Ebbene sì, siamo finalmente giunti a ciò che da tempo stavamo preparando: intendo la registrazione ufficiale del giornalino presso il Tribunale, come avrete già notato da quanto riportato in seconda pagina; il Direttore Responsabile in questione, è il Prof. Carlo Monti, il nostro Presidente Regionale: questo poiché risulta iscritto all’Ordine dei giornalisti, e solo chi è facente parte di tale Ordine può figurare come Direttore di una testata registrata. Questo inoltre, accentua ancor più il carattere di diffusione regionale del nostro giornalino. Voglio a questo punto complimentarmi con tutti voi lettori, che pur stando dall’altra parte avete dato il vostro contributo, un po’ come articolisti stessi, ovvero semplicemente come propagatori di queste nostre idee scritte; vorrei comunicarvi infatti, con piacere di tutta la redazione, che siete oltre 140 ad essere segnalati come riceventi di questa rivista al libro parlato di Firenze. Davvero un ottimo risultato, e sono fiducioso che migliorie future non mancheranno. Nonostante i piccoli passi in avanti, ancora è valido l’appello già rivolto in passato a molti, a cui in parte qualcuno ha già risposto, cioè il richiamo di nuovi collaboratori, che dedichino una porzione del loro tempo a fornirci materiale da pubblicare; potete trovare, sempre in seconda pagina, e presente da questo numero, l’elenco delle rubriche che individuano le diverse tipologie di testi su cui focalizzare la vostra creatività, fantasia, o conoscenza. Nulla vieta ad ognuno di voi, di proporre nuove rubriche, temi, argomenti da sviscerare, e condividere con gli altri. Ricordatevi sempre una cosa: questa rivista non è della Redazione, ma è soprattutto vostra, noi altro non facciamo che mettere insieme il tutto e diffonderlo. Quindi, critiche e suggerimenti, avanti! Posso dire che i prossimi obiettivi da raggiungere, sono la costituzione di uno staff robusto con più gente che scrive, una maggior celerità nella stampa e registrazione su cassetta, nonché la stabilità per quanto riguarda l’uscita, la periodicità del nostro “Giovani del 2000”. Ma in questi giorni in cui ormai l’estate sta sfumando, augurandomi che abbiate trascorso buone vacanze, vi rimando alla lettura del seguito.
Carissimi giovani, in occasione dell’uscita ufficiale della vostra rivista “Giovani del 2000”,
consentitemi di esprimervi anche a nome del Consiglio Direttivo e di tutti gli iscritti della Sezione
Provinciale di Pistoia dell’Unione Italiana Ciechi, l’augurio più sincero di buon lavoro e l’auspicio di
raggiungere gli obiettivi che vi siete prefissati con tanto entusiasmo. Il vostro impegno è veramente
ammirevole, in particolare il fatto che la redazione della rivista sia ubicata presso la nostra Sezione ci
onora e ci fa particolarmente piacere. Certamente esso è un segno di riconoscimento nei confronti di
quel gruppo di giovani della nostra Sezione che insieme a noi operano per la piena riuscita
dell’iniziativa; la vostra rivista infatti vuole essere un fondamentale strumento di divulgazione
culturale, di dibattito, di scambio di esperienze e di idee.
L’unione Italiana Ciechi che noi tutti vogliamo costruire non potrà prescindere da questi valori di
impegno, di dedizione e di amore per la causa dell’integrazione sociale dei non vedenti, come voi così
bene state attuando.
Formulandovi i migliori auguri, vi esprimo i più sinceri sentimenti di stima.
Unione Italiana Ciechi
Sezione Provinciale di Pistoia
Il presidente
Virgilio Moreno Rafanelli
di Fabio Basile
Dopo qualche tempo di sospensione, ho il piacere di comunicare a tutti i lettori, che prossimamente, in
data da stabilirsi, verrà ripristinata la linea di telefono amico.
Le modalità sono le stesse del passato. Vale a dire: il giorno rimane il venerdì, dalle 15.30 alle 17.30, sempre
allo stesso numero telefonico.
Tuttavia, è mia intenzione lanciare un appello a tutti i giovani non vedenti, ma anche ad eventuali volontari
vedenti, interessati a prestare il loro servizio affinché tale linea possa continuare ad esistere.
Infatti, non possiamo pretendere che siano sempre le stesse persone a prestare il loro servizio il venerdì
pomeriggio. In fin dei conti, si tratta soltanto di due ore settimanali, e riuscendo ad avere un certo numero di
persone a disposizione, riusciremmo, a predisporre dei turni assolutamente leggeri: ad es. una volta al mese a
testa, etc.
Tutto dipende dal personale che riusciremo a trovare.
Al fine di coordinare questo servizio al meglio, ecco il numero di telefono dove potrete rintracciarmi per
qualsiasi informazione e maggiori dettagli: 0339 65 33 201.
