, difficile da riconoscere soprattutto se i pazienti nascondono i loro comportamenti, può causare stress a pazienti, familiari e caregiver, difficoltà finanziarie, fino a condanne penali (www.evidence.it/parkinson, 2018). b) Intelligenza, attrazione sessuale e percezione di piacere o meno Il sapiosessuale è colui che reputa l’intelligenza un fattore di attrazione fondamentale che rende il partner desiderabile dal punto di vista sessuale. Uno studio della University of Western Australia ha esaminato le preferenze in termini sessuali o di rapporto romantico di 383 persone, di 18 - 35 anni somministrando un questionario sulla sapiosessualità. È emerso che circa un partecipante su 10 totalizzava punteggi alti in una scala di valutazione apposita, più specificamente, in un range da 1 a 5, l’8,1% e l’1,3% del campione hanno ottenuto un punteggio rispettivamente superiore a 4 e 4,5. Non sono emerse differenze sostanziali tra i due sessi; il quoziente intellettivo (IQ) giudicato più attraente si aggirava intorno ai 120 (il medio è circa 100), anche se per molti non oltre 135; l’intelligenza secondo sarebbe il secondo tratto non fisico più desiderabile della personalità, dopo la gentilezza e la comprensione (fonte: Intelligence). Come percepire se piaciamo o meno ? A rispondere è una meta-analisi di 309 studi dall’Università di Alberta che ha identificato i principali comportamenti che poniamo in atto quando ci piace qualcuno e ha anche dimostrato che uomini e donne in tutte le culture usano comportamenti simili. Tra i segnali, che indicano che all’altra persona piacciamo, c’è il cercare la vicinanza fisica, il copiare i movimenti e l’avvio della conversazione seguiti dal contatto visivo, cioè dal guardare dritto negli occhi, dall’annuire, dal sorridere e dal ridere. Segnali negativi sono, invece, scuotere i capelli, inclinare la testa o protendersi verso l’altra persona (fonte: Psychological Bulletin, 2018). L) ONCOLOGIA a) Microbioma orale e abuso di alcool Il microbioma orale può portare a patologia orale locale e potenzialmente a tumori della testa, del collo e del tratto digestivo. Ricercatori del Perlmutter Cancer Center del NYU Langone Health di New York City hanno studiato il ruolo dell’alcol nel microbioma orale con uno studio trasversale su 1.044 adulti (età media 67,7 anni, 95% caucasici), che prendevano parte a due studi sul cancro, attualmente in corso. Tutti i partecipanti erano sani quando sono stati arruolati e hanno fornito campioni del loro microbioma orale e informazioni sul consumo di alcool: il 25,9% non beveva, il 58,8% era composto da bevitori moderati e il 15,3% beveva molto. Tra i consumatori di alcool, il 13% beveva solo vino, il 5% solo birra a il 3,4% solo liquori. I gruppi dei bevitori presentavano percentuali più elevate di uomini e fumatori. Tra forti bevitori e astemi si registrava una forte diversità del microbiota orale e dei profili batterici in genere, oltre che una riduzione di un gran numero di Lactobacilli commensali tra i consumatori di alcool. Tra i forti bevitori erano presenti soprattutto Actinomiceti, Leptotrichia, Cardiobacterium e Neisseria. Alcuni di questi batteri contengono patogeni orali mentre i Neisseria possono sintetizzare dall’etanolo l’acetaldeide, sostanza cancerogena. La diversità microbica e i profili potevano differire tra astemi e consumatori di vino ma non tra astemi e consumatori di birra o di liquore. Tutte le differenze significative tra astemi e consumatori di alcool sono rimaste (fonte: Microbiome 2018).
A) CARDIOLOGIA a) Giapreza (angiotensina II) per il trattamento dell’ipotensione grave nello shock L’F.D.A. (Food and Drug Administration) ha approvato Giapreza (angiotensina II) per aumentare la pressione sanguigna negli adulti con shock settico o altro tipo di shock distributivo. In uno studio clinico su 321 pazienti Giapreza ha aumentato la pressione sanguigna in modo efficace in aggiunta ai trattamenti convenzionali. Poiché può causare pericolosi coaguli di sangue con serie conseguenze (coaguli arteriosi e venosi compresa la trombosi venosa profonda) dovrebbe essere utilizzata una profilassi per i coaguli ematici. b) Nuovo ruolo dell’Acido Acetilsalicilico (ASA) nella prevenzione Le malattie cardiovascolari rappresentano in Italia la principale causa di mortalità e morbilità con un importante impegno in termini di spesa.Poiché la trombosi occupa un ruolo centrale nello sviluppo di patologie cardiovascolari, la terapia anti-piastrinica rappresenta un caposaldo della loro prevenzione primaria e secondaria. Negli anni sono stati condotti numerosi studi per valutare l’efficacia degli anti-piastrinici nella prevenzione cardiovascolare, in particolare sull’ASA con un’attenta valutazione del rapporto costi/benefici. In prevenzione secondaria il rapporto è a favore dei vantaggi mentre in prevenzione primaria l’assunzione di ASA è consigliata in elevata probabilità di eventi cardiovascolari e bassa di emorragie, e sconsigliata in caso contrario, valutando sempre le comorbidità del paziente e le sue preferenze in caso di rischio cardiovascolare intermedio. Le nuove evidenze sulla chemio-prevenzione contribuiscono ad aumentare l’attenzione su ASA, concorrendo alla definizione di un suo nuovo potenziale ruolo nella prevenzione cardiovascolare e neoplastica (fonte: Documento di consenso e raccomandazioni per la prevenzione cardiovascolare in Italia - 2018. G Ital Cardiol. 2018; 18: Suppl 1 al n° 2). c) Omega 3 e patologie cardiache Per ridurre l’elevata incidenza delle malattie cardiache nei Paesi occidentali, si sono nutrite molte speranze nei grassi omega-3, a base di olio di pesce, che svolgono un ruolo importante nel costruire le membrane delle cellule, ed i primi studi indicavano la capacità di ridurre il colesterolo e di guarire le infiammazioni. Per valutare la loro efficacia sono stati analizzati 79 sperimentazioni randomizzate che hanno coinvolto 112.059 soggetti, ricontrollando tutti i dati non osservando effetti protettivi sul rischio di eventi cardiovascolari, morti da infarto, eventi di malattie coronarie, ictus o irregolarità cardiache (fonte: Cochrane Library, 2018). B) CHIRURGIA a) Vedolizumab in adulti con colite ulcerosa attiva moderata – severa Visible 1 è uno studio di fase 3, controllato verso placebo, con un braccio attivo costituito da vedolizumab a somministrazione endovenosa, che ha arruolato 384 pazienti adulti con colite ulcerosa attiva moderata - grave, caratterizzati da perdita di risposta o risposta inadeguata o intolleranti a corticosteroidi, immunomodulatori o terapie con antagonisti del fattore di necrosi tumorale (TNF) prima di essere arruolati nella terapia di mantenimento, che avevano ottenuto la risposta clinica alla sesta settimana alla terapia di induzione con due somministrazioni di vedolizumab intravenosa. In una proporzione di pazienti statisticamente significativa, rispetto al placebo, si è constatata la remissione clinica alla settimana 52, nel gruppo dei trattati col farmaco sottocute dalla sesta settimana e poi ogni due settimane. C) Dermatologia a) Farmaci contenenti retinoidi: nota informativa importante I farmaci contenenti retinoidi, disponibili in forme orali e topiche, sono ampiamente utilizzati per trattare varie forme di acne, eczema cronico grave delle mani che non risponde ai corticosteroidi, forme gravi di psoriasi e disturbi della cheratinizzazione. La tretinoina può anche essere usata per il trattamento della leucemia promielocitica e il bexarotene nel trattamento delle manifestazioni cutanee dello stadio avanzato del linfoma cutaneo a cellule T. A seguito di una recente revisione, il Comitato Europeo per la Valutazione dei Rischi nell’ambito della Farmacovigilanza ha rafforzato le avvertenze sulla teratogenicità ed i disturbi neuropsichiatrici. I retinoidi orali (acitretina, alitretinoina, bexarotene, isotretinoina e tretinoina) sono altamente teratogeni pertanto l’uso di acitretina, alitretinoina e isotretinoina in donne potenzialmente fertili deve essere conforme alle condizioni previste dal Programma di Prevenzione della Gravidanza (PPP). Per il bexarotene e la tretinoina orale, alla luce delle rispettive indicazioni oncologiche che richiedono cure specialistiche in ambito ospedaliero e della popolazione a cui sono destinati, si ritiene che le attuali misure siano appropriate e quindi non è necessaria l’implementazione di un PPP. Insorgenza/aggravamento della depressione psichica, ansia ed alterazioni dell’umore sono stati riportati in pazienti trattati con retinoidi orali pertanto si raccomanda che i pazienti che assumono retinoidi orali siano allertati della possibilità di soffrire di cambiamenti d’umore e del comportamento e che informino subito il proprio medico per un eventuale trattamento appropriato in caso di depressione. D) INFETTIVOLOGIA a) Krintafel (tafenoquina), nuovo farmaco contro la malaria, dopo 60 anni . Nel mondo ogni anno oltre 200 milioni di persone sono vittime della malaria (fonte: OMS), con oltre 500mila morti, soprattutto bambini. L'F.D.A. ha approvato Krintafel, diretto contro la forma recidivante della malattia, che colpisce ogni anno 8,5 milioni di individui, soprattutto in Asia, America Latina e nel corno d'Africa a partire dai 16 anni. Il nuovo farmaco colpisce il parassita quando è nella forma silente nel fegato e va aggiunto ai farmaci per debellare il parassita in fase attiva. La terapia è risultata valida per almeno sei mesi con una singola dose. b) Nota informativa importante dell’AIFA su dolutegravir L'Agenzia Italiana del Farmaco rende disponibili nuove e importanti informazioni in seguito alla segnalazione di casi di difetti del tubo neurale osservati bambini nati da donne che, al momento del concepimento, erano in trattamento con dolutegravir. In uno studio di sorveglianza, attualmente in corso, su gli esiti alla nascita, condotto in Botswana (studio Tsepamo), sono stati segnalati 4 casi di difetti del tubo neurale (neural tube defects- NTD) su 426 bambini nati da donne che, al momento del concepimento, erano in trattamento con dolutegravir come parte della terapia antiretrovirale di combinazione (incidenza di circa lo 0,9% rispetto ad una incidenza attesa di circa lo 0,1% nei nati da donne che assumevano altri antiretrovirali al momento del concepimento). Mentre è in corso la valutazione di questo segnale di sicurezza, si raccomandano le seguenti misure: nelle donne potenzialmente fertili (women of child bearing potential -WOCBP) deve essere eseguito un test di gravidanza e deve essere esclusa la gravidanza prima di iniziare il trattamento; le WOCBP che stanno assumendo dolutegravir devono usare un metodo contraccettivo efficace durante tutto il trattamento; alle WOCBP che stanno attivamente cercando di restare evitare il suo uso. Qualora una donna rimanga incinta mentre assume dolutegravir e la gravidanza sia confermata nel primo trimestre, passare ad un trattamento alternativo a meno che non sia disponibile un’opzione terapeutica adeguata. c) Tubercolosi: primo farmaco non antibiotico Per oltre 60 anni l'unica arma contro la tubercolosi è stato un cocktail di antibiotici, per 6-8 mesi, spesso con pesanti effetti collaterali e con il 20% di rischio che la malattia ritorni e il problema della farmaco-resistenza. Ricercatori dell'Università di Manchester hanno sviluppato il primo farmaco non antibiotico che ha trattato con successo la tubercolosi nei porcellini d'India con l'infezione in forma acuta e cronica prendendo come bersaglio le difese del batterio del Mycobacterium tuberculosis (Mt) anziché il batterio stesso, quindi non uccidendo il batterio direttamente ma riducendone in modo significativo la carica; disattivandone le difese è aumentata la capacità del sistema immunitario a farlo eliminare. L’Mt produce particolari molecole che bloccano la risposta del sistema immunitario all'infezione. I ricercatori hanno identificato una di queste molecole, MptpB, e usata come bersaglio, bloccandola e permettendo ai globuli bianchi di uccidere il batterio senza risultare tossico per le cellule umane. E poiché il batterio non viene trattato direttamente, è meno probabile che sviluppi farmaco-resistenza. Gli studiosi sperano di testarlo sull'uomo entro i prossimi 3-4 anni (fonte: Journal of Medicinal Chemistry, 2018). d) Nuova terapia in unica pillola per l'AIDS La Food and Drug Administration (FDA) ha approvato una nuova terapia combinata in una singola pillola/die per il trattamento dell'HIV-1. Il farmaco, inibitore della proteasi, è il primo a unire darunavir (800 mg), cobicistat (150 mg), emtricitabine (200 mg) e tenofovir alafenamide (10 mg). Due studi, di 48 settimane, hanno evidenziato nel 95% dei pazienti la soppressione virale. Ha quindi una potenza eccellente e una forte barriera genetica alla resistenza. E) MALATTIE METABOLICHE a) Nuovo farmaco anti -obesità Ricercatori australiani del Centenary Institute e della University of New South Wales di Sydney, attraverso uno studio a lungo termine, hanno creato un farmaco che inibisce un enzima della famiglia ceramide sintetasi 1 (CerS1) che produce molecole che promuovono l'insulina-resistenza nei muscoli e nel fegato quindi favorenti condizioni come il diabete di tipo 2. Testando la sostanza su topi, nutriti con una dieta ricca di grassi, per indurre malattie metaboliche, si è osservato che non ha impedito lo sviluppo di insulino-resistenza, come ci si sarebbe aspettati ma ha impedito ai topi di immagazzinare lipidi, aumentando la loro capacità di bruciare i grassi nei muscoli scheletrici quindi mostrando di avere un notevole effetto nel ridurre il grasso corporeo. Ulteriori studi sono necessari prima che si arrivi a qualcosa di adatto all'uso clinico (fonte: Nature Communications, 2018). F) ONCOLOGIA a) Le statine potenziano i farmaci contro i tumori del sangue Dalla prima parte di una ricerca condotta presso la University of California in Irvin su animali con linfoma o leucemia si era visto che la sopravvivenza aumentava dando una statina in associazione al farmaco oncologico venetoclax. Dalla seconda parte dello studio svolta retrospettivamente su quasi 338 pazienti con leucemia linfocitica cronica è emerso che coloro che avevano assunto statine durante le cure oncologiche rispondevano di più al venetoclax. Se questi risultati saranno confermati le statine sembrano in grado di stimolare il “suicidio” delle cellule malate e potrebbero essere utilizzate anche come farmaco anticancro per le neoplasie ematiche (fonte: Science Translational Medicine). b) Anche in U.E. Tisagenlecleucel e Axicabtagene, prima terapia personalizzata contro le neoplasie (Car-T) A un anno dall’esordio negli USA della Car-T, la Commissione Europea ha dato parere favorevole all’immissione in commercio di Tisagenlecleucel (di Novartis) e di Axicabtagene Ciloleucel (di Gilead), basate sull’utilizzo dei linfociti T del paziente, opportunamente ingegnerizzate, per riconoscere e combattere il tumore. Tisagenlecleucel è indicato fino ai 25 anni nella leucemia linfoblastica acuta a cellule B refrattaria, in recidiva post-trapianto o in seconda o successiva recidiva e per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B recidivante o refrattario dopo due o più linee di terapia sistemica. L’approvazione dell’Ema è basata sugli studi clinici registrativi JULIET ed ELIANA da cui è emerso che il farmaco produce tassi di risposta elevati e continuativi con un profilo di sicurezza coerente in due popolazioni di pazienti difficili da trattare. Axicabtagene Ciloleucel è indicato in adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B e con linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B, entrambi recidivanti o refrattari, dopo due o più linee di terapia sistemica. Negli studi ZUMA-1, sui cui dati si è basata la decisione dell’Ema, il trattamento ha indotto una risposta nel 72% dei trattati con una singola infusione e nel 51% una risposta completa. A un anno dall’infusione, il 60,4% dei pazienti era ancora in vita. Probabilmente in un prossimo futuro la terapia cellulare diventerà la base del trattamento di tutti i tipi di neoplasie. c) Lumoxiti (moxetumomab pasudotox-tdfk): nuovo trattamento per la leucemia a cellule capellute (HCL) La statunitense FDA (Food and Drug Administration) ha approvato Lumoxiti per il trattamento di adulti con HCL recidivante o refrattaria che abbiano ricevuto almeno due precedenti terapie sistemiche, incluso il trattamento con un analogo mucleosidico purinico. La sua efficacia è stata studiata in uno studio su 80 pazienti che avevano ricevuto un precedente trattamento con almeno due terapie sistemiche, incluso un analogo nucleosidico purinico con risposta completa duratura nel 30% dei pazienti e un tasso di risposta globale del 75%. Gli effetti indesiderati comuni includono reazioni infusione-correlate, gonfiore da edema; astenia, anemia, diarrea, nausea, cefalea, febbre e stipsi. Effetti indesiderati gravi comprendono la sindrome da perdita capillare e quella emolitico-uremica; la riduzione della funzionalità renale; reazioni infusione-correlate e anomalie elettrolitiche. Ulteriori studi sono necessari prima che si arrivi a qualcosa di adatto all'uso clinico (fonte: Nature Communications, 2018). g) Keytruda (pembrolizumab): informazione importante Il Keytruda è utilizzato nel trattamento del carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico in adulti, non eleggibili alla chemioterapia contenente cisplatino. L'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) in seguito ai dati preliminari dello studio in corso Keynote-361, che mostrano una ridotta sopravvivenza in monoterapia rispetto alla chemioterapia standard, quando utilizzato come trattamento di prima linea in quei pazienti con bassa espressione del ligando 1 della proteina della morte programmata (PD-L1), ha modificato la sua indicazione terapeutica. KEYTRUDA è indicato in monoterapia nel: trattamento di prima linea del carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) metastatico negli adulti il cui tumore esprime PD-L1 con tumour proportion score (TPS) = 50 % in assenza di tumore positivo per mutazione di EGFR o per ALK; nel trattamento del NSCLC localmente avanzato o metastatico negli adulti il cui tumore esprime PD-L1 con TPS = 1 % e che hanno ricevuto almeno un precedente trattamento chemioterapico (i pazienti con tumore positivo per mutazione di EGFR o per ALK devono anche avere ricevuto una terapia mirata prima di ricevere il farmaco); per il trattamento di pazienti adulti affetti da linfoma di Hodgkin classico (cHL) recidivato o refrattario che abbiano fallito il trattamento con trapianto autologo di cellule staminali (ASCT) e brentuximab vedotin (BV), o che non siano eleggibili al trapianto e abbiano fallito il trattamento con BV. h) Proteina bifronte hMena aiuta e blocca il tumore polmonare Anni fa, ricercatori dell’Istituto Regina Elena di Roma, avevano dimostrato che la proteina hMENA produce diverse forme proteiche durante la progressione neoplastica. Di recente ricercatori dello stesso Istituto hanno individuato i due volti della proteina, le sue due varianti che svolgono funzioni opposte. che agisce regolando il recettore cellulare integrina beta-1, una delle integrine che permettono alle cellule del tumore di comunicare con l'ambiente che le circonda, specializzata nel favorire la formazione delle metastasi e nella resistenza a diverse terapie anti-neoplastiche. I ricercatori sono riusciti a scoprire la proteina bifronte analizzando alcuni tumori poveri della proteina capaci di attivare l'integrina beta-1. Questa forma di tumore è stata osservata nei pazienti con una prognosi migliore, mentre, se la proteina era abbondante, la prognosi era negativa. Lo studio richiederà una validazione in studi clinici più estesi (fonte: Oncogene, 2018). G) OSTETRICIA a) Nota informativa importante dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sui dispositivi intrauterini EURAS-IUD (European Active Surveillance Study for Intrauterine Devices) Un ampio studio U.E. , prospettico comparativo, di coorte, non interventistico, sulla contraccezione intrauterina (IUC), in cui sono stati utilizzati dispositivi intrauterini in rame (IUD) ed il sistema intrauterino a rilascio di levonorgestrel (LNG-IUS) ha mostrato che i benefici della IUC continuano a superare i rischi per la maggior parte delle donne, incluse quelle in allattamento o che hanno partorito da poco comunque si sottolinea di identificare segni e sintomi di un’eventuale perforazione uterina. H) REUMATOLOGIA a ) Sarilumab (anticorpo monoclonale umano) per il trattamento dell’Artrite Reumatoide attiva (A.R.A.) moderata-grave L’ Artrite Reumatoide è una malattia autoimmune, cronica e progressiva, caratterizzata da dolore, infiammazione, rigidità articolare e danni a osso e cartilagine, che comportano una disabilità progressiva; talvolta affaticamento, depressione e complicanze sistemiche, come co-morbidità cardiovascolari, che possono mettere a rischio la stessa sopravvivenza. Si stima che i pazienti affetti siano in Italia circa 250.000 mentre in U.E. 2,9 milioni. Ha una prevalenza doppia tra le donne, inoltre circa due terzi dei pazienti sono in una fascia di età compatibile con la piena attività lavorativa. l’IL6 è l’interleuchina più abbondante a livello sierico-articolare nei pazienti affetti e riveste un ruolo importante nelle manifestazioni articolari e sistemiche pertanto è il bersaglio importante per lo sviluppo di terapie specifiche. Sarilumab, anticorpo monoclonale umano anti-IL-6R (anti-IL6 recettore), di nuova generazione, si lega con elevata affinità alla forma di membrana e alla forma solubile del recettore dell’IL-6-anti-interleuchina-6. Per il trattamento dell’A.R.A. va somministrato sottocute ogni 2 settimane, associato a metotrexato, in adulti che hanno risposto in modo inadeguato o sono risultati intolleranti a uno o più farmaci antireumatici modificanti la malattia. Può essere anche somministrato in monoterapia in caso di intolleranza al metotrexato o quando il trattamento è inap propriato. In studi clinici con oltre 3.300 pazienti ha bloccato la cascata di segnalazione pro-infiammatoria mediata da questa interleuchina, responsabile probabilmente fin dalle prime fasi dell’infiammazione articolare e sistemica tipica dell’A.R. È disponibile in una siringa pre-riempita in due diversi dosaggi (150 e 200mg) e un auto-iniettore con segnali visivi e acustici che indicano l’inizio e la fine dell’iniezione; può essere conservato fuori dal frigorifero fino a 14 giorni, a una temperatura inferiore ai 25°C. I) SICUREZZA a) Buccolam (midazolam): Rischio di inalazione/ingestione del cappuccio protettivo delle siringhe preriempite in plastica Il cappuccio protettivo semitrasparente delle siringhe preriempite di Buccolam (midazolam) può talvolta rimanere attaccato alla punta della siringa, durante la rimozione del cappuccio rosso, con il rischio di finire nella bocca del paziente e di essere inalato o ingerito durante la somministrazione. Se il cappuccio rimane attaccato alla siringa, bisogna rimuoverlo manualmente prima della somministrazione del prodotto. L) SPERIMENTAZIONE a) XVI° Rapporto nazionale dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) sulla sperimentazione clinica dei farmaci in Italia (dati 2016) Il Rapporto consente una lettura retrospettiva dell’andamento della ricerca sui farmaci in Italia. Il primo dato positivo è l’aumento del numero delle sperimentazioni sul totale europeo, che dal 17% del 2015 passa al 20% del 2016, un incremento di tre punti percentuali registrato per la prima volta in cinque anni. L’analisi della tipologia dei trials ritrae come l’R&D nel campo farmaceutico stia progressivamente cambiando, a favore di un incremento di quelli a disegno complesso (seamless, adattativi, ecc.) che abbracciano più fasi o sono collocati per definizione nelle fasi precoci della sperimentazione, anche se di fatto sono disegnati spesso come veri e propri pivotal trials. Nel settore delle malattie rare, si rileva una positiva tendenza all’incremento rispetto al 2015 con una forte prevalenza di sperimentazioni profit, con una distribuzione pressoché identica fra le fasi precoci e la fase III, segnale di spostamento continuo verso un potenziale sviluppo concreto di tali farmaci. Come sempre, in Italia oltre il 97% delle sperimentazioni è condotta su pazienti mentre sono rarissime quelle in cui vengono arruolati volontari sani. In merito alle popolazioni oggetto dei trials, le donne, i bambini e gli anziani restano ancora campioni scarsamente indagati in modo specifico. Se, da un lato, non è purtroppo possibile per il 90% delle sperimentazioni risalire alla composizione di genere dei pazienti arruolati, è comunque indicativo il dato davvero minimo della quota di sperimentazioni esclusivamente nel genere femminile (5,5%), così come quello nelle popolazioni pediatrica (8,6%) e anziana (1%). Proprio per questo motivo, l’AIFA ha inteso dare impulso ai bandi di ricerca indipendente attingendo al fondo del 5% delle spese promozionali sostenute dalle Aziende farmaceutiche, che già dal 2016 prevedono focus dedicati per incentivare protocolli di studio finalizzati a verificare gli effetti dei farmaci per queste categorie. Continua la ricerca clinica nazionale nell’ambito dei farmaci oncologici e immunomodulatori, che insieme costituiscono la metà delle sperimentazioni cliniche. Si assiste ad un lieve aumento delle sperimentazioni nell’area neurologi ca, ematologica e immunitaria mentre si assiste a un preoccupante calo (anche alla luce dell’antibiotico-resistenza) in ambito infettivologico, il secondo settore per spesa farmaceutica dopo l’oncologia. Un futuro già presente è invece quello delle nuove terapie geniche, come confermano le sperimentazioni che vedono valutazioni di farmacogenetica oltre il 15% del totale e continua lo spostamento verso sperimentazioni su farmaci biologici/biotecnologici. Anche in questa edizione del Rapporto vengono presentati i dati relativi alla partecipazione dell’Italia al progetto Voluntary Harmonization Procedure, per la valutazione congiunta dei protocolli clinici che si svolgono in più Stati dell’U.E. Delle sperimentazioni presentate su base nazionale, 122 avevano avuto la valutazione coordinata mediante VHP nel corso del 2016. Il numero delle partecipazioni dell’Italia a queste procedure coordinate a livello europeo è rimasto elevato, vicino al 100% delle domande di partecipazione presentate, con un significativo incremento di quelle gestite come Rapporteur (27), che portano il nostro Paese al secondo posto in UE dopo il Regno Unito. M) TRAPIANTI a) Prevymis (letermovir) per la prevenzione della malattia da Citomegalovirus (CMV) dopo il trapianto di cellule staminali Il CMV è un virus comune che di solito causa solo infezioni lievi come mal di gola. Dopo l’infezione, il virus rimane nel corpo in uno stato latente e può riattivarsi causando gravi malattie se il sistema immunitario è compromesso, ad es. nei pazienti che necessitano di assumere farmaci per prevenire il rigetto da trapianto nei quali la malattia da CMV può essere pericolosa per la vita. Nell’U. E. la sua malattia da colpisce circa 2,1 persone su 10.000 pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali, pari a circa 106.000/anno, ed è considerata una malattia rara. Nell’U. E. sono autorizzati diversi farmaci antivirali per il trattamento e la sua prevenzione nei trapiantati ma parecchio tossici. Il Comitato per i Medicinali per Uso umano (CHMP) dell’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) ha raccomandato la concessione dell’autorizzazione all’immissione in commercio per Prevymis (letermovir), un antivirale che previene la riattivazione e la malattia da CMV nei pazienti che ricevono farmaci immunosoppressori in seguito a un trapianto di cellule staminali ematopoietiche allogeniche. La raccomandazione si è basata sui dati di uno studio clinico di fase III randomizzato con 570 pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali in 67 centri, in 20 Paesi. Letermovir è stato somministrato a 376 pazienti mentre i restanti 194 hanno ricevuto il placebo. 24 settimane dopo il trapianto appena il 37,5% dei pazienti ha sviluppato una riattivazione clinicamente significativa del CMV rispetto a quanti hanno ricevuto il placebo (60,6%).
Sento i brividi
Se penso alle tue parole Sento battere forte il cuore Se sento la tua voce Il sale sulla pelle, il sole sulla pelle, Il mare che mi avvolge
Con le sue onde
E in fondo al blu del mare Tu.
Ascolto
Il tuo respiro che mi sussurra
Il tuo amore
E allora posso perdermi in te Sempre.
Per sempre.
Perché la montagna è silenzio, è verde, è pace... è incanto. La montagna è tutto è persino maestra: ti insegna a riscoprire te stesso, a ritornare ad avere rispetto e contatto con la natura. La montagna ti insegna l'amicizia, il saluto cordiale, la fratellanza umana: quello che spesso sembra essere stato dimenticato. La montagna ti fa scoprire la bellezza del fresco, della neve e di sentirsi un po' fuori dal tempo. La montagna ti dice, senza usare troppe parole (anzi, non le dice proprio) cosa sia la disciplina: magari te lo insegna in modo ruvido ma ti fa capire comunque che nella vita non puoi fare quello che vuoi perché sennò ti si ritorcerà contro alla grande. La montagna è questo e molto altro ma se ne vuoi sapere di più non ti resta che viverla.
Ciao Paolo, oggi 18 settembre avresti compiuto 60 anni, lo so che per te nel luogo dove ti trovi adesso gli anni non contano più, ma voglio ricordarti nel giorno della tua festa; chissà come te l'avrei organizzata cominciando a pensarci mesi prima perché riuscisse alla perfezione: con un menù adeguato, con decorazioni, con tanti invitati e battiti di mani che gridavano: -Cento di questi giorni! Cento di questi giorni!- E con tanti regali da scartare; di sicuro ti avrei visto sorridere e stupirti dei doni ricevuti; e invece hai deciso di prendere la via celeste: celeste e bianca come le nuvole bianche di zucchero, oh, scusami, mi sono distratta per un momento e non mi sono ricordata che tu con questo alimento non avevi molta confidenza perchè non ti faceva bene; a pensarci meglio però, credo che ad aspettarti c'era un bravissimo pasticcere vestito di tutto punto che in un'immensa vetrina aveva preparato un'enorme quantità di torte: profiterol, tirami su, crostate con la crema e con la marmellata, ciambelloni, panne cotte con cioccolato fuso, con le fragole, creme caramel, zuppa inglese, un giardino dove appesi agli alberi spuntavano biscotti con le nocciole, all'arancia e al limone; fiori di marzapane e fili d'erba candita, fontane che sgorgano gelato di ogni gusto che non riesco a vedere e contare come tutto il resto dalla quantità e dalla varietà che ce ne sono; e infine in un grande vassoio d'argento, c'era lei: la mitica torta delizia, la tua preferita, quella che chiedevi sempre da bambino, scommetto che sentivi già il profumo di pasta di mandorla già quando emettevi i tuoi ultimi respiri quelli che contavo uno ad uno premendoti il mio dito indice sulla tua carotide; adesso ti saluto, non voglio disturbarti oltre, ti lascio sgranocchiare chissà quale ghiottoneria stai mangiando, in fin dei conti sei stato tanto senza e ti faccio i miei migliori auguri di buon compleanno da me e dalla mamma.
Quando il mese scorso l'amico Pino mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul mio cane guida, mi sono reso conto di non avere aneddoti particolari da raccontare e ciò che leggerete non è altro che una sintesi della mia esperienza con Alfio, un Labrador di undici anni che è con me dalla fine del 2008. Innanzi tutto voglio presentarmi, tanto per darvi un'idea di chi sono. Mi chiamo Vito Cardinale e vivo in un piccolo paese della provincia di Forlì-Cesena di nome Galeata, anche se sono nato in provincia di Bari, terra di origine di mio padre. Ho quasi 63 anni e sono un centralinista in pensione da undici anni. Mi sono sempre piaciuti i cani e mi ero sempre ripromesso di prendere il cane guida appena andato in pensione, per avere più tempo da dedicargli, e così è stato. Appena congedato dall'Unicredit Banca ho presentato la domanda alla Scuola di Scandicci dove ho incontrato la commissione nel mese di settembre. Poi ho dovuto fare un piccolo corso di orientamento per correggere i difetti che mi ero procurato nel mio modo di rendermi autonomo e finalmente, verso la fine dell'anno dopo, sono stato convocato per la consegna. Quando l'istruttrice mi ha consegnato Alfio posso tranquillamente affermare che è stato amore a prima vista. L'ho chiamato battendomi le mani sulle ginocchia e lui mi è saltato in braccio e ci siamo letteralmente abbracciati. Inutile dire che quando l'ho portato a casa, nel giro di pochi giorni si era fatto amico tutto il paese o quasi, perché è sempre stato molto festoso e non lo dico perché è il mio cane, ma è anche veramente molto bello. Specialmente nei bar, ristoranti-pizzerie e nei negozi dove vendono prodotti alimentari, mi ha anche fatto fare la figura di quello che non gli dava da mangiare perché venerava chiunque stesse mangiando oppure il cibo esposto. E naturalmente ha cominciato a ricevere bocconcini da tutte le parti, finché qualche anno fa ho dovuto fermare tutti perché era ingrassato troppo e una volta è anche stato male. C'è stata perfino una signora che gli lasciava un cartoccio con la carne davanti a casa, trovandosi su una delle strade che facevamo nelle nostre passeggiate. E infatti mi ci è voluto un po' a capire perché non voleva più fare percorsi alternativi. Comunque con lui ho avuto modo di conoscere meglio un sacco di compaesani e di fare nuove amicizie, anche se devo ammettere che qualche volta ho anche incontrato qualche difficoltà. La cosa più difficile è imparare a fidarsi completamente e sistematicamente, quando non l'ho fatto, ho urtato un ostacolo o preso male uno scalino e così via. Un giorno percorrevo una stradina vicino al campo sportivo e a un certo punto Alfio si è bloccato e non c'è stato modo di farlo proseguire, se non tornando indietro. Ebbene, ho poi saputo da mia moglie che passando lì vicino ha visto che c'erano dei lavori e la suddetta stradina era interrotta da uno scavo piuttosto profondo che la tagliava tutta. Potrei poi raccontare di quando lo chiamavo Giulietto, perché ogni volta che passava davanti a un muretto non troppo alto ci saliva con le zampe anteriori per guardare di sotto, tipo Giulietta al balcone. Oppure quando in una di quelle è diventato Cagnotto, allorché il muretto cingeva la vasca dei pesci in un giardino e alla seconda o terza volta che ci si è affacciato, ha deciso di tuffarcisi dentro, infradiciando anche me. Fu così che imparò a tollerare il phon, a cui dopo il primo acquazzone che avevamo preso, si era rifiutato di sottostare. Ora che lo ha capito da un pezzo, quando lo asciugo, se la gode al punto di addormentarsi e russare. Un altro nomignolo che si è guadagnato è quello di Pollicino, dovuto al fatto che nel nostro paesello la gente ha l'abitudine di scuotere le tovaglie dalla finestra o dalla terrazza, per destinare le briciole di pane agli uccellini e Alfio naturalmente le va a cercare tutte. Voglio ancora raccontarvi un episodio che mi ha fatto sorridere. Siccome sono anche un musicista dilettante e autodidatta, alcuni anni fa sono tornato a suonare l'organo in Chiesa, dove avevo dovuto lasciare l'incarico da diversi anni per mancanza di tempo e naturalmente ci vado con Alfio. Non molto tempo dopo siamo andati in vacanza in Umbria e quando un giorno siamo andati a visitare il Santuario di Colle Valenza, io ho messo la guida al cane per poter entrare con lui. Ebbene, Alfio è partito sparato, per fermarsi solo davanti all'organo a canne, al lato opposto della Chiesa. Ora mi rivolgo a chi medita di prendere un cane guida per la prima volta. Sappiate che esso è un grande amico e un importante mezzo di socializzazione. Impara i percorsi e alcune parole tipo il nome di un negozio o la casa di un amico, ma è anche impegnativo come un figlio o quasi e non solo fisicamente, ma anche finanziariamente. Bisogna infatti tenerlo spazzolato e pulito, se non quotidianamente, saltando solo i giorni in cui non ci si riesce causa impegni pressanti. Deve essere vaccinato e curato e le spese mediche si scaricano come le nostre, cioè dai 128 Euro in su, ma con un budget che non deve superare una cifra che ora non ricordo con esattezza, ma che si aggira sui 450. Io quest'anno ho dovuto sottoporlo a un piccolo intervento per rimuovere un poco simpatico gonfiore da una zampa e solo con quello e i relativi esami, ho già sforato il suddetto budget. Ricordate poi che sarete sempre voi a controllare il percorso che state facendo con lui e a dargli l'ordine di attraversare le strade perché lui in teoria dovrebbe fermarvi se non vi siete accorti dell'arrivo di un'auto, ma è sempre prudente non metterlo alla prova, se se ne può fare a meno. E concludo ritornando al titolo di questo mio scritto: Fidatevi del vostro cane e lui saprà ricambiare la fiducia.
C’era una volta una famiglia molto numerosa che, pur non sguazzando nell’oro, viveva felice e contenta. Papà e mamma erano i classici genitori che non trascuravano nulla, pur di assicurare ai figli il minimo indispensabile per condurre una vita dignitosa. Il destino ha voluto che entrambi morissero improvvisamente nel giro di pochissimo tempo e che il peso della famiglia ricadesse esclusivamente sulle spalle del figlio maggiore, Angelo di nome e di fatto, l’unico, per età, ad essere in grado di provvedere alla bisogna. Gli altri figli erano ancora troppo piccoli, per riuscire a cavarsela adeguatamente. Angelo accudiva i fratellini e le sorelline con lo stesso amore e la medesima efficienza dei genitori, non facendo sentire loro più di tanto la mancanza di mamma e papà. Di lì a poco, però, è purtroppo morto anche lui. I suoi numerosi fratelli e sorelle, dunque, sono rimasti abbandonati a se stessi, finendo ben presto per fare la fame. Angelo, che dal paradiso li seguiva istante per istante con angoscia sempre crescente, ha finito ben presto per presentarsi al cospetto del Signore. “Signore, -si è lamentato,- mi dispiace dirvelo, ma Voi non fate le cose giuste. ” “Perché?” gli ha domandato bonariamente il Signore, pur sapendo benissimo dove intendeva parare. “Non Vi siete accontentato di chiamare a Voi mio padre e mia madre, avete chiamato a Voi pure me, non tenendo conto del fatto che i miei fratelli e le mie sorelle sono troppo piccoli, per riuscire a badare a se stessi! Ed ora chi li nutre?” Il Signore ha esortato il giovane a seguirlo. “Alza e sposta quella pietra, per piacere!” gli ha detto appena sono giunti in un campo. Più che di una pietra, si trattava di un macigno enorme, ma Angelo, che aveva sempre confidato nella sua benevolenza, non ha avuto problemi a fare quanto gli era stato chiesto. Sotto il macigno c’erano numerosissimi vermi pieni di vita. “Li vedi, quei vermi? -ha domandato il Signore al giovane. Ricevuta la conferma, ha proseguito: Chi nutre quei vermi, nutrirà anche i tuoi fratelli e le tue sorelle. Perché, dunque, non faccio le cose giuste?” Angelo non poteva non afferrare l’antifona, ma non si è arreso ugualmente, la vista dei propri congiunti in quello stato lo deprimeva sempre più, e ha chiesto al Signore una grazia. “Permettetemi di ritornare sulla terra per aiutare i miei fratelli e le mie sorelle fino a quando non saranno in grado di cavarsela da soli,” ha chiarito appena ricevuta la disponibilità del Signore ad ascoltarlo. “E va bene! –ha convenuto il Signore.- Sono disposto a mandarti sulla terra ancora per un anno, ma solo se mi prometti che da angelo andrai e da angelo ritornerai!” “Ve lo prometto solennemente, mio Signore!” ha risposto prontamente il giovane con la massima riconoscenza. Giunto sulla terra, ha cominciato a gironzolare per le vie del proprio paese gridando in continuazione alla maniera dei banditori: “Chi vuole un garzone, io cerco padrone!” Nessuno riconosceva in lui il giovane morto poco tempo prima. Era stato lui stesso a chiedere al Signore di mandarlo sulla terra in incognito. Di lì a poco una signora si è affacciata sul portone di un palazzo signorile, rimanendo all’istante folgorata dalla sua straordinaria bellezza. Mai e poi mai avrebbe potuto immaginare di trovarsi di fronte ad un angelo vero. “Ti vogliamo mio marito ed io, giovanotto! -gli ha annunciato col più radioso dei sorrisi.- Abbiamo bisogno di qualcuno che curi le nostre piante ed i nostri fiori, ce ne sono tantissimi nel giardino, sui balconi, sui terrazzi e all’interno del palazzo, e sono assolutamente certa che nessuno sappia farlo meglio di te. Per quanto riguarda il tuo compenso, chiedi pure ciò che vuoi! Mio marito ed io siamo disposti a tutto, pur di averti al nostro servizio. ” “Tanto per cominciare, -ha puntualizzato Angelo,- sappiate che io so fare un po’ di tutto. Viene da sé, dunque, che potete chiedermi di fare qualunque cosa. Poi non voglio soldi, mi basterà il minimo indispensabile per nutrirmi e per vestirmi modestamente. Vi chiedo soltanto un piccolo piacere: ogni giorno, a colazione, a pranzo e a cena, vi sarò grato, se mi permetterete di fare l’elemosina a chi decido io e di portarla io stesso a destinazione. ” “Affare fatto!” ha sentenziato prontamente la signora, felice più che mai. La sua gioia non derivava dal fatto che non dovesse tirare fuori dei solti, tant’è vero che, quando si trattava di preparare le vivande ed ogni altra cosa per le elemosine, abbondava di propria iniziativa più che poteva. Intuiva, non sapeva nemmeno lei stessa perché, che Angelo fosse dotato di qualità superiori ad ogni altro essere umano. Ha cominciato ad averne le prove una domenica mattina, recandosi in chiesa assieme a lui per assistere alla santa messa. Lei non aveva occhi che per lui, tanto che non le sfuggiva nulla di ciò che lui faceva. Ad un certo punto lo ha visto sorridere di gusto, un evento assolutamente straordinario. Difatti era sempre gentilissimo, disponibilissimo, faceva tutto ciò che gli si chiedeva di fare senza mai spazientirsi, ma non sorrideva mai. “Angelo mio, perché sorridevi, durante la messa?” gli ha chiesto appena usciti dalla chiesa. “Non so nemmeno io, credetemi, signora, perché mi è venuta improvvisamente voglia di ridere!” si è schernito Angelo. “Sono sicura, Angelo mio, che sai benissimo quello che fai e che non fai mai niente per niente! –ha insistito la signora.- Perciò dimmelo, ti prego!” Angelo non se l’è sentita, di deluderla, ed è andato subito al sodo. “Sotto l’altare, -le ha spiegato lasciandosi scappare un altro sorriso,- c’era un diavolo che scriveva su un foglio enorme tutto ciò che dicevano le persone che assistevano alla santa messa. Il foglio si è riempito molto presto da entrambi i lati. Il diavolo le ha provate tutte, per stenderlo, così da renderlo più capiente, lo ha tirato perfino con i denti, ma il foglio ha finito per strapparsi e lui c’è rimasto con un palmo di naso!” “E’ proprio vero, che non è di questo mondo!” ha concluso tra sé e sé la signora, facendosi infinitamente più attenta di quanto non lo fosse stata fino a quel momento. Ha raggiunto la certezza di essere nel giusto qualche tempo dopo, mentre una mattina lei ed Angelo erano affacciati ad un balcone di fronte al quale c’era la bottega di un ciabattino. Quella mattina un massaro si è presentato dal calzolaio e gli ha chiesto un paio di scarpe chiodate, pretendendo la garanzia che per un anno sarebbero rimaste talmente perfette da non perdere neppure un chiodo. Ad Angelo è scappato un sorriso. La signora, alla quale non sfuggiva proprio nulla di ciò che faceva il giovane, si è data subito da fare per appurare il motivo di quel sorriso. Ha insistito tanto che alla fine Angelo non ha potuto evitare di spiegarglielo. “Avete sentito con quanta insistenza il massaro ha preteso dal calzolaio la garanzia che per un anno le scarpe non perdessero neppure un chiodo?” “Certo, che l’ho sentito! –ha convenuto prontamente la signora.- Che c’è di tanto strano?” “Il massaro, poverino, non sa che domani notte morirà!” ha risposto candidamente Angelo. Alle prime luci dell’alba di due giorni dopo le campane della chiesa hanno cominciato a suonare a morto, inducendo la signora a darsi da fare per appurare chi era passato a miglior vita. E’ così che ha ricevuto la conferma di ciò che sapeva già. A morire nella notte era stato proprio il massaro che si era preoccupato di chiedere la garanzia di un anno sulle scarpe. Da quel momento in poi per lei ed il marito tutto ciò che diceva Angelo diventava vangelo. Appena apriva bocca, si affrettavano a seguire ogni suo consiglio, a mettere in pratica ogni suo suggerimento senza fare neppure la più pallida obbiezione, nemmeno quando non capivano a che cosa mirasse. “Sento che per voi oggi è una giornata veramente speciale! -ha esclamato Angelo all’indirizzo del padrone di casa una mattina, qualche tempo dopo, raggiante di gioia.- Se vi va di ringraziare il Signore per il piacere che vi concede, vi suggerisco di vestirvi a festa, indossando dall’a alla z tutto ciò che di meglio vi ritrovate in casa, e di andare in chiesa per confessarvi, assistere alla santa messa e fare la comunione. ” Sapeva, Angelo, che nel corso della notte successiva per l’uomo sarebbe arrivato il momento di abbandonare la terra. Sapendo pure che avrebbe eseguito alla lettera i suoi suggerimenti senza prendersi la briga di chiedere spiegazioni in merito, intendeva aiutarlo a presentarsi al cospetto del Signore nel modo migliore. Ed il padrone di casa non lo ha deluso. Dopo aver fatto con scrupolosa dedizione tutto ciò che gli era stato suggerito, è rientrato alla base, dove lo attendeva una grande festa, festa che è andata avanti fino a tarda sera. Al momento di andare a letto sprizzava gioia da tutti i pori, sentendosi in forma smagliante come pochissime volte gli era capitato in precedenza. Su suggerimento di Angelo, è andato a letto senza spogliarsi, non ha tolto neppure le scarpe che si ritrovava ai piedi, facendosi, così, trovare bell’e pronto per essere sistemato nella bara, quando, verso mezzanotte, la morte lo ha colto nel sonno senza che se ne accorgesse. La signora, che non aveva figli e parenti, ha ringraziato di cuore il Signore per averle procurato la compagnia di Angelo. Sempre più attratta dal fascino e da tutte le altre qualità del giovane, non ha tardato a cedere al desiderio ardente di sposarlo. Angelo non ignorava che non avrebbe potuto accontentarla, per via della promessa fatta al Signore di rientrare in paradiso da angelo come da angelo era ritornato sulla terra, ed ha tentato inutilmente di dissuaderla. Non potendo dirle come stavano le cose, ha sfruttato l’ostinazione della donna per prepararla adeguatamente all’incontro col Signore, favorito dal fatto che sapesse in anticipo che lei sarebbe morta qualche giorno prima del proprio ritorno in paradiso. Dire le bugie non era il suo forte, ma non aveva alcun dubbio che una bugia detta a fin di bene non è peccato. “Così volete, carissima signora, così sia! –ha finito per concludere di fronte all’ennesima insistenza della donna.- Vi prego solo di darmi il tempo di abituarmi all’idea del matrimonio. Cercate di capirmi, vi supplico!” Figurarsi, se la signora non lo capisse! Ciò che contava, per lei, era che si fosse finalmente deciso al gran passo. Ha accettato con gioia, dunque, di concedergli tutto il tempo che gli occorreva. Non ha trovato nulla da ridire neppure di fronte alla sua esortazione ad attendere pazientemente, senza mai ritornare sull’argomento di propria iniziativa, che fosse lui, ad annunciarle quando sarebbe stato pronto, ben sapendo che Angelo non veniva mai meno alle promesse. Su una sola cosa, non ha inteso transigere, quella che lui accettasse di farsi intestare da subito, con tutti i crismi dell’ufficialità, tutti i beni di famiglia. Angelo non ha avuto alcuna difficoltà ad accontentarla, confortato, in questo senso, dalla circostanza che lei non aveva nessuno a cui lasciare le sue immense ricchezze. Con l’approssimarsi del giorno del rientro del giovane in paradiso, è arrivato puntualmente, per la donna, il momento di presentarsi al cospetto del signore. “Ebbene, cara la mia signora, è arrivato finalmente il momento di sposarci! –le ha detto giovialmente Angelo una sera.- Faremo tutto domani mattina, se a voi sta bene. ” La signora non aspettava altro! Lo avrebbe sposato seduta stante, se avesse potuto, ma non se la sentiva di contraddirlo. Perciò ha accettato entusiasticamente di mettere in atto l’esortazione di andare a letto vestita da sposa, così da farsi trovare pronta il giorno dopo. Solo quando è stata colta nel sonno dalla morte, nel corso della notte, si è resa conto che l’obbiettivo del giovane era quello di indurla a presentarsi al Signore pronta per un matrimonio infinitamente più gratificante. Angelo, rimasto padrone assoluto di tanto ben di Dio, ha lasciato ogni cosa ai fratelli e alle sorelle, che nel frattempo, grazie alle sue elemosine quotidiane, si erano rimessi in sesto e stavano benissimo. Neppure loro sapevano chi era, e lui si è guardato bene ancora una volta dal chiarire loro le idee. Così è potuto rientrare in paradiso felice come una pasqua, ringraziando il Signore con estrema riconoscenza per la grazia che gli aveva concesso con tanta magnanimità.
Il bimbo che viene al mondo spalanca la porta della felicità
Per lui tutte le attenzioni, tutti i riflettori si accendono e lo illuminano nel suo primo giorno felice…
Ogni sorta di dono lo investe, ogni amico o parente sorride vestito a festa dando il benvenuto al suo primo giorno felice…
Protetto da una coperta di carezze, cullato dal tepore del sole innamorato, il bimbo sogna tranquillo e chissà come immagina il primo giorno felice.
Beato ascolta la voce di sua madre che cantando gli sussurra dolci melodie.
Il mistero della vita nel primo giorno felice,
la magia che arriva e sazia il cuore…
C’è voglia di gridare al miracolo, potremmo alzarci e levarci in volo nel primo giorno felice…
Potremmo camminare sulle acque, esaudire qualunque desiderio…
Potremmo lavare la nostra esistenza nel primo giorno felice,
potremmo indossare il vestito immacolato di quella creatura
ma non soltanto per un solo giorno felice…
Guarderanno lontano quegli occhi,
percorreranno strade diverse i suoi piedi,
le sue mani non conosceranno mai violenza…
Le sue braccia abbracceranno tanti giorni felici che verranno
La UICI è una associazione nata nel 1920 per tutelare gli interessi dei non vedenti . Primo presidente Aurelio Nicolodi . Ma, non voglio raccontare la storia che un po’ conosciamo tutti . Ricordo, però i grandi meriti dei fondatori di una associazione che si è ingrandita sviluppando bene un sistema di sostegni a diritti sociali e di persone deboli ,da inserire in una società nella quale la cecità sarebbe stata una grossa palla al piede per chiunque . Ai ciechi furono, poi, aggiunti gli ipovedenti, anche loro in difficile contatto con un mondo sempre più dinamico . Il mondo che si stava profilando, dopo la seconda guerra mondiale, era quello di una espansione economica veloce dove, la costituzione, dichiarava l'Italia fondata sul lavoro. Di certo sappiamo tutti come si è evoluta la nostra civiltà e, non solo la nostra. Senza le conquiste morali e materiali ottenute dalla UICI, i ciechi avrebbero avuto vita ben peggiore di quella possibile ai nostri tempi. Ma…Ci metto subito un ma? Sì, perché i diritti da difendere e valorizzare, di qualsiasi persona, non stanno solo nel lato economico della vita. Qualcuno dirà, giustamente, che è vero, e che ci sono anche altri diritti, e ne farà un bel elenco; come il diritto al lavoro, allo studio, anche alla integrazione paritaria nella società, ecc., Che poi sono appendici di quanto detto prima. Vero, ma... Cosa? un altro ma? Sì, dico io, ma... Qualcun altro si fa sentire. Ma che ma, e ma! Non ci sono ma da dire. No? dico io. Parliamo di diritti? ma, nell'elenco dei diritti sostenuti dalla UICI, manca quello alla salute , principalmente quello alla salute degli occhi . Una vocina grida: No, Varo, sbagli, perché la UICI ha pensato anche alla salute degli occhi, perché ha creato una agenzia per la prevenzione della cecità. Sì, sì, dico ma. Ancora ma? Eh sì, perché il diritto alla salute degli occhi viene, di fatto, condizionato destinandolo alle prevenzione delle cecità evitabili. E certo, strilla la vocina: che vuoi prevenire se non le cecità prevenibili? Già, dico io, ma i ciechi non hanno diritti a contrastare la loro cecità? E la vocina: Oh, bella questa! Vorresti prevenire una cecità che esiste già? Eh no, no, chi ha detto questo? Io parlo del diritto a combattere la cecità, non ad accettarla passivamente. Silenzio e un brusio di disapprovazione. Ma che dice questo? Vorrebbe combattere la cecità essendo già cieco! Questa poi. Ma non lo capisce quello che la cecità è per sempre? Noi della UICI ci siamo molto impegnati a dire che la cecità è per sempre, ed è meglio non parlarne per non turbare i nostri amici ciechi. Ora quello lì vuole insinuare che si possa combattere la cecità? False speranze, false speranze ! E perché combattere la cecità? Fosse una cosa grave! Noi ciechi siamo valori aggiunti, altro che disgraziati! Ribatto: sono non vedente, vorrei uscire dal tunnel della cecità ma… ma non mi si riconosce il diritto di lottare contro la cecità? La vocina: che dici, se vuoi lottare lotta pure. No, dico io. Il diritto ce l'ho , ma la UICI non lo pratica, perché dice che la cecità è una condizione, non qualcosa che si possa combattere. La vocina: Perché, non è così? Ecco dove sta l’ignoranza! Tuono io. Voi pensate che alla gente si debba dire di fare vita tranquilla mettendo la testa sotto la sabbia e non guardare il mondo che abbiamo intorno! Potrei fare un elenco lunghissimo di quanti studi esistano per cercare di sconfiggere la cecità in tutto il mondo. Chi studierebbe se non ci fossero possibilità? La vocina: Eh già, ,tanti studi, ma niente di concreto! Io: Qualcuno crede che i ricercatori siano alchimisti pilotati da Mago Merlino? Parliamo di studi e di ricerche, non di alchimia. Le bacchette magiche non esistono. Oggi si usano computers. Oggi abbiamo strumenti sofisticati, abbiamo conoscenze mediche e cervelli. Già, cervelli, apostrofa ironicamente la vocina: i cervelli vanno all'estero! Certo, dico io, ma cosa ci stanno a fare da noi i cervelli? Quando la più grande associazione di ciechi non tutela i diritti a combattere la cecità e gli iscritti si sono addormentati nella loro prigione senza luce né colori? La vocina: Ma cosa vorresti: la UICI non fa ricerca. Rispondo: Certo che non fa ricerca, però può appoggiare le ricerche. Può collaborare con le ricerche . E vigilare che agli iscritti non vengano precluse terapie, come accade quando esiste un farmaco salvavista , e lo fanno pagare quanto vale un occhio sano, a persone che mezzi economici ne hanno pochi. Insomma, tanto si potrebbe fare. La vocina: Va beh, va beh, rimane il fatto che la UICI non è nata per le ricerche. Vuoi che se ne occupi ora, perché lo chiedi tu? No, no! Questa poi! Non è solo che lo voglio io. Lo vuole lo statuto. Cosaaa? Tira fuori lo statuto allora. Statuto? Lo avete mai letto? Articolo 2: scopi, comma tre paragrafo b. Che nella antica UICI, questo articolo era ambiguo. Ma la nuova dirigenza lo ha modificato per adeguarlo ai nostri tempi. Poi, come spesso accade in un mondo pieno di contraddizioni e di conflitti, qualcuno deve essersi ribellato. Leggiamo l'articolo 2. Inserisco qui prima la versione vecchia, a seguire quella successiva scritta dai componenti del congresso direttivo del 2015 e del 2016 che dobbiamo ringraziare. Passiamo all’analisi: ART. 2 (S) SCOPI 1. Scopo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti-ONLUS-, che opera senza fini di lucro per l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale, è l'integrazione dei ciechi e degli ipovedenti nella società. 2. L'Unione promuove ed attua, anche mediante la creazione di apposite strutture operative, ogni iniziativa a favore dei ciechi e degli ipovedenti, in base a specifiche convenzioni con le pubbliche amministrazioni competenti o, relativamente a tipologie d'interventi non realizzate da queste, previa comunicazione alle medesime. 3. In particolare: a) favorisce la piena attuazione dei diritti umani, civili e sociali dei ciechi e degli ipovedenti, la loro equiparazione sociale e l'integrazione in ogni ambito della vita civile, promuovendo allo scopo specifici interventi; b) promuove ed attua iniziative per la prevenzione della cecità, per il recupero visivo, per la riabilitazione funzionale e sociale dei ciechi e degli ipovedenti; c) promuove ed attua iniziative per l'istruzione dei ciechi e degli ipovedenti e per la loro formazione culturale e professionale; Ecco, ma nella vita reale, qualcuno intendeva fraintendere sull'articolo 2 al comma 3 paragrafo b. Ma, nel 2016 lo statuto viene modificato come segue: art. 2, comma b): promuove e attua, anche in collaborazione con enti esterni, iniziative e azioni per la prevenzione della cecità, per il recupero visivo, per la riabilitazione funzionale e sociale delle persone cieche e ipovedenti, nonché per la ricerca medico-scientifica e tecnologica finalizzata, in particolare, al settore oftalmologico e neuro-oftalmologico; Oh. Brusio di voci sorprese. E di nuovo la vocina: Sei sicuro? Hai riportato bene dal nostro statuto? O per caso non hai copiato dallo statuto di Retina Italia? No, no, dico. Lo statuto è un pochino rimpiattato, ma non tanto. Basta cercarlo e, come vedete, anche la UICI ha nelle sue finalità quella di aiutare le ricerche e di recuperare qualcosa della vista. Addirittura in modo più ampio che in retina Italia. La UICI non è un ente di ricerca, ma questo articolo 2 parla chiaro e sancisce il dovere di aiutare le ricerche e combattere le cecità. Si tratta di doveri, perché lo dice lo statuto. Si tratta di nostri diritti, perché lo vuole lo statuto. Questo statuto non è obsoleto, lo ha reclamato il nuovo direttivo, quello con presidente Mario Barbuto. Ma temo che qualcuno voglia nasconderlo. Ora drizziamo le orecchie per capire chi non vuole queste modifiche e, allora saprete quali siano gli amici e quali i nemici. Siccome, chi vuole stare ancorato alla preistoria ed è influente, trova sempre il modo di svicolare, inviterei tutti a riflettere e non fare giri di parole per giustificare la stasi di una grande organizzazione, perché oggi il mondo corre veloce, come sono veloci le nostre malattie che si possono contrastare solo con le ricerche mediche. E le nostre vite sono brevi: finiscono spesso prima che giungano i rimedi meno veloci dei bei romanzi da leggere per conciliare il sonno. Chi interpreta diversamente provi allora a spiegare diversamente i significati di "recupero visivo" o "ricerca medico-scientifica”, nel settore oftalmico e neuro-oftalmico. Io dico che un recupero visivo, per un cieco, non si fa con occhiali! Siamo in una associazione di ciechi e ipovedenti, e ai ciechi non servono occhiali. Le ricerche medico-scientifiche, in campo oftalmico e neuro-oftalmico, sono elementi necessari, non per chi non abbia malattie, bensì per chi non trovi rimedi attuali. Stop! Stop! Tuona la vocina: Le ricerche sono per le malattie curabili, non per illudere i ciechi! I toni si fanno aspri, e rispondo: Si torna indietro verso il non riconoscimento del diritto a contrastare le cecità acquisite. Nel mondo delle ricerche si studiano staminali, per riparare danni al nervo ottico, alla retina, alla cornea, ecc. Si studiano i fattori di crescita e gli errori genici per correggerli, ecc. Si ricordi che il nostro statuto riguarda ciechi ed ipovedenti. Non è uno statuto IAPB che ha maggior valore per ipovedenti che per non vedenti. Non facciamo confusione! Diamo il giusto valore al nostro statuto che è stato voluto da chi aveva capito le nuove prospettive offerte dal mondo scientifico e dalle esigenze di non essere più isolati da quel mondo che intorno ci gira veloce, ed ha molto più di noi ciechi. Proviamo ad uscire fuori dalla porta di casa e aguzziamo le orecchie: basta questo per avvertire quanta vita abbiamo intorno, mentre noi stiamo a leggere con le dita. Allora la vocina torna a farsi sentire: Da anni la scienza studia, ma noi rimaniamo ciechi ! Replico: Non siamo abituati a recitare il mea culpa! Le colpe sono sempre degli altri. Ma non lo avete davvero capito che le ricerche vanno verso le richieste? Non vi rendete conto che un’associazione di ciechi potrebbe richiamare molte attenzioni dei ricercatori, invece si dà da fare per urlare ai quattro venti che i ciechi sono valori aggiunti, che fanno gare sportive a grandi livelli, che non vogliamo essere commiserati, che noi ciechi siamo fortunati ad essere solo ciechi, ecc.! Possiamo fare tutto e chi dice di no, offende. E allora, se non siamo interessati a contrastare le cecità, se non abbiamo interesse per le ricerche, se ci basta leggere con le dita e ci basta sventagliare un bastone per anticipare gli ostacoli bassi e centrare quelli alti; se cercare soluzioni significa piangerci addosso, e tanto altro come l'orgoglio di essere ciechi tanto da voler essere considerati normali e non malati, come si può pensare che i ricercatori investano denari e fatiche per lavorare per noi, per le nostre patologie? Bene , basta avere qualche collirio a vita. Poi, " Passa un giorno, passa l'altro, mai non torna il prode Anselmo..." Va beh, è un'altra storia, ma passa un giorno, passa l'altro e il cieco, molto scaltro, mette l'elmo sulla testa, per non farsi troppo mal. Potremmo andare avanti all'infinito, perché chi non vuol capire non capirà mai. Qualcuno si arrabbierà, come è già accaduto . Ma c’è anche una moltitudine di silenziosi che potrebbe mandare segnali di appoggio alle ricerche, non solo quelli che si sentono bene ciechi. Non capisco questi ultimi, mentre tento di dare fiducie ai primi: Combattere contro le cecità è l'unica cosa che può dare speranze. Meglio avere speranze che essere sicuri di restare nel buio in eterno.
La lettera della signora Francesca, che contesta il mio articolo sulla cecità, è emblematica, rappresentando la filosofia di base di una vecchia UICI ancorata al concetto che la cecità sia una condizione assolutamente irreversibile, della quale è meglio non parlarne per non inasprire i disagi psicologici dei ciechi. Dal suo punto di vista, appare comprensibile ma creata dalla ignoranza di cosa sia la vista. Lei dice di essere cieca dalla nascita. Questo è il fatto che rivela l’impossibilità di essere obiettiva nei suoi giudizi, perché le mancano le conoscenze di base. Io non saprei come fare a far percepire cosa sia la vista, a chi non conosce nemeno la luce: Lei non fa alcun riferimento a nessuno dei particolari evocati sulla visione, come li ho descritti. Segno che non li conosce. Sa invece quali difficoltà esistenziali trovano i ciechi, per cui si riferisce a quelle difficoltà e, solo a quelle, mentre io ho parlato anche di altre cose molto più importanti, psicologicamente. In pratica ho detto che al cieco manca tutto il mondo del vedere. Perché, il vedere è un mondo. Un mondo immenso che spazia dalla punta del nostro naso, fino alla profondità dell'universo infinito che, però, lei non riesce ad immaginare e modifica il mio concetto dicendo che io abbia detto che al cieco manca tutta la bellezza del mondo, escludendo le parole " del vedere", che sono ben altra cosa. In verità, ci sono anche altre cose belle nel mondo, ma sono poca cosa rispetto alla vista. Io, ad esempio, so che è bello sentire ma, sento solo perché ho protesi uditive molto potenti: se le tolgo, non sento nemmeno i suoni forti e, però, è la mancanza della vista a pesarmi.Il titolo del mio articolo era stato modificato e, doveva essere questo: Al cieco non far sapere, quanto è bello il mondo del vedere!, Più attinente allo spirito dell'articolo. La signora Francesca pensa che il mio articolo possa disturbare la psiche dei non vedenti e degli ipovedenti che mi hanno letto, esattamente come nella filosofia UICI. Non immagina però, la finalità dell'articolo, il quale intende sensibilizzare verso la ribellione ad accettare passivamente la cecità, per unirci a combatterla. Se la signora Francesca mi conoscesse, saprebbe che io, da anni, lotto per aiutare i ricercatori a trovare i rimedi alla cecità, per fare riacquistare a ciechi ed ipovedenti, un minimo di vista. E, queste prospettive portano speranze che migliorano le condizioni, ora psicologiche, e, domani, fisiche e psicologiche, per tutti. Questa ribellione non è fine a se stessa, ma viene dalla consapevolezza che diversamente il mondo delle ricerche medico-scientifiche non ci aiutano più di tanto, perché dirottate verso altri lidi. Una delle volontà della UICI è quella di non creare false speranze negli iscritti, creando il messaggio psicologico negativo verso le speranze. Ad essere deleteria è la mentalità di chi non aiuta il mondo delle ricerche. Mentalità simile a quella espressa dalla signora Francesca. Io non faccio mai illusioni sulle ricerche, perché sto lontano dai ciarlatani. Invece cerco di cogliere in queste gli aspetti più concreti di cose già fatte e delle evoluzioni possibili. Comunque devo rilevare la ostilità da parte di chi è convinto profondamente che niente sia possibile fare contro le varie cecità. Quelle credenze e quella mentalità ostacolano fortemente l'avanzata della scienza, perché i ricercatori, come lavoratori, lavorano per vivere e per loro necessità economiche, per le quali ad incidere sono le richieste. Ecco: sono le richieste che attirano le opere, non le necessità. Per chiarire: alla signora Francesca non interessa niente della vista, quindi, non darà guadagni a nessun ricercatore. Ora, se tutti i ciechi fossero con le stesse idee,, nessun ricercatore avrebbe motivi per lavorare per loro! Se, parimenti pochi, pochi saranno anche i guadagni, con scarsi interessi. Chiaro? Lo capiremo mai? Io mi rivolgo a ciechi ed ipovedenti, perché ascoltino la scienza, senza illusioni, ma con la pazienza di attendere per cogliere le occasioni Chiedendole. Mi rivolgo agli ipovedenti, perché capiscano che più tempo passa senza rimedi e più i rimedi si allontanano diventando sempre meno probabili, perché abbiamo a che fare con elementi biologici in via di danneggiamento, per cui questo aumenta con il tempo. Il discorso delle illusioni è un errore che fa presa, ma è un errore dimostrato anche da alcuni riscontri effettivi. Come esempi, potremmo anche citare il collirio ngf per la cornea che funziona nelle cheratiti, che prima erano destinate a portare cecità. Gli studi dei fattori NGF, sono condotti verso la retina e verso il nervo ottico. Le cataratte sono esempi eclatanti: Trentacinque anni fa,le cataratte non erano curabili.. Oggi sono patologie banali,grazie alla scienza medica e chirurgica, mentre esistono progetti per colliri in grado di dissolvere le ossidazioni del cristallino,ed evitare la cataratta. Le maculopatie, apparivano incurabili, ma ora non più, grazie alla scienza, che ha messo a punto farmaci antiangiogenici che, se usati tempestivamente guarirebbero la malattia, mentre vengono usati tardivamente, quando, ormai ci sono danni evidenti. Questo potrebbe essere evitato. Le malattie come la mia, ovvero retinite pigmentosa sono causate da mutazioni di geni che non lavorando correttamente portano a danni irreversibili, ma la scienza studia la genetica per riparare il dna e giungere a fermare la malattia e,anche a riguadagnare. Le cellule embrionali, in prospettiva, possono ricreare i fotorecettori distrutti, per cui sono possibilità di recuperi, ostacolati da ostilità da parte di Chiesa ed associazioni., dove la mentalità distruttiva di certe persone UICI diviene un ostacolo importante. creando il concetto delle false speranze, che allontanano dai ricercatori. Cosi che, mentre la signora Francesca si preoccupa che io possa portare tristezza ai non vedenti e agli ipovedenti, io mi preoccupo dei danni già apportati dal nostro disinteresse a curarci, provocato da errori di mentalità! E, il problema diviene sempre più grave, perché il disinteresse causato dalla sfiducia nei recuperi, porta anche a minore impegno di molti ricercatori ad usare lavoro e denaro per una cosa poco richiesta. E, solo perché si crede impossibile riguadagnare vista, indotti dalle tante inefficienze odierne. In realtà, chi abbia perduto i fotorecettori o il nervo ottico, non potrà vedere più,a meno che la scienza non riesca a trapiantare fotorecettori,o rigenerare le fibre nervose, o ripararle restituendo la mielina che hanno, eventualmente perduto. Se oggi queste patologie non si curano, è perché siamo arretrati nelle ricerche. Su queste cose riflettano la signora Francesca e i vertici. Ora passo ad analizzare la lettera, dove la signora crede di minimizzare la gravità della cecità e, invece, la sottolinea nel mostrare indifferenza, non solo verso l’importanza della vista, ma anche ignorando la gioia di vedere di immagini e colori. La signora Francesca va a cavallo? Domanda: cavallo cieco o cavallo vedente? Facendo un po’ di ironia perché, tutto ciò che aiuta la signora Francesca ha la sua componente di vista. E un'altra domanda: Quante persone vedenti sono mobilitate per assistere i non vedenti? E aggiungo: quante energie di vedenti noi assorbiamo? E quanto costiamo? Ella non valuta queste cose? Che sarebbero meglio risolte curando malattie e recuperando vista. Riporto integralmente la lettera, per non fare errori e, nel corpo della stessa, inserisco tra parentesi, le mie note di risposta. Caro signor Landi Di Francesca D'Alò Caro signor Landi, Mi chiamo Francesca, sono non vedente praticamente dalla nascita e sono una lettrice del trimestrale "Giovani del 2000". Leggendo l'ultimo numero del giornale sopra citato mi sono imbattuta nel Suo articolo intitolato "Cecità e ricerca" in cui Lei sottolinea l'importanza di combattere contro ogni tipo di cecità e il ruolo che la ricerca dovrebbe assumere in questo tipo di battaglia, fondamentale perché, a suo dire, la cecità è il peggior male possibile. Non ho niente contro di Lei anche perché non ci conosciamo neppure, e rispetto le Sue opinioni, ma leggendo il seguito del Suo scritto non ho potuto fare a meno di indignarmi (Nota di Varo: Indignarsi? Ad indignare dovrebbero essere le offese o le falsità, non le verità! Nel mio articolo non ci sono offese, né falsità, mentre lei ritiene non vera questa o quella cosa Principalmente per asserire che la cecità non è cosa tanto grave! Allora domanderei per quale motivo lo stato ci eroga ogni mese, un assegno di accompagnamento, se la cecità non fosse una condizione grave.) per tante riflessioni che vi ho trovato. Da qui la necessità di risponderle per dar modo ai lettori del giornale, di conoscere un altro punto divista e potersi fare un'idea con più elementi a disposizione.(Nota di Varo: Nel suo seguito non si parla di visione.) Lei ha ragione quando sostiene che i ricercatori dovrebbero impegnarsi per combattere la cecità e tutte le malattie che ad essa portano, ma allo stesso modo, ci si dovrebbe impegnare per combattere qualsiasi tipo di malattia dato che ci sono a mio avviso, malattie molto più invalidanti di quelle che portano alla perdita della vista così come ci sono menomazioni più invalidanti del non vedere.(Nota di Varo: Noi ciechi non ci preoccupiamo della cecità, ma delle altre invalidità. E' giusto?: I ricercatori studiano anche le altre infermità e,in questo li ho sempre sostenuti. Da poco è giunta la notizia che arriva un farmaco nel quale ci sono cellule istruite a riconoscere le cellule che portano tumori, per distruggerle.. Ma, in questo caso, siamo tra ciechi e ipovedenti, per cui gli interessi devono essere per le cecità. Poi non è vero che la cecità è meno invalidante di altre menomazioni, la riprova è data dall'assegno di accompagnamento che ci danno.) Penso a tante malattie metaboliche che portano l'individuo a una progressiva perdita di controllo delle funzioni vitali e poi alla morte, a tante malattie genetiche che portano tantissimi problemi fisici e non solo dato che molte portano anche a un ritardo mentale più o meno grave. Certo, non vedere è un bel limite, la vita da ciechi non è una passeggiata, ma chi può definire la vita una passeggiata? Inoltre, quando penso alle persone sulla sedia a rotelle, paralizzate dalla vita in giù o peggio, dal collo in giù, che hanno bisogno di qualcuno anche per le cose più elementari e intime come lavarsi e non possono essere autosufficienti in niente, oppure quando penso a tanti bambini che nascono con malattie degenerative gravi o grosse malformazioni o alle persone autistiche o con ritardo mentale, mi ritengo fortunata ad essere soltanto non vedente! Io almeno ho facoltà di intendere e di volere e i miei genitori non si devono preoccupare troppo di cosa sarà di me quando non ci saranno più! Non vedo, ma sono sana e non morirò precocemente se non mi capita un incidente, cioè non sono condannata a morte per definizione! Io non potrò fare tutto, ma almeno sono autosufficiente in ciò che riguarda la mia igiene personale, posso muovermi tranquillamente in un ambiente conosciuto e avrò bisogno di un aiuto per certe cose, di un occhio come diciamo noi ciechi in gergo, ma non ho bisogno di assistenza continua ventiquattr'ore su ventiquattro! Non è una fortuna signor Landi?(Note di Varo: Una fortuna essere solo ciechi? Mamma mia signora Francesca! Poi devo mettere a confronto un tipo di invalidità con un altro? Ognuno sa di se stesso e, le invalidità altrui non mitigano le nostre. Comunque, messa come fa lei, devo dire, ho anche una sordità molto elevata, che supero grazie alla scienza che mi ha messo a disposizione protesi acustiche molto sofisticate, che mi rendono una parte del perduto.) Per lei è diverso, certo! Lei ha perso qualcosa che aveva e rimpiange questa perdita: ripensa con nostalgia a tutte le cose che poteva fare quando vedeva e che ora che ha perso la vista non può fare più, ma provi solo a pensare come sarebbe stato peggio se avesse perso oltre alla vista, anche la facoltà di intendere e volere e magari fosse costretto a vivere come un vegetale attaccato a una macchina! (Nota di Varo: Già detto che le altrui disgrazie non sono fonti di consolazioni per noi: un tizio aveva urtato un occhio contro un ramo, perdendo quell'occhio. Allora si rivolge al Creatore: signore, ti ringrazio perché non era una forcella! Potevamo aggiungere anche altre patologie? Possono pur sempre venire, signora Francesca. Bambini ammalati? E perché, per lei i bambini ciechi non sono un dramma? Lei non la vede così perché non conosce la vista e crede cosa da poco la cecità. Ma provi a domandarlo ai genitori di quei bambini ciechi! Io li ho conosciuti nei fora, e so quanto ci soffrono E, non trovano rimedi, perché la scienza non li ha trovati ancora. E noi non aiutiamo la scienza. ) Io non conosco la Sua storia, non so come ha perso la vista né a che età, né quanto tempo è passato da quando vedeva ad adesso, né quanti anni ha, ma posso capire il suo scoramento e tutto ciò che Lei sente di aver perso e come viva tutto ciò come un limite.(Note di Varo: Se minimizza la gravità della cecità, dimostra di non avere capito: sicuramente perché non ha mai visto e, non può farsi una idea. Comunque: 77 anni. Retinite pigmentosa Usher da un anno in poi, ma felice perché ci sentivo poco, ma vedevo sufficientemente. Interessi? Lavoro, fotografia, pittura, scacci, elettronica, pesca sportiva, letture, biliardo, attività sportive, riprese cinematografiche, esecuzione cartoni animati, impiantistica acqua e corrente, Hobbistica varia. Lavori in legno e muratura. Lavori in metallo. Registrazioni video, ecc. Ero contento di usare un motorino ciao e la mia vita era molto attiva, collegata al mondo del vedere. Ora che ho perduto la vista, da circa venti anni, continuo a fare tutte quelle cose che sono permesse dal tatto, e coltivo anche nel mio orto, naturalmente come mi è possibile, continuo a costruire e ad usare utensili motorizzati, con le conoscenze e il tatto insieme alla mente.) Capisco che la irriti chi definisce la cecità un valore aggiunto, ma vorrei che Lei comprendesse come mi irriti allo stesso modo chi la definisce una disgrazia e chi mi definisce una disgraziata perché non vedo e perciò ha pietà di me e mi commisera. (Note di Varo: Io sono molto più umile ! Non è mia scelta essere cieco, per cui non mi offendono i tentativi di aiuti. Per fortuna che ci sono tante persone che si accorgono dei miei problemi e cercano di aiutarmi spontaneamente. Mi accade che, pur essendo accompagnato, nello scendere da un pullman, trovi difficoltoso trovare appoggi da toccare, mentre scendo ed ho bisogno di appoggi. Spesso sento una mano che prende la mia e la guida verso una maniglia o verso un bracciolo o la sbarra di discesa. Il mio pensiero è di gratitudine, per avere incontrato una persona gentile e sensibile. Dovrei offendermi? Ma cosa siamo? Valori aggiunti davvero? Oltre ad avere la cecità, dobbiamo anche essere pieni di orgoglio? Signora Francesca, provi a non farsi più aiutare da nessuno. faccia da sola, per qualche giorno, visto che vorrebbe fare da sola. Io ho preso per buono che non abbia residui visivi. Perché ci fosse un residuo la capirei meglio.) Certo, la cecità non sarà un valore aggiunto, ma non pensa che chi la definisce tale magari lo fa proprio per incoraggiare le persone come lei e cercare di far sì che non si buttino giù?(Nota di Varo: Probabilmente è proprio come dice. Ma, non sanno quanto male facciano, perché, chi non ci pensa più non chiede di fare ricerche e induce anche altri a non chiedere ricerche, senza le quali rimarremo ciechi a vita per mancanza di terapie. Non li ringrazio. Le ricerche sono per trovare cure. Invece, lei non pensa che aiutare le ricerche possa far sperare che la cecità potrebbe essere vinta? Le speranze di questo tipo non sono illusioni, quando appoggiate da conoscenze sia delle possibilità positive, sia dal sapere dove sono i limiti. Ma poi, che sensibilità è quella di temere di intristire il cieco e l'ipovedente, parlando del problema, mentre non si preoccupa di citare altre infermità con il rischio di urtare gli altri che ne soffrono? Fortuna che gli altri invalidi lottano per uscire dalle invalidità, o per farsi aiutare. ) Se uno è già depresso perché non ci vede, come pensa che si possa sentire se tutti lo vedono come un disgraziato? (Nota di Varo: Sono cieco assoluto e senza le protesi, anche sordo gravissimo. Lotto! ) L'essere non vedente, per me che ci convivo da quando sono al mondo, non è né un valore aggiunto né una disgrazia: è una caratteristica come quella di avere ad esempio, i capelli biondi o gli occhi azzurri. Certo, è una caratteristica limitante, ma non una disgrazia o almeno, non la peggiore delle disgrazie.(Note di Varo: Questo discorso della caratteristica, come capelli e colore degli occhi, l'ho già sentita ! è una tecnica di radicalizzazione per addormentare le coscienze. Il fatto che tutti sentano la cecità come una disgrazia proviene dalla conoscenza di cosa è la vista.) Ora, Lei mi potrebbe dire che è libero di pensare quel che vuole come io sono libera di fare altrettanto, ma il problema è che certe sue opinioni mi spaventano perché sono scritte in un articolo che altri ciechi o magari loro amici o familiari possono leggere e questo potrebbe essere deleterio per loro.(Note di Varo: Signora Francesca, e se ad essere deleterie fossero le sue idee? Le mie sono opinioni? Non cose oggettive? Io ho tanti amici che mi scrivono e mi ringraziano per le mie idee, giovani che hanno perduto la vista per malattie o traumi e sono disperati. Molto arrabbiati perché la UICI non chiede ricerche. Sono fortemente demoralizzati dalla inerzia UICI e di quella di chi non lotta per aiutare i ricercatori. Al momento per tante cecità non ci sono rimedi, ma, anche perché alcune mentalità, hanno frenato l'uso di staminali embrionali, e perché le associazioni non hanno aiutato, mentre molte malattie progressive non sono state fermate in tempo utile,grazie proprio a mentalità come quella di accettare le cose in modo passivo… Il suo caso? Per sua fortuna la cecità non le pesa, per cui siamo a posto. Ma sarebbe nostro dovere aiutare tutti gli altri a cercare di vincere contro la cecità, aiutando le ricerche. ) Certo! Lei ha ragione quando dice che un cieco non può fare tutto come tanti invece asserirebbero, che non può fare tutti i lavori, certo io non posso fare il geometra o il vigile o il saldatore, ma non per questo devo essere relegata a fare la centralinista o la fisioterapista! Posso fare l'insegnante, l'avvocato e con l'aiuto della tecnologia, magari posso fare anche un lavoro amministrativo. (Nota di Varo: Mi si scusi per la battuta: perché non cita tutto ciò che usa la vista? Come astronomia, fotografia, topografia, Vignettista, modellista, coreografa, progettista, dentista, oculista, ecc.? Fossero stati ciechi anche coloro che le hanno creato gli ausili che usa? Cosa farebbe ora? Gli accompagnatori vedenti non la irritano?) Certo, non potrò fare tutti gli sport e se ne farò qualcuno magari dovrà essere uno sport adattato, ma posso comunque fare sport. HO giocato a baseball per anni e certo, magari non potevo godere delle parabole che la pallina fa sul campo o di altri aspetti puramente visivi ma ho potuto godere della sensazione di giocare, di correre da sola all'aria aperta e di stare in una squadra con ciechi e vedenti. Certo, non ho solo problemi pratici, ma se ho perso la vista o anche se sono sempre stata cieca assoluta come nel mio caso, avrò anche problemi psicologici, ma ciò che mi angustia nella vita di tutti i giorni sono i problemi pratici di quando mi cade qualcosa e non riesco a ritrovarlo o di quando sono costretta sempre a dipendere dai mezzi pubblici perché non posso guidare una macchina o un motorino o una bici.(Nota di Varo: Questi sono piccoli problemi che a me non pesano più di tanto, in fondo, li supero: se mi cade qualcosa,, con pazienza la ritrovo, anche fosse uno spillo andato tra una mattonella e l'altra.) Le dirò una cosa signor Landi: mi hanno cresciuta con l'assunto implicito "Questa cosa non la puoi fare perché non ci vedi" e questa frase mi veniva suggerita non verbalmente ma implicitamente per quasi tutto quello che avrei voluto fare o che mia sorella faceva e io no. Questo insieme ad altri fattori riguardanti il mio carattere e il mio vissuto familiare, mi ha resa una persona fragile e insicura, non troppo autonoma in tante cose anche se in altre mi sono riscattata, e da grande ho avuto una vera e propria rivelazione quando conoscendo altri non vedenti e confrontandomi con loro, ho scoperto che tante di quelle cose che a me venivano interdette, invece si potevano fare anche senza l'aiuto della vista! (Nota di Varo: Confermo: tante cose si possono fare anche senza la vista, tanto è vero che io lavoro anche con utensili a motore, mentre tanti vedenti non capiscono come io faccia. Basta non dare peso al tempo che mi occorre. Le legge le mie ricette di cucina? Provi e faccia quelle ricette nel modo che descrivo, si accorgerà che il metodo conta. Appunto io dico che il peggior problema della cecità, non è quello di non riuscire a fare le cose. Il problema peggiore è quello del non vedere, perché la vista è un mondo. Il non riuscire a fare, è una conseguenza della cecità, non un problema aggiuntivo ) Ecco perché non voglio che passi il concetto che lei esprime, della cecità solo come limite! Non è questo quello di cui abbiamo bisogno, non solo noi ciechi, ma anche i normodotati che ci leggono! Questo tutti lo sanno già! C'è bisogno di sottolineare i valori positivi della cecità (nota di Varo: In pratica si deve ingannare l'intelligenza dei lettori parlando di aspetti positivi della cecità? Ma sì, esiste anche un aspetto positivo e cioè, quando si dorme! Filtra la luce del primo mattino, non disturba e si può continuare a dormire ! Ma, quì sembra che a pesare,non sia la cecità, ma il pensiero che gli altri possono avere di noi! Incredibile!) per fare in modo che la gente non ci guardi con pietà e non ci consideri degl'incapaci solo perché non vediamo! Sa quante volte vengo ferita da commenti di commiserazione che i passanti vedendomi camminare per strada fanno? Sa quante volte vengo ferita dalla loro mancanza di fiducia nelle mie affermazioni solo perché sono cieca o dal fatto che vogliono aiutarmi per forza anche quando non ho bisogno perché pensano che io abbia comunque e sempre bisogno di aiuto? Le giuro che queste sono le cose che mi feriscono e mi rendono triste, non l'essere cieca! Preferisco quelli che pensano che posso fare tutto anche se non vedo! (Note di Varo: Lei aggiunge alla cecità la superbia! Io riesco a fare anch'ora tante cose, ma ringrazio tutti coloro che vogliono aiutarmi, e sono tanti, per fortuna! Purtroppo, posso incontrare un vecchio amico che, avendo fretta, e sapendo che non lo vedo, non saluta e, io non so nemmeno di averlo incontrato.) Un altro concetto che non vorrei che passasse è quello che il cieco assoluto vive nel buio, in un mondo dove non c'è niente perché non ci sono le immagini e perciò manca la cosa più importante della vita. Capisco come a Lei manchi il mondo delle immagini, dei colori, della mimica e della gestualità e sicuramente manca anche a me se pure in modo diverso perché io non lo rimpiango come chi ha perso la vista da adulto, ma non è vero che il cieco vive in un mondo buio e triste, così come non è vero che il cieco è la persona più tranquilla del mondo perché non si rende conto di ciò che gli manca e si accontenta.(Nota di Varo: Si riferisce al passo del mio articolo dove cito bagnanti in topless? Non ha colto l'ironia, forse perché non sa cosa sia la vista e, non sa che per un vedente, una bella ragazza in topless sarebbe diverso che per un cieco! Il cieco rimane indifferente, il vedente no. E così nessun turbamento nel cieco, ma solo indifferenza ma, capiranno gli altri.Il buio? Il buio lo conosce chi ha visto..) Lei descrive il cieco come un uomo triste o inconsapevole, che non capisce nulla di ciò che gli succede intorno o(Nota di varo: Si insiste nel falsare le verità: il cieco non vedendo, non sa cosa ha intorno, non perché non capisce: Si incontrano persone che conosciamo, ma non lo sappiamo, non sappiamo se sono belle o brutte, o perché ridono,ad esempio.) di un film solo perché non vede, ma conosco ciechi che riescono a comprendere tanti fenomeni e a intuire tanto di più dei vedenti e che comunque si fanno descrivere ciò che non capiscono di un film potendo ridere anche loro di una situazione buffa rappresentata solo con le immagini o le espressioni!(Nota di Varo: La mimica e le espressioni non si possono raccontare: una espressione comica fa ridere d'improvviso e irresistibilmente, perché evoca tante cose non dette e, fanno capire sottintesi divertenti. Come si potrebbe godere di un film muto? E' tutto mimica. Come si potrebbe ridere nello spettacolo di un pagliaccio? La sua arte di mimica è strepitosamente divertente Non è intuibile, spesso è arte vera il suo spettacolo, ma senza vista non esiste. Per un non vedente, un film muto equivale a stare seduto su una poltroncina, insieme ad altri che spesso ridono, mentre non sappiamo il perché!) Lei dice che un cieco si perde tutta la bellezza del mondo, di quel mondo percepibile solo con la vista.(Nota di Varo: Ho detto che il cieco perde tutto il mondo del vedere. Semplicemente questo. Ed è tantissimo.) Purtroppo è vero, ma non è vero che per questo un cieco non prova emozioni o non conosce il mondo della natura che lei descrive! Ci sono libri e documentari che descrivono quel mondo e non è neanche vero che un cieco non può apprezzare l'arte anche se certo, non può magari apprezzarla totalmente. Ciò che fa la differenza è la curiosità di una persona. Se si è curiosi allora si possono conoscere tante cose, ognuno a suo modo, se non lo si è si possono avere anche dieci decimi, ma certe cose non le si vedono nemmeno e non si è diversi da un cieco che quelle cose non le vede davvero. (Note di Varo: Non è esatto quanto dice, ma è vero che tante persone vedenti non si accorgono di cose che alcuni non vedenti, hanno intuito. Magari il vedente si era distratto da altri particolari ma non mi si dica che il cieco possa apprezzare, ad esempio una pittura, per bella che sia. La pittura non si sente al tatto. Scultura? Ma, sapesse quanto è diverso vedere interamente tutta la scultura, rispetto a palpeggiarla centimetro per centimetro! Il documentario evocato nel mio articolo: non è come leggere una descrizione: il documentario può avere lunghi silenzi mentre mostra scenari straordinari di un mondo che non potremmo avvicinare dal vero.) Certo, tante cose un cieco se le perde purtroppo, ma sottolinearlo lo aiuta forse a stare meglio? Per la mia esperienza personale posso dire che far notare a un cieco quello che si perde non potendo vedere non fa che irritarlo perché sottolinea l'ovvio, e farlo sentire triste perché tanto non può farci niente. Allora cerchiamo di valorizzare ciò che il cieco può apprezzare e di trovare dei modi per fargli apprezzare ciò che si perde come ad esempio costruendo modellini tattili o descrivendo dov'è possibile. (Note di varo: se vero è che si sottolinea l'ovvio, perché allora si vuole fare apparire come un valore la cecità? Perché non dire che il cieco è "soltanto" cieco? Provi a dirlo al mio amico bulgaro che ha perso il nervo ottico a 23 anni per un incidente d'auto, oppure all'altro amico di 20 anni che in poche ore ha perduto la vista per una malattia rara? Non faccio notare per divertimento, ma perché si acquisti voglia di lottare, per uscire dalla cecità.) Io mi sento all'opposto rispetto al cieco che Lei descrive: certo, mi mancheranno le immagini, ma il mio mondo è fatto di suoni, di forme, di voci e di odori oltre che di consistenze, di storie e di sogni e tutte queste cose sono altrettanto importanti. (Note di Varo: Perché, il vedente non ha tutte quelle cose? ) L'immagine che lei descrive della spiaggia, per me non è un qualcosa di fantasma perché posso sentire le onde del mare e i ragazzi che vi sguazzano anche se non posso vederli! Posso sentire la sabbia sotto i miei piedi, il sole, il vento e l'acqua se decido di tufarmi e posso sentire l'odore del mare. Posso godere della natura anche senza vedere anche se certo, sono limitata, ma allora cosa devo fare? Devo spararmi?(Note di Varo: No, non deve spararsi !Assolutamente no! Ma, se lo vuol fare, non dia la colpa a me! Può fare qualcosa di più positivo. Ad esempio aiutare le ricerche, se non per lei stessa, per gli altri amici! Quelli che pur sentendo rumori ed odori, vorrebbero ammirare anche le persone che sono lì, o il gabbiano che vola su di loro o l'aquilone tenuto dal ragazzino che corre o l'aereo che trascina un manifesto pubblicitario.) Lei non ci troverà tutti questi lati positivi in una vita senza la vista, senza immagini né colori, ma se mi piangessi addosso continuamente pensando a ciò che non ho o che non posso fare invece che alle cose che ho e che posso fare, questo non mi aiuterebbe. Già la vita è dura e complicata per tutti in generale e per i disabili in particolare, se ci si piange addosso non si fa che peggiorare la situazione. Ecco perché non sopporto chi lo fa perché non è utile né a se stesso né agli altri. Accettando i propri limiti e andando avanti con serenità pensando ai lati positivi di una condizione invece si vive meglio. (Note di Varo: Mi costringe a replicare. Questo discorso del piangerci addosso è il solito modo di dire offensivo, frequentemente usato per intimidire ed offendere chi si ribella alla cecità! Sempre come tecnica di radicalismo: dai dai e, il povero cieco ribelle smette di ribellarsi, magari comincia a sentirsi gratificato del dono della cecità!, perché, se vuole combatterla viene additato come piagnucolone! Perché non si diventa più civili?. Perché non crearci più serenità aiutando a combattere la cecità, specialmente ora che la scienza fa scoperte importanti? Si aiutano a vivere meglio i ciechi dicendo loro che non hanno possibilità di recuperare? Le sue espressioni, signora Francesca, le sento da tanti ciechi, e significa che fanno parte di una didattica creata da psicologi: lavaggio...) Non è vero che, solo perché non vedo, non posso apprezzare il mondo, anzi! Posso apprezzarlo ancora meglio proprio perché non vedo (Nota di Varo: Addirittura!!! Il mondo dei ciechi è più bello!) La mia curiosità, la mia sete di viaggiare e fare esperienze come andare a cavallo, pattinare e sciare è nata proprio dal fatto che quelle cose non vedendole fare, non le potevo esperire se non provandole e solo viaggiando o sciando o pattinando o cavalcando ho compreso tante sensazioni e tante cose che i vedenti magari comprendono vedendole in tv.(Nota di Varo: Davvero crede che i vedenti capiscono quelle cose per vederle in tv? Davvero va in montagna sulle piste da sci, o, all'ippodromo a correre su cavalli? Fortuna che a me non interessano e, non mi sono mai interessate queste cose e fortuna che i cavalli ci vedono per noi. Li guida? Però è bello che lei riesca a fare quelle esperienze e, si senta gratificata. ) Per concludere, non penso che lei sia in errore e io nel giusto: (Nota di Varo: Coerenza? Dopo aver contestato tutto, dicendo non è vero questo, non è vero quello, mentre citavo altre cose connesse con la vista, essendo questo il tema, conclude che non sono in errore?) ognuno dice ciò che sente e questo va bene comunque, ma mi ha spaventata e irritata il suo scritto per le idee che contiene e ho voluto ridimensionarle portando idee opposte, proprio per aiutare quelli che come Lei vivono con tristezza e rimpianto la perdita della vista. Ho pensato a una persona appena diventata cieca che leggendo il suo articolo si sia immedesimata approvando tutte le sue parole, e per questo si sia intristita e scoraggiata ancora di più fino a pensare addirittura, magari, al suicidio, ho pensato a un genitore di un bambino cieco che leggendo il suo articolo si sia sentito ancor più scoraggiato di quandto non lo sia già. Quella persona o quel genitore conoscono già gli aspetti negativi della cecità che Lei sottolinea! Hanno bisogno di conoscere gli aspetti positivi! Di sapere che non è tutto nero, anzi! Perciò coraggio signor Landi! La vita è bella e degna di essere vissuta anche senza il dono della vista. (Nota di Varo: Il genitore di un bambino cieco, preferirebbe sapere che esiste vicina una cura, piuttosto che doversi rassegnare alla cecità. Non ha pensato però, che se a leggere la sua lettera fosse, invece, un gruppo di ricercatori, questo, facendo i conti come quattro più quattro uguale ad otto, concluda che investire qualche milionuccio per trovare un rimedio definitivo per il glaucoma o per la retinite pigmentosa, non sia conveniente, perché i ciechi si sentono bene ciechi, per cui non sono interessati a curarsi? Meglio investire per creare bistecche sintetiche, perché quelle le mangerebbero anche i ciechi, che nemmeno si accorgerebbero! Sentirebbero i profumi sintetizzati, i gusti rinforzati da essenze aggiunte. E non si tratta di una battuta: Prelevano da un maiale o da una mucca, cellule staminali da pilotarle a diventare carne e, ad usare una brodaglia adatta a nutrirle. Ho già sentito chi ha mangiato quelle cose, trovandole buone! E dunque, signora Francesca, i ciechi che non sono interessati verso l'uso di staminali per riacquistare la vista saranno felici di usarle per ingrassarsi meglio! ). Conclusione? La conclusione deve essere positiva, nel senso che, a mio avviso, si deve lasciare un messaggio di speranze positive. Le illusioni non servono, ma i tanti studi condotti da centri di ricerche sparsi per il mondo sono realtà, per cui non sono illusioni, salvo che cercano per aiutare chi chiede di essere aiutato, non per chi sta bene cieco. Pensateci bene a questo. Allora io lotto al loro fianco e ricordo il detto: aiutati che Dio ti aiuta. Anche se altri dicono: Al cieco non far sapere quanto è bello il mondo del vedere!
Se a questo mondo la pensassimo tutti nello stesso modo, sarebbe molto noioso e non ci si potrebbe confrontare e arricchire. Fondamentale ampliare il nostro bagaglio d’esperienze e conoscenze. Chi riesce ad aprirsi a nuovi orizzonti volgendosi anche a altri modi di pensare, senza l’ottusità propria che spesso caratterizza l’uomo, colui che lo fa di certo è una persona intelligente. Vi è mai capitato di ascoltare una conversazione o di leggere qualcosa che a primo acchito vi urta; magari provate fastidio, disappunto o addirittura vi sentite offesi da certe parole che toccano intimamente, allora scatta subito la molla della difensiva, ci irritiamo a tale punto che rimaniamo accecati e non proviamo neppure a riflettere, ad aprire uno spiraglio per vedere oltre certe opinioni, perché e per come… dietro un discorso dal sapore crudo fatto da una persona che è sempre e comunque diversa da noi, vuoi per educazione, per istruzione, per età, per esperienze vissute, per convinzioni personali ma pur sempre si tratta di persona che in tutta libertà esprime un concetto in cui crede, e noi uditori possiamo fare tesoro di certe parole e magari diventarne discepoli o al contrario non ascoltare per niente e possiamo passare ad altro. È bene tenere presente, sempre secondo me, che ognuno di noi parla per se stesso, quindi non siamo i portatori di nessuna verità assoluta, forse essa non esiste neppure ma non possiamo né criticare né difendere a spada tratta un concetto da noi scritto o talvolta letto, potremmo soltanto averne una opinione personale... È successo di recente proprio in questo giornalino che siano stati pubblicati articoli che hanno turbato la sensibilità di alcune persone. Lasciatemi dire, senza ovviamente prendere le parti di nessuno, che non c’è motivo di sentirsi offesi…tutto quanto viene travisato e prende il sapore esagerato di un qualcosa di tossico. Forse la spiegazione sta nel fatto che due linee parallele non s’incontrano mai! Essere o non essere? Questo è il problema, giusto o sbagliato, tutto o niente, amore o odio?...Ogni sentimento, qualunque emozione è divisa da un’altra opposta da un filo sottile… tolto questo filo c’è solo una grande confusione. Debbo dire la verità, anche io alla prima lettura di alcuni artico limi sono sentita spiazzata, confusa e triste… Ma alla fine quelle parole avevano fatto effetto in qualche modo… Dopo, riflettendo, ho capito il senso. La schiettezza se pur cruenta, il fatto di non usare filtri, giri di parole, dà una marcia in più a far arrivare il messaggio! Voglio certamente sperare che certi messaggi, vuoi dati da tutti i mass media, compresi films dati in orari, sia pomeridiani che in prima serata, quando ci sono i bambini in casa, compreso il telegiornale colmo di notizie negative, ebbene voglio sperare che vicino ai ragazzi ci sia sempre un adulto pronto a proteggere in qualche maniera il minore specie se piccolo. Stessa cosa vale per questo periodico che viene letto prevalentemente da adulti… quindi voglio ben sperare che la lettura da parte dei minori sia affiancata e spiegata! Purtroppo lo scetticismo dilaga, pensare positivo è sempre più complicato ma sarebbe di buon auspicio, la rassegnazione è negativa, la speranza è quella che tiene acceso il motore della vita, io direi che sia d’obbligo sperare sempre in meglio, non arrendersi e lottare se necessario contro tutto e tutti al fine di un bene, a maggior ragione se collettivo! Quando si toccano argomentazioni delicate come le molteplici malattie che esistono, le cure, la ricerca ecc. non è mai semplice data la delicatezza degli argomenti . A mio giudizio ognuno sente il proprio male, anche chi ha un mal di denti, come lui in quel momento non soffre nessuno, o chi ha delle smagliature, o ha il seno piccolo e vuole fare un intervento di chirurgia plastica perché non si accetta per com’è e vive male. Ma chi sono io per dire che una malattia è migliore o peggiore di un’altra? Parto e arrivo sempre dal rispetto del prossimo. Dovremo capirci di più ma dobbiamo prima imparare ad ascoltare… Quando poi qualcuno ha il coraggio di dire la sua a proposito di una condizione invalidante che lo riguarda e la possa accettare o meno, succede discatenare il finimondo, c’è chi si offende e si chiude a riccio e nascono polemiche inutili. La ricerca ha fatto molto in questi anni ma è ancora tanto poco, gli studi ci sono, ne sono stati fattima come sappiamo senza addentrarci nei meandri del potere, s’investe poco danaro per riuscire a guarire veramente. Se crediamo che Gesù ha fatto riacquistare la vista ad un cieco dobbiamo credere che anche un bravo medico ricercatore lo possa fare. in fondo siamo creature di Dio!. La salute è un diritto di tutti e va al di la dell’accettazione dell’handicap, al di la che si possa comunque vivere bene perché ci sono gli strumenti e via discorrendo. Per concludere sogno un mondo dove le malattie, perlomeno le più invalidanti, e quelle mortali in particolare, vengano debellate. Tutti viviamo sotto lo stesso cielo e nessuno è immune dall’ammalarsi o rimanere, a causa di un incidente, privo di vista, di uno o più arti o, nella peggiore delle ipotesi, immobilizzato in un letto! Dobbiamo fare rumore come lo fanno i tanti Varo Landi che, indiscutibilmente, avranno i loro modi, ma scuotono e non lo fa in particolare lui solo per se stesso ma principalmente, per la gioventù che fin troppo ha atteggiamenti di rassegnazione un pò in tutti i campi.
Avendo accumulato alcuni quotidiani on-line in una cartella del mio computer e volendo fare per così dire "un po’ di pulizia" nel consultare a caso qualche titolo interessante mi soffermo su un paio di articoli contenuti rispettivamente del quotidiano l'Arena di Verona e sulla STAMPA i quali mi spingono a fare alcune mie considerazioni che se pur ovvie mi piace riproporre. Sul primo si leggono alcuni dati veramente raccapriccianti forniti dall' associazione antiabortista Provita la quale afferma che Sei milioni di bambini sono stati "eliminati", ovvero mai nati, a causa dell'aborto in 40 anni in Italia. E' questo il principale effetto cui ha portato la legge 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza. Inoltre il senatore leghista Massimiliano Romeo afferma che sono 232 "i bambini eliminati ogni giorno nel grembo materno nel nostro Paese attraverso l'aborto chirurgico", mentre la senatrice Isabella Rauti di Fratelli d'Italia, ha denunciato la mancanza di informazione alle donne sui rischi legati all'aborto chirurgico che pur non stimabile con cifre certe si attesta intorno al 14 per cento. Sulla Stampa invece un articolo intitolato "la nuova campagna anti aborto". Anche in questo pezzo è protagonista l'associazione ProVita che a Roma ha affisso un gran manifesto che riproduce l'immagine di un feto mostrandone l'avanzato stadio di formazione alla undicesima settimana. Con poche parole aggiunte il messaggio è chiaro e invita a non interrompere lo sviluppo di una vita umana. Naturalmente si e scatenato un putiferio tra associazioni a favore dell'aborto, donne e persino personaggi politici tanto che l'amministrazione ha deciso di farlo rimuovere immediatamente in nome di un fantomatico articolo del regolamento sulle affissioni. Nel nostro Paese la critica delle leggi è ovviamente libera, così come lo è la proposta di modificarle. Non solo, ma libera è anche la propaganda diretta a spingere a non usufruire di possibilità che la legge ammette. Sembrerebbe ovvio, se la necessità di ricordarlo non venisse dalla vicenda, che ha visto, non la critica di quel manifesto, ma la pretesa di eliminarlo: la pretesa di zittire chi la vede diversamente. Mi chiedo. ma questa non è una società dove dovrebbe. e dico dovrebbe vigere il pluralismo, la tolleranza, lo spirito di apertura, e soprattutto il rispetto reciproco? Secondo me senza questi presupposti non esiste società democratica". Ovviamente gia da queste poche righe si e capito che io sono uno di quelli che e assolutamente contrario a questa pratica di morte. Naturalmente ci sono anche casi dove l'aborto va praticato perché non ce altra alternativa e di questo ne sono consapevole. Ciò che invece mi irrita e mi preoccupa e proprio la faciloneria con cui si usufruisce di una legge dalla quale si e capito solo che i feti possono essere legalmente ammazzati. ma non è affatto così, ci sono altre possibilità che spessissimo non vengono nemmeno considerate e di seguito ve lo dimostrerò. Non voglio naturalmente fare dei moralismi o delle ipotesi che lascio a chi vive il problema in prima persona ma vorrei innanzitutto dire che certe leggi assassine sono acclamate come frutto di conquiste di società e culture all'avanguardia ma che io non metterei nemmeno tra le popolazioni cavernicole. A onor del vero dobbiamo anche dire che oggi tra i motivi profondi dell'aborto vi è il fatto che le donne nel momento in cui sanno di avere una creatura in grembo e di non essere sposate precipitano in una tragica solitudine e disperazione D'altronde come può accogliere con piacere la vita chi non si sente accolta dalla famiglia o dalla società stessa che ancora oggi addita la persona incinta che dovrebbe essere sostenuta come portatrice di vita ma invece che come spesso succede viene purtroppo ancora oggi in molte famiglie costretta a spegnere la vita con la forza perchè far nascere la creatura che si porta nel grembo e una vergogna per tutta la famiglia. In alcune situazioni si usano addirittura pratiche così dette "fatte in casa"antiquate e pericolose per l'incolumità fisica stessa della donna affinchè non si sappia fuori della cerchia familiare... Perché si abortisce? Perché una gravidanza può sembrare un problema insormontabile, risolvibile solo eliminando la vita che si ha in grembo, la vita che la propria moglie o compagna già custodisce (perché non va mai dimenticato che i genitori sono sempre due)? Per tanti, tantissimi motivi, più o meno ricorrenti, ripetutamente indagati, ma difficilmente rimossi. Alcune volte entrano in gioco e contribuiscono a scegliere il non far vivere anche le difficoltà economiche, sicuramente, sono alla base di molti aborti, ma è bene non illudersi: se le cause fossero solo queste, allora la scelta di abortire dovrebbe riguardare le donne sole o le coppie molto povere. Mentre se esaminiamo gli ultimi dati attendibili ci dicono che la metà degli interventi abortivi è di donne che lavorano, sia italiane che straniere, e coniugate. E allo stesso tempo, la grande diffusione dell'aborto nei ricchi Paesi occidentali è di per sé una smentita alla motivazione socio-economica: i Paesi scandinavi - ma anche la Francia - sono noti per le politiche di welfare e di attenzione alla natalità, ma i loro tassi di aborto restano molto più elevati di quelli italiani, con incrementi paurosi fra le minorenni. Qualche anno fa la rivista "Test Salute" affermava che sarebbe previsto esplicitamente dalla Legge 194/78 che le strutture sanitarie offrissero un'adeguata informazione sulla contraccezione e sul controllo delle nascite, in modo tale da rimuovere "le cause che hanno portato all'aborto". Tali superficiali affermazioni denotano una scarsa conoscenza della tanto celebrata Legge 194, la quale all'articolo 2 cita: "I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405 (2), fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza: *) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio; informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante; *) attuando direttamente o proponendo all' ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. Fermandoci qui già si capisce perfettamente che nell'articolo di Test Salute per le donne che vivono in Italia è stato molto facile ottenere informazioni sull'interruzione volontaria di gravidanza. Informazioni circa l'aborto, e non consulenze o aiuti materiali in opposizione ad esso come la suddetta legge riportava. Quindi se i suddetti punti dove si cercava di dissuadere le donne ad abortire fossero stati messi in evidenza e spiegati dettagliatamente come si e fatto con i punti dove si autorizzava ad ammazzare il proprio figlio oggi questa sciagurata legge credo avrebbe fatto molte meno vittime. Ma siccome non e mai troppo tardi per invertire o quantomeno ridimensionare questa strage di innocenti del 2000, cerchiamo in tutti i modi di diffondere questi punti che salvaguardano la vita spiegandoli a quelle donne che si sentono abbandonate dalla famiglia in primis e in secondo dalla legislazione che ha volutamente o involontariamente privilegiato alcuni punti a scapito di altri.
Il grande albero delle savane, maestosa scultura del mondo vegetale, un vero e proprio gigante della natura, il baobab, è senza dubbio uno dei principali simboli del Madagascar. In questo paese, e in nessun’altra parte dell’Africa, ne esistono ben 8 diverse specie, che offrono all’uomo riparo, medicine e molte altre qualità prodigiose. Questa pianta possente e regale è un elemento imprescindibile del paesaggio e domina, isolato e immenso, con i suoi rami sproporzionati, le assolate pianure del sud e dell’ovest del paese. Il suo aspetto avvizzito, la sua capacità di sopravvivere a lunghi periodi di siccità, agli incendi, e la sua longevità, hanno indotto molti popoli a venerare il baobab e a ritenere che possieda poteri magici. Il baobab però è solo uno degli esempi della straordinaria varietà e unicità della flora e della fauna di questa isola-continente, la quarta isola più grande del mondo. Nonostante i devastanti interventi dell’uomo che hanno drasticamente ridotto la superficie delle sue foreste, il Madagascar è riuscito a conservare un ecosistema ricchissimo, unico al mondo, rappresentando un vero e proprio caleidoscopio di specie animali e vegetali, ma anche di razze e di culture diverse. La grande isola è stata infatti un crocevia geografico dove sopravvivono tradizioni di mille paesi: il riso coltivato a terrazze come in Indonesia, le piroghe a bilanciere dei polinesiani, i libri di magia scritti in caratteri arabi, l’allevamento brado caratteristico delle tribù africane, i mercati ed i negozi indiani, e sono ben 18 le etnie principali che oggi popolano l’isola e che presentano un’incredibile varietà di tratti somatici. Anche in questo caso l’isolamento ha fatto sì che gli elementi culturali portati da ciascuno si siano mescolati e sviluppati in modo del tutto originale. Una delle guide che ci ha accompagnato nella nostra avventura, per definire lo spirito malgascio ci ha detto una frase piuttosto emblematica, descrivendo la popolazione come “profondamente asiatica e intimamente africana”, il che vuol dire che, nonostante le diverse origini e le tante etnie, nella loro unicità gli abitanti del Madagascar si sentono tutti esclusivamente malgasci. Meno di mille anni fa il Madagascar era una terra vergine, disabitata e coperta da dense foreste pluviali e si poteva giustamente definirla come “l’Isola Verde”, mentre oggi, a seguito della selvaggia deforestazione, il suo nome si è trasformato in “Isola rossa”, per il colore vermiglio del suo terreno. La principale attrazione turistica del Madagascar, l’aspetto che ha spinto anche noi a venire quaggiù, è indubbiamente la sua natura, con i suoi tanti diversi paesaggi e la sua biodiversità, tra le più prodigiose al mondo, con l’80 per cento delle specie vegetali e animali che si trovano solo qui, tra cui naturalmente le tante razze dei simpatici lemuri. Purtroppo, tra tutte questi aspetti eccezionali, non si può tralasciare che questo sia uno dei paesi più poveri del pianeta, con una miseria diffusa a tutti i livelli, anche tra le persone più colte e con un lavoro qualificato. In compenso l’estrema povertà fa sì che questa sia una nazione bio, che offre solo prodotti naturali e a chilometro zero, soprattutto per quelli alimentari sempre freschissimi e saporiti. Inoltre tutto viene riutilizzato e non si butta niente, e la plastica che deturpa anche le zone più remote del globo qui si nota assai poco. Siamo nel mese di giugno, nell’inverno australe, e questa volta io e Frediana viaggiamo da soli, ma saremo sempre assistiti e accompagnati da affabili autisti e guide locali, nei diversi luoghi che visiteremo. La prima simpatica guida si chiama Vincent, che ci passa a prendere per la programmata escursione al villaggio rurale di Antanalamaza a sud est della capitale Antananarivo, confidenzialmente chiamata Tanà. Il traffico è allucinante e impieghiamo molto tempo a sventrare, come dice Vincent, la città da nord ovest sino alla parte opposta. La zona degli altopiani che stiamo attraversando, è popolata principalmente dall’etnia Merina, che si può definire l’etnia dominante in quanto sia i vecchi governanti che la nuova classe dirigente appartengono quasi esclusivamente a questa tribù. Ora qui è inverno ed è una stagione tranquilla per l’agricoltura, e le attività nelle campagne sono quasi ferme in quanto a queste altitudini (siamo intorno ai 1400 metri) si riesce ad ottenere un solo raccolto di riso. Vincent ci spiega che nulla di più del necessario viene fatto e che la lentezza regna sovrana in qualsiasi aspetto della vita. Cominciamo così ad imparare il detto che impera ovunque “mura mura” che significa appunto piano piano. Il nostro amico ci parla anche della cultura del riso, alimento indispensabile e spesso anche unica fonte di nutrimento nella poverissima dieta locale . L’abitudine e la necessità di mangiare riso ad ogni pasto è così comune e radicata che l’aspetto nutritivo viene comunque trascurato anche nei momenti di abbondanza, e accompagnare il riso con verdure o carne serve soltanto a poterne mangiare una maggiore quantità……riso a gogò!, come simpaticamente ripete spesso la nostra guida. Arrivati a destinazione, ci aggiriamo per le dissestate vie di questo villaggio rurale tra le tipiche case costruite in mattoni d’argilla in un caratteristico stile tra quello coloniale francese e quello africano. Capiamo che il turismo da queste parti non è arrivato, perché la gente ed in particolare i bambini ci guardano come fossimo degli alieni, salutandoci rispettosamente mentre i più piccoli ridono timidamente. In effetti le cose che ci colpiscono di più in questo primo impatto sono la dolcezza e i sorrisi di questa gente, che saranno una piacevole costante che ci accompagnerà per tutto il viaggio. Tornando in città, lungo la strada possiamo immergerci in uno spaccato di vita quotidiana, e renderci conto della penosa condizione della gente, che si arrangia come può per sopravvivere nel caos di questa generale miseria. Saliamo anche sull’argine del fiume che attraversa la capitale, e che in questo tratto ci sembra incredibilmente pulito. Da questa posizione elevata possiamo godere di un’immagine veramente suggestiva, con le tante donne che lavano i panni, gli uomini che raccolgono dal fondo del fiume l’argilla rossa e costruiscono i mattoni, con le piroghe pronte a trasportarli altrove. Purtroppo i servizi pubblici di questo disgraziato angolo di mondo funzionano poco e male, e la cancellazione del nostro volo per Morondava rientra nelle regole del gioco. Così siamo nostro malgrado costretti a passare un’intera giornata di attesa prima di raggiungere la costa occidentale, nel cuore della zona abitata dal popolo dell’etnia Sakalava, quella di più chiara origine africana. Dalla città di Morondava parte la strada nazionale RN8, che però altro non è che una lunghissima striscia sterrata che costeggia lo stretto di Mozambico e la sua barriera corallina. Questa sera, nell’oscurità che ci accompagna al ristorante sulla spiaggia, la luminosissima stellata che ci sovrasta è così grandiosa da lasciarci incantati e senza parole. All’alba la tenue luce radente del sole che sta per sorgere ci avvolge in una dolcissima atmosfera, e col nostro nuovo autista possiamo iniziare questa stancante giornata partendo con un fuoristrada verso nord, lungo la pista sterrata che ci porterà al parco nazionale degli Tsingy de Bemaraha. Dopo pochi chilometri di strada asfaltata, iniziamo a ballare la samba malgascia, tra buche, scossoni e tratti di fondo sabbioso più morbidi e veloci. La strada di tanto in tanto attraversa miseri villaggi dalle case di paglia, e incontriamo diverse persone che camminano per chilometri sotto il sole inclemente, in parte attenuato dall’ombra della tipica foresta spinosa che ci circonda. Incrociamo donne con i loro carichi in bilico sulla testa, i primi carretti trainati dagli immancabili zebù (i bovini con la gobba), e tantissimi bambini che sbucano fuori dal nulla, dei quali alcuni purtroppo ci sembrano realmente denutriti. Giungiamo così all’imbarco sulla chiatta che in una quarantina di minuti attraversa il fiume Tsiribihina, raggiungendo la sponda opposta dove sorge l’animata località di Belo sur Tsiribihina dove ci fermiamo per il pranzo. Qui restiamo stupiti dalla qualità del cibo, mangiando ottimamente un raffinato piatto di pesce alla griglia con verdure e riso, davvero incredibilmente squisito per un posto del genere. Nell’ultima parte del percorso il terreno peggiora sensibilmente, dando la mazzata finale alle nostre schiene e alla nostra stanchezza. In compenso però il paesaggio di questo tratto è assai bello, in un ambiente tipicamente africano, con un’estesa pianura di erba secca, rare coltivazioni e solitari alberi di acacia. L’imbrunire ci avvolge mentre raggiungiamo finalmente il nostro hotel fuori dal mondo e, anche se il luogo che ci accoglie sembra straordinariamente affascinante, in questo momento non siamo nelle condizioni migliori per apprezzare né il lodge né l’ultima parte del tramonto che ormai si sta spegnendo. Siamo giunti nella remota area del parco degli Tsingy di Bemaraha, caratteristiche formazioni di roccia calcarea di origine carsica a forma di guglia, tra le quali scorre il fiume Manambolo. Nella zona più difficilmente raggiungibile e sicuramente più scenografica del parco, i così detti grandi tsingy raggiungono un’altezza anche di 60 metri, creando frastagliati paesaggi di particolare suggestione. Purtroppo, a causa della cancellazione del volo, questa parte del parco ci sarà preclusa e dovremo accontentarci degli tsingy più piccoli nella zona più facilmente accessibile, accompagnati da una guida gentile e sorridente come la maggior parte dei malgasci sin qui conosciuti. Assistiti da un gradevole clima caldo e asciutto, saliamo a bordo di una stretta piroga intagliata in un tronco e condotta da un barcaiolo con un remo rudimentale. Nel fiume Manambolo vivono parecchi coccodrilli ma in questo periodo sono fortunatamente in vacanza! Siamo gli unici turisti e l’ambiente intorno a noi è estremamente tranquillo e silenzioso. Con scarponi e bastoncini entriamo poi nella boscaglia, camminando nella foresta tra gli tsingy, queste strane formazioni di roccia grigia, appuntite e a volte affilate come rasoi. Ci incuneiamo tra massi e stretti passaggi, percorrendo un piccolo canyon e salendo con staffe e scalette metalliche sino ad un punto panoramico, dal quale si gode di una bella vista d’insieme e dal quale riusciamo anche a scorgere il volo di un’aquila pescatrice. Nel ritorno ci soffermiamo tra le semplici abitazioni del villaggio, dove ammiriamo l’abilità di una ragazza che pesta e setaccia il riso, e dove regaliamo un dolce ad un piccolo bimbo nudo, che timidamente non vuole farsi vedere e che fa sorridere tutti. Poco dopo le 17 inizia l’incantevole spettacolo del tramonto, col sole che si nasconde dietro la foresta che si estende ai nostri piedi, mentre il silenzio e la meraviglia ci avvolgono in un insieme di selvaggia bellezza. Il momento più incredibile però è poco dopo il calar del sole, quando le calde tonalità di arancione e di azzurro di un cielo che ormai si sta scurendo si riaccendono in modo surreale, avvampando l’atmosfera di una fiammeggiante colorazione rosso vivo. Ripercorriamo a ritroso la lunga pista sabbiosa, sfiorati da questa dimenticata realtà, una vita di stenti così lontana da noi e dalle nostre comodità. Verso la fine del percorso ci fermiamo ad ammirare i così detti baobab innamorati, un gigantesco intreccio di tronchi e di rami in un abbraccio divenuto una delle più famose cartoline del Madagascar, e poco dopo giungiamo al famosissimo viale dei baobab, dove molte persone stanno già aspettando il tramonto. Il luogo è davvero spettacolare, nel magnifico insieme dei tanti grandi alberi sparsi nella savana che si stagliano nitidamente nella luce del sole ormai basso sull’orizzonte. Siamo nuovamente a Morondava e ci separano altri 400 chilometri dalla nuova meta della città di Antsirabe, la seconda del paese. La strada che ci riporta verso gli altopiani centrali è fortunatamente scorrevole e i paesaggi che si susseguono sono belli e vari. Una iniziale zona molto verdeggiante lascia poi il posto ad una savana tipicamente africana, con rari grandi alberi e alcuni ruscelli, che vivacizzano il territorio con le linee verdeggianti delle loro sponde, interrompendo la monotonia delle gialle distese di erba secca. Poi nel panorama sopraggiungono le prime risaie e, all’orizzonte, i primi rilievi dell’altopiano che movimentano ulteriormente il paesaggio. Il tempo oggi è magnifico, terso, soleggiato e con una temperatura piacevolissima. Man mano che si sale sul plateau i panorami si fanno sempre più dolci e ampi, nel continuo contrasto cromatico tra il rosso della terra e il verde degli alberi e delle coltivazioni. Arriviamo in città e ritroviamo un po’ di traffico, nel quale scorrono lentamente anche i tanti colorati pousse pousse, i risciò per la maggior parte trainati faticosamente a piedi da queste povere persone. Abbiamo ancora le energie e la voglia di uscire subito per dare un’occhiata a questa città sicuramente molto più tranquilla della capitale dove, nella vecchia stazione ferroviaria ormai in disuso, nel viale dell’Indipendenza con i suoi giardini e nella grande cattedrale, si possono trovare ancora i decadenti segni del passaggio coloniale francese. Siamo pronti per andare alla scoperta del nucleo principale della grande isola, gli altipiani che attraversano come una lunga costola di mille chilometri da nord a sud la sua parte centrale, percorsa per tutta la sua lunghezza dalla mitica RN7, l’unica arteria stradale degna di questo nome. Nei prossimi giorni come autista avremo Aina e come guida Belaviv detto Bela, entrambi molto carini e con i quali ci troveremo benissimo. Siamo quasi a 1500 metri di altitudine e stamattina il clima è piuttosto fresco e il cielo grigio e nuvoloso. Cominciamo ad addentrarci nel cuore della zona rurale del paese, in questo primo tratto popolato in particolare dall’etnia Merina di origine asiatica, che lascerà gradualmente il posto a quella Betsileo proveniente dall’Indonesia. I paesaggi che ci circondano sono molto dolci e piacevoli, tra ondulate colline e ampie vallate, caratterizzate specialmente dalle tipiche risaie a terrazze. Si susseguono i villaggi con le case in mattoni d’argilla che si confondono con il colore rossastro del terreno, e infatti anche qui la costruzione dei mattoni con la terra prelevata dal fondo delle risaie costituisce una delle maggiori attività. Il grigiore del cielo viene comunque illuminato dai sorrisi dei tanti bambini che si materializzano ogni volta che ci fermiamo. Bela è molto bravo con questi bimbi, forse perché anche lui non molto lontano da qui è stato uno di loro, un ragazzino scalzo, sporco e sorridente. Distribuiamo un po’ di caramelle e lui li mette ordinatamente in fila e, per ringraziarci, li invita a cantare insieme l’inno nazionale malgascio, regalandoci una scena indimenticabile, un momento di autentica semplicità davvero commovente. Intanto il sole ha sconfitto le nuvole e i panorami intorno a noi acquistano bellezza e splendore, con l’alternarsi di degradanti vallate, di fiumi che placidamente scorrono verso l’oceano, di improvvise depressioni di terra rossa, di luccicanti coltivazioni di riso, degli onnipresenti zebù in piccole mandrie o al tiro dei carri,di donne di ritorno dal fiume che portano sulla testa le ceste del bucato, e di isolati villaggi di paglia e di argilla perduti nel tempo, che ci regalano uno spettacolo davvero bello e vario. Questa zona è anche la culla delle credenze religiose dei malgasci, che spesso si affiancano e si confondono con il cristianesimo, che resta comunque la religione più diffusa. Tra i rituali più particolari, e per noi alquanto macabri, vi è la riesumazione dei morti dalle tombe di famiglia, che si svolge mediamente ogni 7 anni e rappresenta una grande occasione per fare festa in compagnia di tutto il villaggio. Le tombe vengono aperte e i cadaveri vengono portati in processione tra canti e balli che coinvolgono anche gli stessi defunti, tra fiumi dell’immancabile rum locale. Stasera dormiamo in un lodge sulle rive di un lago, un luogo perso nel nulla dove siamo gli unici clienti e dove si respira un’atmosfera selvaggia e silenziosa, rotta solo dal cinguettare di centinaia di uccellini che salutano l’imminente imbrunire. Mentre il sole comincia a farsi strada nella nebbia del primo mattino , intorno a noi fervono le attività rurali, e in modo particolare i bambini colpiscono la nostra attenzione e i nostri sentimenti. Oggi non vanno a scuola e sono impegnati a trasportare fascine di legna o sacchi di riso sulla testa, a spingere verso un lontano mercato pesantissimi carretti carichi di sacchi di carbone, a portare al pascolo gli zebù e, anche i più piccoli danno come possono il loro contributo. Ci salutano dicendoci “salì vasà”, il rispettoso saluto riservato ai bianchi, e i loro spontanei sorrisi rispecchiano l’aspetto più bello e autentico di questo paese. Giungiamo a Fianarantsoa, la città universitaria, la città della cultura dalla quale proviene gran parte della classe dirigente malgascia. Qui hanno sede molte scuole e collegi religiosi, sia protestanti che cattolici, e molti bambini parlano italiano andando a scuola nei nostri istituti missionari. Proseguiamo verso sud in direzione di Ambalabao e lungo il percorso incrociamo una grande mandria di zebù che, appena acquistati al mercato, stanno iniziando la lunga marcia che li porterà tra molti giorni nella capitale. Il grande mercato degli zebù, che rende famosa questa località, si è svolto ieri ma anche oggi continuano le ultime contrattazioni. Nel vasto spiazzo dedicato ai recinti di questi preziosi animali, essenza di ogni valore malgascio, usati come merce di scambio per qualsiasi importante attività e sulla base dei quali si calcola la ricchezza delle famiglie, ci sono ancora gruppi di zebù che vengono radunati e sistemati sui camion in modo assai particolare, con le code e le corna legate per tenerli fermi. Si respira un’atmosfera vivace e davvero caratteristica, c’è molta animazione e ovviamente ci sono tantissimi bimbi, e una in particolare accetta la nostra proposta di venire in Italia con noi. che carina, me la sarei portata a casa volentieri! Si riparte verso sud lasciando pian piano i territori abitati dai Betsileo per entrare in quelli popolati dall’etnia Bara. I panorami si fanno più ampi e suggestivi e man mano che si prosegue gli ambienti diventano sempre più aridi, con i colori che tendono al porpora e al ruggine. I villaggi ci sembrano sempre più poveri e il territorio sempre più brullo, finchè cominciano a comparire le prime formazioni rocciose, e in effetti verso est in questa zona si trovano le montagne più alte del paese, le cui cime superano i 2500 metri di altitudine. Nella piccola riserva privata di Anja facciamo una breve sosta per incontrare finalmente i famosi lemuri, in particolare i lemuri Catta, quelli con la lunghissima coda ad anelli neri e bianchi, i più comuni e anche i più socievoli. In particolare intorno ad un laghetto ce ne sono molti e riusciamo a vederne e ad avvicinarne davvero tanti…non si poteva certo lasciare il Madagascar senza un incontro ravvicinato con questi strani animali! I paesaggi che poi attraversiamo cominciano ad essere incorniciati dalle rocce del parco dell’Isalo, la nostra prossima meta, mentre il crepuscolo inizia ad avvolgere questo luogo magnifico immerso nella pace e nel silenzio. In una nuova luminosa giornata, eccoci pronti ad affrontare a piedi i 12 chilometri del percorso che attraversa il parco, iniziando a salire su un facile sentiero per superare il piccolo dislivello che ci porterà al punto più alto del nostro itinerario. Lungo la strada la guida ci fa notare le rare piante di Pervinca del Madagascar e di Aloe vera, nonché uno stranissimo insetto chiamato insetto stecco che si mimetizza perfettamente con i sottili rami di queste piante. La cosa più caratteristica di questa parte del parco sono però le tombe della locale etnia Bara, che ha la tradizione di una doppia sepoltura nelle tante cavità di questi rilievi calcarei. La prima sepoltura è provvisoria in un buco tra le rocce, che viene praticamente riservato da una famiglia anche per le sepolture future, mentre dopo 4 o 5 anni il cadavere viene riesumato e sistemato definitivamente in una cavità molto più in alto e più vicina al cielo. Dalla sommità del percorso si gode di un panorama strepitoso a 360 gradi, sulle aride vallate e sulle rocce che ci circondano e che, a causa della presenza di licheni, assumono incredibili colorazioni di giallo e di arancione. Ai nostri piedi una larga spaccatura che forma un grande canyon che percorreremo più tardi, e più in lontananza il verde della foresta di Tapìa, una delle piante endemiche di queste terre semiaride. Un panorama vasto e maestoso, che si staglia nell’atmosfera nitidissima di questo posto di incontaminata purezza. Il tragitto è molto ben segnalato e percorriamo senza problemi i 3 chilometri che ci separano dalla prima tappa. Scendiamo di quota e ci inoltriamo nella boscaglia, sino ad arrivare in un luogo paradisiaco, una vera bomboniera, un piccolo lago di acqua chiara e trasparente alimentata da una cascata e circondato da alte felci, da palme, da sabbia bianca e da scenografici massi. Dopo una breve sosta ristoratrice nella quale ci godiamo questo magico luogo dal vago sapore caraibico, risaliamo e cominciamo a percorrere il canyon ammirato dall’alto, un esteso letto sabbioso che in estate si trasforma in un impetuoso torrente, rendendo impraticabile il passaggio. Improvvisamente la guida si blocca e ci fa osservare un colibrì intento a succhiare il nettare da una pianta. Il minuscolo uccello riesce a mantenersi in volo quasi immobile e, proprio come un elicottero, a manovrare tra i rami anche a marcia indietro!. L’ultima parte del tragitto è più impegnativa, con una ripida discesa tra scalini rocciosi alla fine della quale alcuni lemuri dalla lunga coda ad anelli ci stanno aspettando saltellando tra gli alberi. Puntiamo la prua verso sud per l’ultima tappa lungo gli altopiani, che ci porterà sull’oceano sempre illuminati da un sole sfavillante e via via sempre più caldo. Man mano che scendiamo ci inoltriamo sempre più nei territori delle popolazioni del sud, principalmente dell’etnia Wahafaly, e le loro caratteristiche grandi tombe di pietra sono un po’ dappertutto. Attraversiamo poi una serie di villaggi abitati essenzialmente dai lavoratori delle vicine miniere di zaffiri, una delle ricchezze di questo territorio, e sullo sfondo ecco stagliarsi i primi baobab, che sono sempre bellissimi e spettacolari, apparendo come isolati giganti abbandonati. . Siamo giunti nella parte sud occidentale dell’isola, sulla costa che fronteggia il Mozambico dall’altro lato dell’omonimo canale. Transitiamo dalla turistica città di Tulear e continuiamo il tragitto sul fuoristrada per altre tre ore, su di una nuova pista sterrata che corre lungo la linea costiera punteggiata da innumerevoli baie e spiagge immacolate. Questo è l'unico posto al mondo dove si può ammirare la foresta spinosa, un ecosistema semi-desertico caratterizzato da una lunga stagione secca nella quale non piove mai. I cambiamenti climatici però hanno fatto strani scherzi anche quaggiù e una settimana fa è abbondantemente piovuto, impreziosendo improvvisamente gli scheletrici alberi con grandi fiori e splendidi colori, ma purtroppo ripopolando la foresta anche di fameliche zanzare dalle quali non avremo scampo! La nostra nuova e isolatissima dimora si trova su di una duna di sabbia in posizione elevata e panoramica, e il sole scintillante e la bellezza del mare ci aprono il cuore. Il luogo è davvero splendido, con una deserta spiaggia di sabbia chiarissima lunga 7 chilometri, che ci permetterà piacevolissime camminate sulla battigia. Il mare si ritira al mattino e risale nel pomeriggio, e specialmente nelle prime ore della giornata è calmissimo. I suoi colori continuano a cambiare secondo lo stato delle maree, dalle diverse sfumature trasparenti di verde e di azzurro quando si ritira al blu intenso quando la marea aggredisce di nuovo la spiaggia. Questa sera, di ritorno dal ristorante del lodge, illuminati dalla luce opalescente di una luna sempre più piena, ci chiediamo cosa possa essere questo perenne rumore di sottofondo e, dopo aver escluso l’ipotesi di aerei in decollo e di generatori in funzione, ci rendiamo conto che è semplicemente il rombo dell’oceano che si abbatte con forza incessante sulla non lontana barriera corallina. Durante la lunga camminata quotidiana sulla spiaggia, siamo praticamente sempre soli e possiamo assaporare con grande rilassatezza tutta la bellezza e la tranquillità di questo remoto paradiso. Lungo la linea di un mare cristallino, vediamo solo qualche donna e qualche bambino che cercano qualcosa nell’acqua bassa, mentre sulle loro arcaiche piroghe alcuni pescatori vanno a caccia di pesci e di molluschi. Stamattina la superficie del mare è praticamente immobile, è una giornata splendida, il clima è magnifico e ne approfittiamo allontanandoci dalla costa con una piccola barca in direzione del riff. Il paesaggio in cui siamo immersi è favoloso, a causa del fondale chiaro e poco profondo il mare assume splendide trasparenze color smeraldo e acqua marina, e dal largo possiamo godere della vista sul litorale, con la striscia bianchissima della spiaggia che separa nettamente il verde della foresta spinosa, mentre l’incessante rombo proveniente dalla vicinissima barriera corallina continua in un fragore senza fine. Domani si festeggia la molto sentita festa dell’Indipendenza, e il nostro amico cuoco stasera si supera preparandoci una cenetta veramente deliziosa. Una squisita crema di zucca e vaniglia, un calamaro gigante alla griglia gustosissimo e un dolce di mandorle altrettanto ottimo. Facciamo colazione sulla terrazza del ristorante godendoci per l’ultima volta questo meraviglioso ambiente di pace e di bellezza. Ripercorriamo in fuoristrada la pista che ci separa dalla civiltà e, forse perché siamo più riposati, oggi riusciamo ad apprezzare pienamente i paesaggi che ci circondano. La foresta spinosa, dopo le piogge, è esplosa in un tripudio di fiori rossi, arancioni e viola, e in alcuni tratti siamo circondati da dune di sabbia bianca, abbagliante come la neve. In alcuni punti il contrasto cromatico è davvero spettacolare, con la pista rossa che serpeggia tra le dune chiarissime, il cielo di un intenso azzurro e la boscaglia verde punteggiata di fiori colorati. Prendiamo poi una deviazione caratterizzata da fichi d’India e da cactus, alternati a piccole zone coltivate ad ortaggi, e improvvisamente ritroviamo l’asfalto che ci annuncia l’imminente fine del nostro viaggio. Si torna nella caotica capitale e domani, sul volo Air France che ci riporterà verso casa, saluteremo dall’alto l’Isola rossa, i suoi giganteschi baobab e i teneri sorrisi dei suoi bambini.
conquistati dalla cordialità della gente, dalla bellezza dei luoghi e dei monumenti, dal 19 al 29 agosto, l'amico mauro e io abbiamo potuto conoscere non solo l’Iran “turistico”, ma anche cercare di capire in profondità un paese al di là degli stereotipi codificati in Occidente dopo l’11 settembre 2001. Ci sono persone convinte che ogni paese del Medio Oriente sia pericoloso, che la scelta migliore sia quella di limitarsi a visitare l'occidente, se non addirittura smettere proprio di viaggiare. Questa credenza nasce dall’allarmismo di giornali e tv e non rappresenta la verità. Sicuramente ci sono nazioni più pericolose di altre, ma generalizzare ed essere prevenuti è sempre sbagliato. L’Iran è uno dei paesi che sono stati maggiormente danneggiati dai pregiudizi sul mondo islamico. In tanti sono sicuri che si tratti di un luogo inospitale e non sicuro, quando la realtà è ben diversa. D’altronde, non molti sanno che negli anni ’70 l’Iran era una delle nazioni più visitate dai viaggiatori occidentali. Soprattutto dagli hippie, che passavano con i loro van colorati per le strade polverose con grande spensieratezza. Gli stessi fondatori della storica Lonely Planet vissero per qualche tempo in Iran negli anni ’70, dove trovarono grande accoglienza a base di sorrisi e buon vino (celebre quello di shiraz). Questo era l’Iran quarant’anni fa, prima della rivoluzione di khomeyni, : una terra magica, di confine con l’Estremo Oriente che racchiudeva al suo interno tutta la bellezza del Medio Oriente. Nei decenni successivi, le guerre che hanno martoriato il vicino Afghanistan prima e l’Iraq poi, hanno contribuito a creare la falsa convinzione secondo cui fosse rischioso da visitare, ma non è così: l’Iran è meraviglioso e chi sceglie a priori di non visitarlo si perde uno dei luoghi più affascinanti e straordinari al mondo". Non ne siete convinti? Ecco che mi trovo d'accordo con quanto reperito ancora in internet nei 5 motivi per cui dovreste visitare l’Iran. 1. I paesaggi unici L’Iran offre viste sensazionali, con la particolarità che non si tratta di un paese caratterizzato da un solo tipo di paesaggio. Non ci sono solo deserti, oltre alle distese di sabbia dorata ci sono praterie verdissime, campi colorati da migliaia di fiori, laghi imponenti e persino montagne innevate. L’Iran è bagnato dal Mar Caspio a nord e dal Mar Arabico a Sud. 2. L’ospitalità del popolo iraniano Chi sostiene che gli iraniani siano pericolosi e scontrosi non è mai stato in Iran. Se è vero che una ragazza che viaggia da sola può ricevere qualche fischio o richiesta indesiderata (ma questo non succede in tutto il mondo?), è altrettanto vero che la maggioranza degli iraniani sarà a vostra completa disposizione per aiutarvi e consigliarvi. Molti di coloro che hanno visitato l’Iran hanno detto che è stata proprio l’ospitalità della popolazione locale a stupirli più di qualsiasi altra cosa: per loro il turista è un ospite, e come tale va trattato. Non stupitevi, quindi, se verrete costantemente invitati a cene in famiglia oppure a farvi guidare alla scoperta delle bellezze che il paese ha da offrire. 3. Il cibo Si parla poco della cultura gastronomica dell’Iran, nonostante sia uno dei motivi di massimo orgoglio per gli iraniani. Camminando per le strade di Teheran sentirete costantemente profumi irresistibili. Nelle afose giornate estive potrete gustare una spremuta di melograno (frutto amatissimo, c’è persino un festival dedicato), mentre nelle fresche serate invernali potrete riscaldarvi con le decine di zuppe tradizionali. Ma non solo, perché l’Iran è famoso anche per i suoi falafel, l’hummus, il cous cous, i piatti di carne e tutte le altre prelibatezze della tradizione culinaria persiana. 4. L’architettura Molti credono che l’Iran sia una nazione che ha subito le devastazioni della guerra. In realtà vi basterà aprire gli occhi per notare tutta la bellezza della sua architettura, rimasta intatta da secoli. Le moschee, gli strabilianti mosaici, i ponti storici, le mura che per secoli hanno difeso le città, le sculture, i dipinti… l’Iran è caratterizzato da una architettura raffinata e millenaria. 5. È una destinazione low cost e poco turistica I pregiudizi infondati possono tornare utili, una volta tanto. L’Iran non è una destinazione popolare perché considerata pericolosa, pertanto, ancora per qualche tempo, è possibile visitarlo spendendo veramente poco rispetto a quanto ha da offrire. L’aspetto più importante, però, è un altro: chi si reca in Iran scopre un paese che non è stato ancora corrotto dalla grande macchina del turismo. Viaggiare in Iran significa immergersi in una realtà autentica, che vi farà sentire esploratori di altri tempi. Non è facile, al giorno d’oggi, trovare un paese del genere. malgrado tutti questi punti a favore, l’Iran non è da visitare a cuor leggero; di certo, il fatto di trovarsi al confine di paesi come l’Iraq, attualmente sconvolto dalla guerra e cuore dello Stato Islamico di Siria e Iraq, e l’Afghanistan non lo aiuta a trasmettere un’immagine troppo attraente. La società iraniana non è unita. Esiste una frattura forte tra il potere e la popolazione, tra le leggi imposte e lo stile di vita delle persone (soprattutto nel segmento più alto). E va ricordato che, anche se è un Paese bellissimo da visitare, da vivere è un’altra cosa. l'Iran è al 169esimo posto per libertà di stampa (dati: reporter senza frontiere), con giornalisti e blogger in prigione. C’è la pena di morte (per omicidio, stupro, adulterio, possesso di almeno 400 grammi di cocaina, omosessualità, ...), ci sono esecuzioni (quasi mille persone solo nel 2015) e vanno a colpire anche i minorenni. Insomma, luci e ombre. Paese da apprezzare, ma non in modo acritico". In quanto cittadini italiani, e quindi europei, a mauro e me sono garantite procedure per la richiesta di visto semplificate rispetto a quelle dedicate a cittadini di paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti (i cittadini di questi paesi possono ufficialmente visitare l’Iran solo in gruppi organizzati, con una guida locale o sotto invito scritto di parenti che se ne prendano la responsabilità legale durante la permanenza nel paese). Il visto per l’Iran dura tre mesi e può essere richiesto sia in ambasciata o consolato a Roma e Milano che all’arrivo negli aeroporti internazionali del paese (Teheran, Mashad, Shiraz, Eshfan e Tabriz). Noi abbiamo scelto la seconda opzione ovvero il Visa at Arrival che nel nostro caso durava 30 giorni. Cosa serve per richiedere il visto in aeroporto direttamente in Iran oltre al passaporto? •l’assicurazione sanitaria. Se porterete la vostra assicurazione scritta in Italiano dovrete passare prima dallo stand apposito in aeroporto per farla vidimare dall’addetto che ne garantisce la validità. Controllerà che l’assicurazione sia valida a livello globale e quindi anche in Iran. •apparentemente servono due fototessere (se donna, a capo coperto) che però a me non sono state. effettivamente richieste •modulo compilato per la richiesta di visto che può essere scaricato dal sito dell’ambasciata •biglietto di andata e ritorno •conferma di prenotazione almeno del primo hotel •75 € per pagare il visto “Viaggiare Sicuri” segnala che non viene concesso il visto a chi conservi nel proprio passaporto il timbro relativo all’ingresso in Israele (e lo stesso accade visitando Israele, dove non è possibile entrare se si ha il visto dell’Iran). Per chi volesse visitare gli USA, invece, per 5 anni in seguito alla visita in Iran non sarà più possibile richiedere l’ESTA (il visto elettronico) ma andrà richiesto un visto turistico – che richiede tempi più lunghi ed è più dispendioso – in ambasciata spiegando le finalità turistiche o di business che hanno portato alla visita del paese. Per un turista girare da solo nelle città espone a rischi e c‘è molta criminalità nel paese? FALSO La risposta è molto semplice: raramente mi sono sentita così sicura come in Iran. Non ho avuto percezione di qualsivoglia pericolo, ho trovato invece spesso una grande disponibilità verso i turisti. E’ necessario cambiare la valuta prima di partire dall’Italia? FALSO Non è necessario cambiare il contante prima di arrivare. Nelle principali guide turistiche, vengono segnalati i principali luoghi in cui trovare i banchi di cambio dove potrete con facilità cambiare i vostri euro. Noi abbiamo effettuato il cambio soltanto tramite la nostra guida Alì che prelevava per tutti in un bancomat e convertiva i toman (valuta ufficiosa utilizzata maggiormente di quella ufficiale, il rial) secondo le indicazioni giornaliere della banca centrale iraniana. Il valore della valuta oscillava parecchio, un giorno, un euro valeva 65.000 toman, un altro, 75.000, se poi pagavi, a esempio, in euro ai negozianti di souvenir, 100.000. Circolano, come in oman, quasi esclusivamente banconote, son andata da un fruttivendolo a farmene cambiare una per avere monete e non l'ha fatto regalandomene una, di 5.000 toman, meno di 5 centesimi! Il costo della vita è ovvio assai diverso dal nostro, uno stipendio medio è di 500€ se non meno vista la crisi, un litro di benzina costa 49 centesimi di euro, un pasto varia dai 2 ai 7-8 euro. In internet, ho trovato quanto segue: "(ANSA) - TEHERAN, 25 LUG - Il governo iraniano ha approvato il disegno di legge che prevede il cambiamento della valuta ufficiale dell'Iran da rial a toman. Lo ha riferito il segretario generale del governo, Mohsen Haji Mirzaei, precisando che la questione era stata esaminata negli ultimi sei mesi dalla commissione economica del governo guidato dal presidente Hassan Rohani. L'iniziativa del governo, ha aggiunto Mizaei, punta a facilitare le transazioni commerciali. Il valore di un toman corrisponderà infatti a 10 rial, permettendo la rimozione di uno zero dalle cifre che indicano i prezzi. In realtà, anche se in via non ufficiale, la valutazione in toman è molto diffusa in Iran e spesso i prezzi sono già indicati con questa antica valuta (che fu in vigore dal 1798 al 1932), costringendo spesso gli acquirenti a calcoli per riportarne il valore in rial". Il ritorno definitivo al toman, quindi, dovrebbe rendere più facili i conti che per noi, italiani, eran ancora più complessi dovendo convertire in euro. Dopo qualche giorno, capito che spendevi poco, non stavi a pensare che un regalo costava 1.200.000 toman, ossia, 12€ circa. Le banconote avevano tagli da 500.000, 100.000, 50.000, 20.000, 10.000, 5.000 toman. Le carte di credito e i bancomat non funzionano? VERO Nessuna carta di credito e nessun bancomat stranieri funzionano in Iran perché il paese – a causa dell’embargo a cui è sottoposto – è escluso dal circuito bancario internazionale. Mauro ha acquistato un tappeto e l'ha pagato in parte con contanti e in parte con carta di credito la cui transazione si sarebbe appoggiata su un circuito bancario di Dubai. Occorre così Fare bene i calcoli prima di partire e portare nel paese tutto il contante di cui si può ipotizzare d'aver bisogno. I telefoni cellulari con contratti italiani non funzionano in Iran? FALSO noi non abbiam avuto alcun problema, neppure io che ho apparecchi di vecchia generazione. A differenza di quanto letto in internet, con grande sorpresa, abbiamo notato che funzionava persino whats app. Certo, per non dipendere dai wi fi degli hotel, in cui in fondo, si è davvero per poche ore al giorno, E’ consigliabile e più economico comprare una sim iraniana all’aeroporto, così da poter chiamare localmente e all’estero in maniera più economica. Pare che il 60% dei giovani Iraniani usi internet e utilizzi VPN per bypassare i filtri per i siti come FACEBOOK e TWITTER. Le strutture alberghiere sono fatiscenti? FALSO l'unica che ha lasciato a desiderare è quella di teheran sia nella manutenzione che nella qualità del cibo servita. Le altre si son difese discretamente nelle pulizie e durante le cene usufruite. I bagni son il tasto dolente sia perchè qualche pezzo crolla e sia perchè la modalità di scarico dell'acqua (scende scarsa forse per non sprecare) dei wc è diversa dai nostri e non lascia tranquilli sull'efficacia dell'azione. Purtroppo, quelli pubblici spesso e volentieri son indecentemente sporchi e il colmo è stato raggiunto da un inserviente che voleva pure la mancia. Le donne turiste devono portare il burqa? FALSO solamente nelle moschee e nei santuari è stato chiesto alle mie compagne di viaggio e me di indossar il Chador la cui bellezza nel caso specifico era discutibile specie nell'accostamento dei colori. Come richiesto da rispetto delle tradizioni, loro avevano il velo (Hijab) e le maniche lunghe, io mi son presa la licenza di star a mezze maniche e con un cappellino da deserto che comunque mi copriva tutti i capelli e nessuno mi ha mai detto qualcosa eccetto... beh, ve lo racconterò...Tra l'altro, indossando di rado il velo mi son resa conto che in quanto cieca, quello mi ostruiva un po' l'udito coprendo le orecchie e, tipo, andar in giro da sola con il bastone sarebbe stato poco raccomandabile in mezzo a un traffico sovente caotico e rumoroso. Qua e là, ci son sui marciapiedi dei percorsi tattili. Senza velo e maniche lunghe ho patito decisamente meno caldo delle mie compagne e delle iraniane. Queste soprattutto se giovani e quando nelle città hanno una parte e non tutta la testa coperta. Vestono pantaloni attillati coperti da capi d'abbigliamento che nascondono le forme del seno, del lato b, delle gambe fin a metà coscia. Ai piedi, possono non aver le calze e aver tacchi alti. Hanno occhi e visi sovente bellissimi, naturali o truccati. Il naso, ahi loro, spicca, un po' grandino e a patata, dunque, molte decidono di farselo ritoccare, mettendolo diritto, aquilino, come alla francese. Te ne accorgi perchè le vedi gonfie e incerottate :-) tendono a non volersi abbronzare volti e mani per non confondersi con le arabe che son più scure. D'altronde, gli iraniani son ariani o indoariani, ovvero, un popolo nomade proveniente dal nord e dalla pelle chiara, che poi può arrivare a esser olivastra più si scende a sud. Gli indoariani arrivarono a penetrare nel Subcontinente indiano nel II millennio a.C., subentrando alla civiltà della valle dell'Indo, nello scorso secolo, Hitler distorse il significato del termine "Ariano" con le conseguenze che ben conosciamo. Come distinguere Hijab, Burqa e Chador In Iran sono in uso Hijab e Chador. L’Hijab è un semplice velo che copre la testa ma non il viso e il corpo. Specialmente fuori dalle grandi città le donne indossano il Chador, ovvero un lungo mantello che copre il corpo e che spesso tengono chiuso dall’interno con le mani. Gli uomini non son né belli né brutti, taluni palestrati, altri obesi. Mangiano tanti dolci, questi abbondano e son davvero dolci e allora imperano diabete e carie ai denti, non per niente, si dice che ci siano degli ottimi dentisti! La distinzione dei sessi è ancora molto forte, ci son ingressi separati nell'accesso delle moschee, dei santuari, dei bagni, dei check-in negli aeroporti... si evita il contatto fisico tra uomo e donna, se una coppia non è sposata non può mostrarsi mano nella mano o a braccetto, seduti su una panchina, son separati da una ventina di centimetri in cu i può esserci il vuoto come una borsa. Alì, ricordate la guida, ci ha spiegato che soprattutto nelle città i matrimoni son sempre meno combinati, la ricerca del partner è libera ma, dev'esser sempre approvata dalle famiglie, seguita dal rispetto delle tradizioni. I rapporti sessuali non son consentiti prima del matrimonio. Il corano consente la poligamìa (un uomo può aver fin a 4 mogli) che però come in Oman è scarsamente attuata perché sempre il corano dice che un uomo deve aver la possibilità di mantenere con lo stesso tenore di vita tutte le mogli e tutti i loro figli e di questi tempi è dura, se non impossibile. Si sposano più tardi e hanno al massimo 2-3 figli e non 5-6, se non oltre, come una volta. Ciò nonostante, la popolazione è assai piena di giovani che hanno tanta voglia di emanciparsi, occidentalizzarsi, hanno tutti lo smartphone in mano, trovano ispirazione nei social, nei negozi di marca, autentiche o taroccate che siano. Sono tanti e uniti, prima o poi ce la faranno a far esplodere la polveriera che giorno dopo giorno alimentano. Si spera senza spargimenti di sangue. In Iran non si possono bere alcolici: (QUASI) VERO Nel nostro caso è stato verissimo. L’alcool è illegale in Iran, Tuttavia, sembra che in privato, e conoscendo i canali giusti l’alcool sia in realtà reperibile e piuttosto diffuso. La birra è senza alcool e può esser fruttata, l'acqua gasata non c'è. Ci sono coca cola, Pepsy, Fanta normale e con varie aromatizzazioni, ai ribes, alle more, all'uva, infine, una particolare bevanda, si chiama Dugh, a base di acqua gasata, yogurt e aromi naturali aggiunti. In termini di illegalità, c'è pure il gioco d'azzardo tanto è vero che non ho trovato neppure un mazzo di carte da regalare al mio accompagnatore, giacomo, che ne è grande collezionista. Al contrario, abbondavano le scacchiere. Per concludere: l’Iran per il turista italiano è un posto sicuro. I persiani sono un popolo accogliente e straordinariamente desideroso di far conoscere il loro paese, un paese di cui sono orgogliosi per la sua storia millenaria che ha lasciato architetture che mozzano il fiato, testi letterari di squisita eleganza e una sensibilità innata per il bello. Ti avvicinano chiedendoti con uno stentato inglese il nome, da quale nazione arrivi, dicono che cosa ne sanno, calcio (seguitissimo oltre alla lotta), scontato per l'Italia, :-) cosa ne pensi dell'Iran, accomandano di parlarne bene, vogliono scattare insieme delle foto, ascoltavano la guida, alì, allorchè ci recitava poesie dei principali vati nazionali nella loro lingua, il parsi. Attenti, non confondiamo mai il parsi con l'arabo, i persiani con gli arabi, si arrabbiano e si ritengono ben diversi. Gli arabi son in particolare quelli dell'Arabia saudita con cui sono in guerra fredda, gli irakeni che son quasi tutti identificati con l'"Isis"... Intorno pensano di avere alleati degli americani (che li penalizzano con l'embargo e quant'altro) oppure, paesi arretrati di 100 anni, ancora disgregati in tribù mentre, loro son da sempre uniti e mai colonizzati. Vedono in te, straniero, il trampolino di lancio per un futuro migliore che può puntare su una risorsa importante quale il turismo. Nel santuario di Qom, il secondo per importanza dell'Iran, un mullah (uomo o donna di religione musulmana particolarmente esperto sulla teologia dell'Islam e la sharia), dopo averci fatto le condoglianze per i morti del ponte crollato a Genova, ci ha sottolineato l'importanza che noi trascorressimo un confortevole e piacevole soggiorno in modo che tornando in Italia diffondessimo un buon parere sull'iran e sull'iraniani poiché soltanto il passaparola, la coerenza dell'uomo semplice e di cultura possono trasmettere dei messaggi trasparenti, corretti, invogliare l'altro ad avvicinarsi a una realtà bistrattata. I turisti equivalgono ai migliori spot pubblicitari, quelli ufficiali vengono filtrati e modificati per interessi politici ed economici. Detto da un religioso è tutto dire... Alì ha poi confermato, "studio a Venezia "lettere moderne", son in Italia 5 mesi all'anno e vedo come ovunque qui e là che i mass media raccontano ciò che vogliono, l'unica per conoscere la verità è viaggiare, sperimentare di persona". Peccato che non a tutti sia concesso: per esempio, a Nastaran (nome (rosa canina) di una sua amica, presunta fidanzata (a noi ha negato) è stato impedito di venire in Italia per partecipare a un convegno sul cibo. Infatti, non ha ottenuto il visto dall'ambasciata con la motivazione che non era di vitale importanza, eppure, lei ha un'azienda di esportazione cibo iraniano all'estero. Le abbiam parlato un paio di volte e mauro è riuscito a farsi regalare 4 scatole che abbiamo diviso e al più presto proveremo. Con Alì, magari, riproverà a venire in italia e non mancheremo di cercare d'incontrarla. sorriso Nastaran, simbolo delle donne iraniane moderne, che hanno studiato, lavorano, guidano, comunicano con te straniero e vogliono fare come te, esplorare terre lontane, diverse. hodafes, arrivederci!
Chi ha detto che una persona con disabilità visiva non possa prendersi cura del proprio aspetto in autonomia e provare soddisfazione nel sentirsi piacevole agli occhi degli altri? Io, cieca dalla nascita, sono sempre stata molto attenta alla cura della mia immagine, amo vestire alla moda, curare viso e capelli e apparire sempre in ordine. Da tanto tempo avevo in mente di creare per me e per altre donne con disabilità visiva un corso di self make-up, fin dall'adolescenza ho sempre provato a truccarmi, anche con l'aiuto delle amiche e con risultati abbastanza buoni, ma volevo qualcosa di più, imparare bene i gesti, le tecniche e gli strumenti giusti da utilizzare. Sapevo che si poteva fare perché avevo visto dei video su youtube di persone cieche che si truccavano da sole e addirittura creavano dei tutorial per gli altri, ma non riuscivo a trovare la persona che avesse la giusta sensibilità per aiutarmi nella realizzazione di questo progetto, finché a novembre 2016 non sono entrata in una Bioprofumeria di Cagliari, e ho conosciuto Gabriella, la proprietaria, molto gentile e disponibile che si è lasciata coinvolgere, con grande entusiasmo, nella scelta di un rossetto, spiegandomi le varie tonalità di colore e aiutandomi a scegliere quella più adatta al mio viso. Dopo quell'incontro sono tornata tante volte alLa Bottega dei Sogni Bio, sia per la disponibilità di Gabriella, sia per la qualità dei prodotti. Alla fine un giorno mi sono fatta coraggio e le ho chiesto se aveva mai pensato all'idea di realizzare un corso di trucco per donne cieche e ipovedenti. Lei non se lo è lasciato ripetere e anzi mi ha confessato di averci pensato, ma di trovarsi nella mia stessa condizione di imbarazzo nel propormelo. Da questo incontro è nato il progetto "Come mi vedo e come mi sento: immagine di sé, cura personale e benessere psicologico nella disabilità visiva, un progetto in cui il corso di self make-up è stato affiancato ad un percorso di gruppo in cui approfondire tematiche legate alla percezione del proprio corpo, delle relazioni con gli altri e in cui poter condividere strumenti e strategie per prendersi cura della propria immagine in modo autonomo e raggiungere un migliore benessere sia fisico che psicologico. Gabriella si è occupata del corso di trucco, scegliendo gli strumenti e le tecniche più adatte e sperimentandosi per prima con il trucco al buio, guidata dal tatto e dai miei suggerimenti. Io invece, come psicologa mi sono occupata del percorso di gruppo. Ho cercato di documentarmi un po' sull'argomento, ma le fonti non erano tante, quando si parla di disabilità visiva ci si concentra su aspetti quali la scuola, il lavoro, l'accessibilità, tralasciando a volte argomenti relativi al raggiungimento dell'autonomia quotidiana che possono coinvolgere aspetti legati alla cura personale e all'immagine di sé, fondamentali nella vita di ognuno di noi e importantissimi anche per chi non vede. Non poter vedere la propria immagine riflessa in uno specchio infatti, non significa per la persona con disabilità visiva, non doversi prendere cura della propria immagine. Avere un aspetto pulito e ordinato, indossare abiti e accessori adatti alla nostra figura e utilizzare strumenti e strategie che ci aiutino a migliorare la nostra immagine è importante, in quanto l'aspetto esteriore è il primo biglietto da visita che forniamo agli altri nel momento in cui ci presentiamo. Inoltre attraverso questo progetto volevo abbattere lo stereotipo che una persona con disabilità visiva non possa avere voglia di vestirsi e abbellirsi in un certo modo, scegliendo con cura cosa indossare, come truccarsi o come pettinarsi, solo perché non può guardarsi allo specchio. Fin dalla prima fase, il progetto è stato proposto alla sede provinciale dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Cagliari, ed è stato inserito all'interno delle iniziative del gruppo Stessa Strada per Crescere Insieme CNOP-UICI, che vede circa 20 psicologi coinvolti nel fornire supporto alle famiglie di bambini e ragazzi con disabilità visiva. Durante l'estate 2017, con la collaborazione della Dottoressa Roberta Saba cordinatrice del gruppo per la Sardegna, abiamo fatto partire una raccolta fondi per finanziare il progetto e nel mese di ottobre presso la sede UICI di Cagliari, io stessa ho tenuto un breve seminario illustrativo sull'argomento. A gennaio finalmente, dopo aver formato un gruppo con nove donne di età compresa tra i 22 e i 66 anni di età, siamo partite, io con gli incontri di gruppo presso la sede UICi e Gabriella con la fase pratica presso la Bottega dei Sogni Bio. Fin da subito le partecipanti si sono dimostrate entusiaste di questo progetto e felici di poter acquisire nuove conoscenze e nuove strategie per diventare ancora più autonome nella vita di tutti giorni e sentirsi certamente più belle e a proprio agio. Attraverso la raccolta fondi abbiamo acquistato i kit per la fase pratica contenenti tutti i pennelli, un set di ombretti, un blush e un rossetto per ogni partecipante. Il percorso di gruppo invece è stato autofinanziato. Sia la fase pratica che gli incontri di gruppo si sono svolti in un clima di entusiasmo e di condivisione con le partecipanti sempre pronte a scambiarsi consigli e informazioni utili, ma soprattutto con una grande voglia di condividere le loro storie di vita, spesso così diverse, ma allo stesso tempo ricche e proffonde. E' stato bello e divertente tuffarsi tra colori e profumi, sperimentare le diverse consistenze dei prodotti e utilizzare piumini da cipria e morbidi pennelli sempre in un clima disteso e allegro. Sono molto felice della strada fatta fin qui e spero che il progetto si possa ripetere anche per altre donne cieche e ipovedenti che abbiano voglia di imparare e rendersi ancora più autonome nella vita quotidiana. Rispetto alle partecipanti della prima edizione posso dire di avere imparato molto da loro, come donna e come professionista, come ho detto loro nell'ultimo incontro ognuna di loro è come un fiore, con i suoi colori e il suo profumo particolare e insieme creano un bel prato, il prato della condivisione e della crescita.
Alla fine ce l'abbiamo fatta, quest'anno si parte per il Perù. Un lunghissimo viaggio in aereo, Lima, Cusco, Puno e il lago Titicaca, la Selva. Dopo due settimane si riprende l'aereo, e ci ritroviamo a Milano, frastornati, increduli, quasi fuori posto. Abbiamo cercato un viaggio alternativo, avventuroso, e lo abbiamo trovato. Non facile da raccontare, provo a dilatarlo, a riviverlo tutto, rileggendo il diario di viaggio e pescando flash nella memoria: Io e Josè, con il resto della piccola compagnia di viaggiatori, Arriviamo a Lima la sera, frastornatissimi dal lungo volo; nonostante sia tardi la città è ancora caotica, rumorosa e puzzolente dello smog prodotto da 12 milioni di abitanti. Una città che scopriamo non dormire mai, c'è sempre da fare, per cercare di vivere un po' meglio del giorno prima una vita non facile. Dei giorni di Lima è forte il ricordo del calore di Gianni e Nancy, presso cui siamo stati ospiti; è stato così difficile salutarli, alla fine. Dal diario ripesco il parco delle fontane: la danza dei cento e cento getti, incrociati in un tunnel, scroscianti o tintinnanti, la voce dell'acqua accanto a note di musica classica, noi stretti nel giubbotto in difesa dal fresco umido di cui qui non ci si libera mai. E il contrasto spropositato con il Cerro, la parte più povera, dove la gente, arrivata da luoghi ancora più poveri in cerca di speranza, ha costruito per anni e ancora costruisce le proprie case, poco più che baracche per noi, mettendo mattone di fango su mattone di fango. Ci illustrano Tutto il lavoro della Comunità di Gianni, che cerca di aiutare, soprattutto insegnando uno stile di vita, dando un appoggio, mai sostituendosi o facendo la carità. Camminando su e giù per le dune del Cerro non ho neanche impressione di povertà, anche i cattivi odori, così diffusi da noi, qui sono quasi inesistenti. Eppure qui siamo al limite di quello che noi considereremmo sopravvivenza: Paolo e Linda vedono le baracche approssimative, senza il tetto o senza una parete, ci parlano di chi fruga nelle pattumiere in cerca di cibo, chi affitta l'unica stanza che è riuscito a costruire, continuando a dormire all'aperto, per raggranellare i soldi per costruirsi una stanza ancora e crederci, in un domani migliore. Mi sto ancora chiedendo se Lima è la zona dei locali, dei negozi di souvenir, delle chiese spagnole che visitiamo, o questa parte in continua crescita, dove le dune vuote aspettano solo che altri, da chissà dove, arrivino a mettere su un mattone di fango sopra l'altro, per poi affittare la prima stanza finita.... che ci troviamo a Cusco, con la testa leggera per effetto dell'altitudine, per scoprire il secondo settore del Perù, le Ande. A Cusco Il freddo, quest'anno assolutamente anomalo, ci assale e ci respinge, impossibile scaldarsi, neanche all'interno delle case, in un paese dove, scopriamo, il riscaldamento non esiste. Così, complice anche il Soroche, il mal d'altitudine, il primo giorno è un insieme di sensazioni poco gradevoli davvero: difficoltà di concentrarsi sulle spiegazioni della nostra povera guida Juan, così giustamente orgoglioso di raccontarci sprazzi di storia Inca che accompagnano la visita al Corikancha; la perfezione della costruzione che tocco con dita intirizzite, e su tutto il bisogno di scaldarsi in qualche modo. Ma i giorni successivi il sole ci mostrerà la vera faccia della città, permettendoci di aggirarci per il centro storico tra il vociare allegro della gente, i clacson dei taxi, le mille bancarelle e negozi con il loro artigianato coloratissimo e morbidissimo, chi per un sol si fa fotografare in costume o offre un agnellino da accarezzare. Appena si esce dalle zone di sole o arriva la sera, è vero, la temperatura precipita, ma abbiamo capito di doverci portare tutto ciò di pesante che abbiamo, e difficilmente perfino nei ristorantini toglieremo qualcosa, intanto che ci buttiamo ad assaggiare succhi meravigliosi e anticuchos, (i famosi spiedini di cuore di bue), riso al posto del pane e quinoa nelle zuppe o il famoso mate de coca che ci riscaldano un po'. La visita a una comunità andina ci trasporta in un mondo ancora diverso: l'impressione è di una comunità agricola italiana degli anni '50, ma più essenziale. Eppure ci accolgono festosi, quelli che hanno sospeso per noi il lavoro dei campi, ci intrecciano i capelli e ci vestono dei loro costumi tradizionali. Con la stessa pazienza ci permettono di toccare tetti di paglia e mattoni di fango, ci lasciano esplorare manufatti e prodotti della terra, mille tipi di mais e patate, e attrezzi agricoli ancora interamente in legno, di questa landa dove si ara ancora con il bue e ci si alza con il sole. Il trasferimento a Puno offre il panorama delle Ande: arido,i mponente, paesini e piccoli allevamenti di lama, donne che lavano i panni in un fiume, lungo strade che la bassa velocità da tenere rende lunghissime. Noi che il panorama non lo vediamo, se non attraverso i sobbalzi dell'auto sulle strade irregolari, ascoltiamo le spiegazioni delle nostre guide, aspettando di scoprire chi ci avvicinerà nel rallentamento di un dissuasore di velocità, ce ne sono un numero incredibile anche in mezzo al nulla, o a un paesino, per venderci chissà cosa, uno dei tantissimi prodotti di lana, un dolce, un succo, . Quando abbiamo il benestare dell'esperto assaggiamo davvero delle specialità, come il tocto, ribattezzate subito "nuvole di porco" e debitamente apprezzate. Le orecchie si tappano e si stappano, scavalliamo il passo dei 4300, e anche qui, oltre al cartello che segna l'altitudine, ci sono bancarelle con mille cose meravigliose che dispiace lasciare, e chi riesce si può sfogare con fantastiche foto panoramiche. La comunità che visitiamo sull'isola galleggiante di Los Uros, sul lago Titikaka, è un altro quadro incredibile di adattamento a condizioni pazzesche. Mentre i piedi cercano un equilibrio sul morbido strato di canne che ondeggia lievemente sull'acqua calma del lago, la prima cosa che colpisce è l'ingegno di questa gente, e solo mettendo il naso in una delle capanne dall'odore pungente forse realizziamo che per i nostri standard siamo addirittura oltre la miseria. E cosa possono pensare loro di questi turisti che hanno tutto, e in un certo senso sono affascinati dal loro niente? Lo stesso pensiero ci è venuto riguardo la comunità sulle ande, ora qui, poi lo penseremo degli indios della selva. Ma i sorrisi gentili di questa gente non ci daranno una risposta. Riusciamo a visitare due siti Inca, quando ci permettono di non guardare solo da lontano: appoggio i palmi e una guancia sulle pietre calde, incredibilmente lisce, le annuso, le ascolto, ho la sensazione di un tuffo all'indietro nella vita di un popolo quasi alieno. I piedi calpestano scricchiolando pietre antiche, ascoltiamo nel vento voci perdute. Ci trasferiamo di nuovo, e il clima strano che ci ha congelato a Cusco ci regala la pioggia nella foresta: la stagione delle piogge è in anticipo, ma per gli indios un fiume che si gonfia e impedisce al tuo pickup di attraversarlo è solo l'occasione di fermarsi, bersi una birra in compagnia, ascoltare musica su una radiolina a transistor con i compagni che stanno costruendo il ponte che, negli anni a venire, impedirà ai prossimi turisti di provare questo stop del tempo, tra alberi enormi e grilli, tra stelle giganti e lucciole. Come è normale fare la spesa di frutta con il machete fuori dalla porta di casa, una succosa granadilla o una banana raccolte in un orto botanico che solo il cartello, ai nostri occhi e piedi occidentali, distingue dal resto dell'intrico verde. La selva ti entra dentro col suo ritmo lento e il suo sfolgorare di vita, e non ti lascia più. La devi lasciare tu, strappandoti via, per tornare prima a Cusco, poi a Lima, poi all'Europa. Per arrivare a casa e accorgersi che ci vuole parecchio prima che tu possa guardare le cose ancora come prima, e forse non succederà più. E in realtà non hai raccontato niente, l'unica cosa da fare per capire non è leggere il viaggio, è farlo, questo viaggio.
E in questo numero per così dire "Natalizio", non poteva mancare la mia consueta intervista a un personaggio che dovete assolutamente conoscere! Vi premetto che stavolta conoscerete una cantante. Ora qualcuno dirà," uffa, le solite persone che si improvvisano cantanti e poi magari si credono anche brave!" E invece stavolta vi sbagliate proprio di grosso perché LINA SENESE è una vera cantante. Ma soprattutto canta un genere che non ha eguali. Lina Senese ha portato la musica napoletana in Francia, traducendo i classici e sempreverdi motivi partenopei che poi ha meravigliosamente cantati nella sua seconda lingua, ovvero il francese. Ma come sempre non voglio perdere tempo e passo subito a proporvi la bella chiacchierata che ho immaginato in un bellissimo salottino stile classico molto adatto al personaggio! Intervista D: Carissima Lina eccoci finalmente qui in questo immaginario salotto in stile antico ma non troppo seduti entrambi su due comode sedie imbottite e rivestite di velluto rosso. Tra noi due che siamo seduti uno di fronte all'altro si trova un tavolinetto con dei biscotti e un vassoietto di cioccolatini e, naturalmente, due ottimi caffè rigorosamente fatti con la caffettiera napoletana! Un vecchio ma sempre valido impianto stereofonico anni 90 diffonde un sottofondo di musica classica napoletana. Spero di aver creato l'atmosfera giusta per la nostra chiacchierata! Tu che ne dici, l'ambiente e di tuo gradimento? R: Beh, caro PINO ti dirò che non potevi creare un ambiente migliore per questa chiacchierata tra amici! D: Bene. allora partiamo subito con la prima domanda che io di solito rivolgo a tutti i miei ospiti. CI fai una piccola descrizione di te senza il microfono in mano? Ossia, come possiamo immaginarti quando non canti? R: Sono una donna semplice ,che ama profondamente la famiglia, la vita e il prossimo. Mi piace viaggiare, fare nuove conoscenze. Sono molto impegnata nel sociale, soprattutto con il mio canto: l'ho ricevuto come un dono e come tale lo utilizzo. D: Leggo spesso di te che vieni definita "la poetessa in musica". Eppure non canti tuoi componimenti, come mai allora è nato questo accostamento tra musica e poesia? R: Mi hanno definita "poetessa in musica" per l'eleganza del mio canto e le emozioni che riesco a trasmettere... Di solito tutti coloro che affermano di non amare la canzone napoletana restano affascinati dal mio modo di cantare. D: Quando hai scoperto di avere la Retinite Pigmentosa e hai dovuto abbandonare la tua carriera di docente. Interprete e traduttrice di Francese hai subito pensato di diventare cantante o è successo per caso magari dopo un periodo traumatico e di riflessione? R: Ho sempre saputo di avere un grande dono nella mia voce, ma sono diventata una cantante diciamo "per caso". Così non è perché vedo nella mia storia come un progetto predefinito. Dopo la scoperta che avevo una retinite pigmentosa, malattia che conduce inesorabilmente alla cecità, andai a incontrare il presidente dell'associazione retinopatici ORAO di Napoli. Mi accompagnava mio fratello Giovanni che suona la chitarra. Il professor Imbucci, l'allora presidente non era ancora rientrato e noi avevamo appena comprato una chitarra nuova. Mio fratello mi chiese di cantare per provarne il suono. Imbucci mi sentì e mi disse "Dio ha messo nella tua voce un dono immenso, condividilo con gli altri" e fece di me la testimonial dell'associazione. E' iniziata così la mia carriera che mi ha visto protagonista di molti spettacoli in Italia e all'estero, finalista nazionale nel 1992 a Sanremo giovani, e unica cinquantenne nel 2002 ad arrivare al boat camp di Milano nella prima edizione di X FACTOR. D: Quale segmento di pubblico apprezza di più la tua musica? Ci sono giovani tra coloro che ti seguono o si tratta solo di un pubblico di una certa età amante del genere classico napoletano? R: Il mio pubblico è formato sia da giovani che da adulti e anziani. Lo scorso 24 ottobre ho fatto uno spettacolo per circa 450 ragazzi dai 13 ai 19 anni. Li abbiamo letteralmente conquistati con uno spettacolo sulla Prima Guerra Mondiale. D: Visto che hai tradotto le nostre canzoni napoletane in Francese e a quanto pare con tanto successo, hai mai pensato di fare un operazione inversa che sicuramente riscuoterebbe altrettanto successo in Italia. Cioè, perché non tradurre i classici Francesi in Italiano? Già mi immagino le canzoni di EDITH PIAFF in Italiano! R: Si potrebbe pensare a un'operazione francese - italiano, forse funzionante. Sicuramente ciò che ho fatto, traducendo in francese i grandi classici napoletani, ha funzionato benissimo perché la lingua francese ha una eleganza, un fascino e una musicalità che lasciano alla canzone tutta la sua carica emotiva. D: Un altra domanda che potrebbe essere anche un idea! Con la tua bellissima voce potresti cantare anche delle canzoni inedite. Hai mai pensato di fare un album tutto tuo? R: In verità non ci ho mai pensato, anche se di per sé l'ho fatto perché quelle mie traduzioni hanno lo stesso valore, lo stesso impegno nello scrivere che un nuovo pezzo. D: Adesso ti devo fare una domandina un po’ stupidotta, ma sai sono un grande curiosone! Ma il tuo cognome ha qualcosa in comune con quello del grande JAMES Senese? R: Purtroppo no, non ci sono parentele con James Senese, lo apprezzo molto come musicista è straordinario; sarebbe stato fantastico averlo nella mia parentela. D: Di solito si dice che la curiosità e donna. Ma come vedrai dalla raffica di domande che mi stanno frullando in testa credo che sia anche uomo! Anche se devo dire che sono anche stimolato dalla tua cordialità e dalla tua voce rassicurante! Ci descrivi così brevemente un tuo spettacolo? Come si svolge? Dove? Nei teatri o canti pure nelle piazze? Un ultima curiosità. Hai un gruppo che ti accompagna o canti su basi musicali? R: Prediligo esibirmi in teatro, ma ho fatto anche delle piazze, alcune delle quali prestigiose, come la rotonda Diaz di Via Caracciolo a Napoli. In genere scelgo un tema e creo dei veri e propri spettacoli con le canzoni, seguendo un filo conduttore e utilizzando recitati e cambi di costume che faccio realizzare dalla mia costumista. Io lavoro con un gruppo composto da piano, sax, due chitarre, contrabbasso e batteria. Talvolta mi capita di esibirmi utilizzando delle basi ma prediligo la musica dal vivo. D: Nel corso della tua carriera hai ricevuto innumerevoli premi e onorificenze. Ne cito solo alcune: 1995 Croce dei Sette Valori della Croce Rossa Italiana, 2003 Premio internazionale La Mimosa come donna dell'anno, 2003 Premio nazionale Portico D'Onofrio, 2005 Premio Solidarietà Associazione Rosy, 2008 Premio CRC e nomina ad Ambasciatrice di Solidarietà. Ma, secondo me, la cosa più bella che hai ricevuto deve essere la lettera che nientemeno il presidente Francese Macron ti ha recentemente inviato! Ce ne puoi dare un piccolo accenno? R: Si, ho ricevuto molti premi per il mio impegno sociale. Oggi mi fregio anche di un alto riconoscimento da parte del governo francese. Il presidente Macron mi ha inviato una lettera per ringraziarmi del CD "La mia doppia anima" che gli avevo inviato, in essa si legge "le sue interpretazioni in francese hanno la stessa forza emotiva che nella sua lingua natale". D: Prima di concludere i miei ospiti lasciano ai lettori una frase, un aforisma, o semplicemente un loro pensiero. Vuoi farlo pure tu così non rompiamo la tradizione? R: Sì. Certo, io voglio semplicemente dire che, "Nell'umiltà dell'affidarmi ho scoperto l'immensa generosità del prossimo e la grandiosità del ricevere" D: Ora tira pure un sospiro di sollievo! Siamo giunti alla fine della nostra bellissima chiacchierata! Il caffè è finito e pure i cioccolatini che erano sul tavolo vedo che non ne sono rimasti granché ! Ma si sa che sono un golosone! Scusami per le tante domande a cui hai dovuto rispondere altrimenti non ti lasciavo andare via! Scherzi a parte, ti ringrazio anche a nome della nostra redazione per averci concesso un po’ del tuo tempo per realizzare questa intervista. Ti salutiamo con stima e ammirazione e augurandoti un oceano di successo e tantissime cose belle! R: Vi ringrazio io è saluto te PINO, la Redazione tutta e, naturalmente, coloro che leggono questo bellissimo periodico.
Il 15 ottobre di questo anno, sono stato al congresso di Macula today, svoltosi a Roma presso la sala Rome Cavalieri, terrazza Monte Mario. Si è trattato di un avvenimento importante, sia per i temi trattati, sia per lo spessore dei relatori convenuti. Pur avendo registrato l'intero convegno, non è facile riassumerlo tutto in un articolo di questo giornale, per la sua complessità, e la durata di circa quattro ore. Però almeno il senso di tutto sarà possibile riferirlo. Per entrare al congresso era necessario iscriverci: accesso libero, ma riservato a un numero definito, sulla base della disponibilità dei posti. tutto molto ben organizzato e, per tutti, erano disponibili cuffiette collegate a ricevitori con diversi canali per poter ascoltare anche le traduzioni degli interventi di relatori non italiani. A presentare era Michele Mirabella, il noto presentatore della televisione, il quale era molto chiaro e competente anche dei temi trattati, introducendo ogni argomento affrontato dai relatori. Molto importante è stato l'intervento del Professor Andrea Cusumano, presidente di Macula e genoma foundation e, docente universitario al Tor vergata, oculista e ricercatore molto ben preparato. Il professor Cusumano introduce i temi in modo da essere capito anche dalle persone comuni che non possiedono basi scientifiche. Spiega come i meccanismi biologici sono regolati da codici inseriti nel DNA e, come eventuali errori nella struttura del DNA influiscono anche nel funzionamento dell'organo visivo. Ogni anomalia del DNA può portare a disturbi visivi, asseconda del tipo di difetto del DNA stesso. Poiché i geni coinvolti sono tantissimi, anche gli errori possono essere tanti e diversificati, per cui le eventuali terapie dovranno essere personalizzate per ogni paziente. Un errore nel gene, impedirà l'espressione di proteine necessarie per la formazione di immagini dalla retina alla corteccia visiva. Per cui, dovrà essere riparato, se si vuole che nell'occhio si realizzi il buon funzionamento. Cosicché, si studia come fare per riparare i difetti genici. è necessario conoscere i propri difetti genici tramite analisi molecolari. Mentre il trasporto del gene riparato avverrà tramite l'uso di vettori virali resi innocui. Il professore ha citato il successo della correzione genica nella amaurosi congenita di Leber, avvenuta negli usa, in pratica si è riferito alla correzione del gene rpe 65, tanto per citare la buona riuscita di quella che era una sperimentazione, e, che adesso è una terapia. Il professore, ha detto cose molto importanti, perché indicano un percorso fondamentale delle ricerche, quando ha espresso un programma per unire tanti specialisti di livello mondiale per collaborazioni multicentriche per studiare e combattere le malattie oculari. Non si tratterebbe solo di scambi di informazioni tra studiosi, ma di vere e proprie collaborazioni. Ed ha detto anche che nel progetto c'è pure l'idea di portare in Italia ciò che viene fatto all'estero. Ma, ha anche detto che le buone informazioni e azioni devono essere divulgate. Al congresso erano presenti anche rappresentanti della stampa e del governo, ma anche della UICII, nella persona di Eugenio Saltarel, che è pure intervenuto portando il saluto della presidenza nazionale UICI e, congratulandosi per il valore scientifico di un avvenimento così importante. Per cui speriamo che i messaggi vengano recepiti correttamente. In questo senso intendo dire che spero la UICI si prenda l'impegno di dialogare costantemente con i ricercatori, con le istituzioni, e con gli iscritti, in modo che gli interessi reciproci facciano velocizzare l'entrata in uso di mezzi idonei a combattere le cecità. Comunque il segnale è buono, perché la uici fa parte di questo convegno che, come ha sottolineato il professore Andrea Cusumano, è stato organizzato e realizzato a spese degli organizzatori, senza presenze di case farmaceutiche o organizzazioni esterne, ma con la collaborazione della UICI. La sezione UICI del Lazio, con presidente Claudio Cola, ha fatto egregiamente la sua parte. Il professor Cusumano ha parlato dei nuovi microchips per restituire una certa visione nelle maculopatie, come la maculopatia senile di tipo atrofico, anch'ora senza terapie efficaci. In seguito, sul tema del microchip, ha parlato il professore Daniel Palanker della Standford University, con il quale Cusumano collabora. Palanker Ha spiegato come questi microchips di appena due millimetri di diametro, sono in grado di fornire immagini con migliore risoluzione rispetto a quelli fino ad ora usati, e presto raggiungeranno gli ottomila pixel, ma che giungeranno anche a diecimila. Ha detto che cinque pazienti trattati con questo nuovo dispositivo, con 400 pixel, dopo la guarigione e una certa riabilitazione, sono stati in grado di leggere le lettere grandi del tabellone di riferimento oculistico, riuscendo anche a leggere parole intere, mentre prima, le stesse persone erano nel buio. Il professor Cusumano ha partecipato anche ad uno di questi impianti eseguito a Parigi, a fine dello scorso anno,come già sapevo da inizio anno, quandol'impianto era stato da poco eseguito. I problemi stanno anche nei costi elevati, ma la loro eventuale espansione dovrebbe ridurli. Il Professor Palanker, ha illustrato, anche mostrando interessanti filmati, come gli studi per realizzare questi microchips, siano riusciti a miniaturizzarne gli elementi fotovoltaici trovando la loro migliore disposizione per un rendimento ottimale. Mi è parso di capire che verranno arruolati una diecina di nuovi volontari... In questi nuovi dispositivi non ci saranno cavetti di alimentazione, ma l'energia necessaria sarà fornita da occhiali ad infrarossi, che monteranno anche una minicamera. E' intervenuto anche il professor Emiliano Giardina, del Tor Vergata, Genetista, facente parte del gruppo di Macula e genoma foundation, il quale ha trattato il tema della genetica che è fondamentale per la prevenzione della cecità e la cura di malattie di origine genica e genetica. Si è parlato anche delle staminali per riparare gravi danni nella retina, provocati dalla retinite pigmentosa, mentre un altro argomento interessante riguardava uno studio per impiantare cellule di origine vegetale in grado di rendere fotosensibili cellule diverse dai fotorecettori, trasformando la luce in segnali elettrici per ripristinare una certa visione. Intervenivano relatori protagonisti di studi e sperimentazioni di grande importanza, i quali proponevano filmati che illustravano le varie fasi degli studi. Le loro spiegazioni erano in lingua originale, tradotte immediatamente in italiano, nelle cuffiette le voci risultavano molto chiare e pulite: per la cronaca, il sistema audio avveniva con ricevitori Bosch dotati di entrate a più canali, cosicché, era possibile ascoltare sia il relatore che l'interprete. Nella sala c'erano rappresentanti della stampa, rappresentanti delle istituzioni, e quelli della uici quali patrocinanti. Erano escluse le presenze di altre associazioni che, in questo caso sarebbero state fuori luogo. Aggiungo, di seguito un frammento dell'articolo scritto da Simona Fanini per il giornale UICI del Lazio, la quale è riuscita a riferire dati complessi ed importanti. Ecco qua: Il Prof. Michel Gorin (UCLA ad Jules Eye Institute, USA) ha illustrato i risultati degli ultimi studi di genetica riguardanti le Distrofie Retiniche ereditarie, mettendo in luce le più recenti acquisizioni sulle alterazioni genomiche responsabili delle degenerazioni maculari legate all'età (AMD). Avvincente l'intervento del Prof. Henry Klassen (Medicine UC Irvine, USA), che ha presentato il primo studio di Fase II-b sulle cellule progenitrici retiniche nella cura della retinite pigmentosa. Lo studio presenta i risultati dell'iniezione intravitreale di cellule staminali che ha lo scopo di rallentare il decorso della retinite pigmentosa, aprendo le porte ad una possibile terapia. Il Prof. Richard Kramer (University of California, Berkeley, USA) ha invece parlato di una nuova incredibile molecola, "photoswitch”, capace di rendere fotosensibili cellule retiniche di diversa natura, in retine prive di coni e bastoncelli, e di utilizzarle come surrogati di queste ultime, per ottenere una percezione visiva in soggetti che vivono in completa oscurità. L'intervento del Prof. Benedetto Falsini dell'Università Cattolica S. Cuore di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, è stato sapientemente illustrato dal collaboratore Dr. Jacopo Sebastiani, a seguito della contemporanea partecipazione del Prof. Falsini alla commemorazione per la triste scomparsa della nota ricercatrice Dr.ssa Lucia Galli-Resta dell'Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa. Il Dr. Sebastiani ha spiegato il ruolo dell'elettrofisiologia nelle terapie emergenti delle patologie retiniche, introducendo nuove metodiche di valutazione funzionale (mediante l'elettrofisiologia) e i risultati clinici delle sperimentazioni condotte in parte in partneship con l'NEI/NIH (National Eye Institute/National Insitute of Healt). Al termine delle relazioni era possibile rivolgere domande di carattere medico, alle quali avrebbero dato risposte gli specialisti più appropriati. Al termine, sono stati in molti a volere incontrare il professor Andrea Cusumano. Anche io ho potuto scambiare alcune battute con lui: Portatomi vicino a lui, ha detto subito: “Ma io questa persona la conosco!” Mi ha dato la mano e ci siamo abbracciati. Ho cercato di scusarmi per non avere rivolte domande, non avrei saputo cosa chiedergli. Ha risposto: “Non fa niente, potrà fare domande via e mail.” Pochissimi minuti, poi egli è dovuto concedersi ad altri. Davvero spero che questo convegno smuova gli interessi della UICI e dei suoi iscritti, perché non siamo nel vecchio mondo delle rassegnazioni,, ma nel nuovo dove è lecito sperare. Suggerirei ai lettori di giovani del 2000, di andare nel sito uici del Lazio, per leggere l'articolo di Simona Fanini, a integrazione delle informazioni, le sue sono tutte esatte, chiare e precise. Davvero una pagina storica, quella di Macula today e della UICI. Spero tanto che il tutto ci porti quelle speranze che per tanti anni ci sono mancate.
*-In un paesino di campagna due procaci ragazze straniere chiedono ospitalità presso la residenza di due contadini un po' ingenui. Le due ragazze trovano i due uomini di loro gusto e la sera l'atmosfera si riscalda finchè si finisce per concludere la giornata nel modo migliore... ma prima di darsi da fare le due tirano fuori due preservativi, una novità per i contadini, e si raccomandano con i compagni occasionali di non toglierseli assolutamente, altrimenti le avrebbero messe incinta. La notte passa, il giorno dopo le due ragazze ripartono. Passano anche un paio di giorni, e il terzo i due contadini si trovano a lavorare nei campi; uno fa all'altro: - Sendi un pò. ma a te frega qualcosa se quelle due rimangono inginda? - A me no!, Figurati. non le conoscemo neanche! - Beh allora leviamoci questi cosi che a me sono due giorni che mi scappa la pipì!!! *-Un genovese entra in una banca di New York e chiede di parlare con un impiegato addetto ai prestiti, dicendo di doversi recare a Genova per un mese e che aveva bisogno di un prestito di 2 mila dollari.Il funzionario ovviamente gli comunica che la banca richiede alcune forme di garanzia per concedere un prestito. Così il genovese allora tira fuori le chiavi di una Ferrari che era parcheggiata in strada di fronte alla banca.Il genovese consegna anche il libretto di circolazione e i documenti dell'assicurazione. Il funzionario accetta di ricevere l'auto come garanzia collaterale del prestito.Il direttore della banca e i suoi funzionari si fanno quattro risate alle spalle di un genovese che utilizza una Ferrari da 250 mila dollari come garanzia di un prestito di 2 mila dollari. Un impiegato della banca si mette alla guida della Ferrari e la parcheggia nel garage sotterraneo della banca.Quattro settimane più tardi il genovese ritorna in banca, restituisce i 2 mila dollari e paga gli interessi pari a 9 dollari e 41 centesimi. Il solito funzionario gli chiede: "Gentile Signore, siamo veramente lieti per averla avuta come cliente e questa operazione andata molto bene. Però, ci deve scusare: siamo un po' confusi. Abbiamo assunto qualche informazione sul suo conto e ci siamo resi conto che lei è un miliardario. Quello che ci chiediamo è perché lei si sia dato la pena di chiedere un prestito per 2 mila dollari." Risposta: "Secondo lei dove posso trovare al centro di New York un posto dove parcheggiare per un mese la mia Ferrari per 9 dollari e 41 centesimi e sperare di ritrovarla al mio ritorno?" *- Un tizio che da anni subiva la moglie torna a casa una sera e scopre che la moglie è stata rapita. Riflette un po' sul da farsi, poi decide di andare dai carabinieri. Il maresciallo ascolta e poi gli dice: "Ma per le persone scomparse è meglio che si rechi alla polizia..." "Fossi matto, preferisco dirlo a voi... Quelli sono capaci di ritrovarmela!" *-Quattro carabinieri rischiano di affogare nel lago di Garda. Gli si era spento il motoscafo ed erano scesi per spingerlo! *-Due topini da laboratorio chiacchierano tra loro: - Finalmente - dice uno - sono riuscito ad addestrare lo scienziato. Ogni volta che schiaccio il bottone rosso, mi dà un pezzo di formaggio! *-Una raffinata signora, dall'aspetto molto giovanile e chic, sta facendo acquisti dall'ortolano. Il suo cagnolino Fuffy, a sua insaputa, sta leccando qua e là, e questo con grande fastidio del proprietario del negozio. Questi, dopo aver pazientato un bel po', richiama gentilmente l'attenzione della signora, che rivolta verso il cane gli dice: "Su, smettila Fuffy! Non vedi che la frutta non è lavata?". *-Un venditore di aspirapolveri aveva un metodo infallibile per piazzare la sua merce. Si presentava alla casa del possibile acquirente e spargeva per tutta la casa vari sacchi di segatura e poi diceva: "Se rimane un solo granello di segatura ripulisco la casa con la lingua". E così faceva affari a bizzeffe. Un giorno si presenta alla casa di un contadino, sparge tutta la segatura per ogni dove e declama la solita frase. Il contadino lo guarda perplesso e poi esclama: "Adesso voglio proprio vedere come fai che qui la corrente elettrica non è ancora arrivata!". *-La scena si svolge al circo equestre. Una ragazza mora, molto bella e seminuda, entra radiosa nella gabbia in cui è rinchiusa una magnifica tigre reale. La ragazza le si avvicina un po', poi si sdraia accanto alla belva. Questa sbotta in un ruggito agghiacciante, poi prende ad annusarla e alla fine, come un mansueto cagnolino, prende a leccarla tutta, docile docile. Applausi sfrenati dalla folla e intervento del Direttore del circo che, aiutandosi con un microfono, dice al pubblico: "E ora, signore e signori, se c'è qualcuno capace di fare altrettanto, si faccia avanti e riceverà 10 mila euro!". Un tizio, convinto che quei soldi gli farebbero tutto sommato comodo, esclama: "Eccomi, io sono pronto... ma prima fate uscire quella bestiaccia!". *-Un onorevole chiama un idraulico a casa sua per una piccola riparazione urgente. Fatta la riparazione l'idraulico chiede 1000 euro. l'onorevole: un po contrariato per la somma troppo alta replica"Però mi permetta di dirle che questi sono soldi rubati". E l'idraulico replica a sua volta: "Guardi, della provenienza dei soldi non mi interessa niente,importante e che mi pagate!". *-Un'auto con alla guida un gorilla e a fianco un uomo viene fermata dalla polizia stradale. Un agente si avvicina ed esclama tra il minaccioso e l'incredulo: "Facciamo guidare i gorilla adesso?". L'uomo risponde: "Veramente io ho chiesto solo un passaggio!". *-Cappuccetto Rosso passeggia nel bosco, quando vede il Lupo Cattivo nascosto dietro un tronco: "Che occhi grandi che hai, Lupo Cattivo!". Il Lupo Cattivo salta in aria e scappa via. Un poco piu' in là, lungo la strada, Cappuccetto vede nuovamente il lupo rintanato dietro un segnale stradale: "Che orecchie grandi che hai....". Il Lupo si spaventa e scappa via di nuovo. Ancora un po' oltre Cappuccetto vede di nuovo il Lupo rannicchiato dietro un grosso ceppo: "Che denti grandi che hai....". Al che il Lupo salta in piedi e si mette a gridare: "Ma ti vuoi levare dalle scatole, non vedi che sto cercando di fare i miei bisogni in santa pace?".Se continui a perseguitarmi dovrò farmela addosso! *-Un signore va dal medico dopo avere subito un'operazione nella quale gli è stata amputata una gamba. Dopo la visita, chiede al dottore come va e il medico gli risponde: "Ho delle buone notizie e delle cattive notizie". " Mi dia prima le cattive notizie" dice il paziente. " Bene - dice il dottore molto seriamente, - temo che le abbiano tagliato la gamba sbagliata!". "Cosa? E quali sono le buone notizie?" urla il paziente. "L'altra gamba sta migliorando" risponde il medico sorridendo. *-Il bambino mentre fà i compiti chiede al padre che sta leggendo il giornale: "papà che cos'è un creditore?" "Giovanni, il creditore è una persona che presta dei soldi a un amico e poi CREDE che li riavrà indietro". *-Una donna con una vistosa pelliccia e un figlioletto sale sul treno. Un signore cerca di attaccare discorso: "Che bel bambino! Che bella pelliccia! È un regalo di suo marito?". E la signora: "No, se era per lui neanche lui avevo!". *-In un ristorante d'una località balneare entra una coppia: un uomo elegante, piuttosto attempato, e una vistosa biondona. Un cameriere li fa accomodare al tavolo e poi chiede: "Cosa desidera il signore?". "Una grigliata mista". "E per la sua signora cosa possiamo fare? ". "Oh, grazie. gentilissimo! Beh,se proprio vuole, alla mia signora potrebbe mandare una email per dirle che io qui al mare sto benissimo!".