Vi informo che domenica 17 settembre, è prevista la gita a Maranello, gita, che per motivi tecnici era stata
rinviata.
Per ulteriori chiarimenti, potrete rivolgervi alle vostre sedi provinciali dell'U.I.C. dove troverete tutte le
informazioni per l'adesione.
Concludendo, Vi ricordo che domenica 30 settembre, si svolgerà l'assemblea regionale dei giovani.
Tale riunione, servirà per tracciare un sunto delle attività svolte fino a questo punto, e le prospettive future.
Durante tale assemblea, avremo alcuni ospiti, che parleranno del lavoro dei non vedenti, e delle nuove
prospettive.
Confidando in una massiccia presenza di tutti, vi saluto caldamente.
Questionario
OGGETTO: organizzazione gite
Grazie a queste tue risposte potremo conoscere meglio i tuoi gusti e le tue difficoltà, che forse, spesso, non ti
hanno dato la possibilità di partecipare
1) Preferisci che le gite vengano fatte:
a) solo in Toscana
b) in tutta Italai
c) anche all’Estero
d) è indifferente
2) Il costo delle gite di due o più giorni non deve
essere superiore a:
a) 200.000
b) non ci sono problemi
3) Quale tipo di gite preferisci in modo particolare?
a) quelle che si dedicano al divertimento
b) quelle a carattere culturale
c) entrambi i tipi
4) Quali mezzo di trasporto preferisci?
a) il pullman
b) il treno
c) è indifferente
5) Le gite vuoi che siano di:
a) un giorno
b) due giorni
c) più giorni
d) nessun problema
Nel numero 3 di questa rivista, è stato fatto il punto della situazione sulle interfacce grafiche per non
vedenti. Si è inoltre accennato a possibili (e spesso sempre più reali) problemi di accessibilità ad Internet e alle
pagine web.
Ma cos'è un sito web? Cos'è una pagina web e perché questa risulta inaccessibile?
Cerchiamo qui di rispondere a queste domande (soprattutto per chi si sta avventurando in questo nuovo mondo),
prima di giungere al "cuore" del problema.
Vediamo intanto cosa s'intende per pagina web. La pagina web, è una pagina scritta in linguaggio speciale di
internet, detto Html (hypertext Markup Language). Questo linguaggio consiste, oltre che nel testo vero e proprio
come quello che state leggendo, in una serie di comandi inclusi nel testo stesso, e riconoscibili da simboli come
〈/nomecomando〉 ecc.
Ad esempio, se vi imbattete in un file che comincia così:
Prima di parlare di Alta Velocità, lasciatemi fare una mia personale considerazione:
la strada ferrata non è nata per far andare piano i propri veicoli, ma per ridurre le resistenze
al moto dovute alla via di scorrimento esistente. La resistenza minore poteva poi essere sfruttata sia per ottenere
velocità maggiori che valori di carico rimorchiato superiori a quanto ottenibile sulla strada; l'Alta Velocità non
mi sembra quindi una moda esclusiva di oggi, ma è sempre esistita, sia pure con altri valori di riferimento e con
altri concorrenti con cui confrontare quanto ottenuto.
Sin dai primi decenni della sua nascita, pur con tutti i limiti tecnici di rotaie e veicoli
ancora frutto di esperimenti più che di studi, la Ferrovia vantava velocità dell'ordine di 20/30 Km/h in servizio merci e di
oltre 60 Km/h in servizio viaggiatori da mettere a confronto con i 5/6 Km/h di buoi e cavalli al traino di carri e Uomo a piedi e ai 20 Km/h di cavalieri solitari, con un divario di velocità così elevato fra strada e rotaia che
nel secolo scorso i detrattori di nuove ferrovie paventavano malattie di tipo cinetico per gli sciagurati
viaggiatori!
E se quella non era Alta Velocità per il XIX secolo...
Sino alla fine del secolo diciannovesimo la ferrovia e la sua figlia minore, la tramvia,
rappresentavano l'unico mezzo di trasporto terrestre veloce, e sia che si trattasse di relazioni locali che di
collegamenti internazionali, era l'unico diverso dalla trazione animale.
Le cose cambiarono lentamente a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo con la nascita dei
primi autoveicoli stradali per poi evolvere rapidamente nel primo dopoguerra.
Il notevole numero di residuati bellici, automotori in svendita
a fine conflitto, aveva dato una splendida occasione per il diffondersi dell'autocarro e la
possibilità di andare dove si desidera come con la trazione animale, e non dove porta una rotaia; privò rapidamente la
Ferrovia e più ancora le Tramvie di una fetta di clientela che preferiva la capillarità del servizio alla
velocità o alla potenzialità
di carico.
Combattuta e rintuzzata sulle brevi distanze, la Ferrovia si dedicò ai traffichi a lunga
distanza. I primi guadagni
di tempo li aveva già sperimentati con le relazioni che non dovessero fermare ovunque, ma era
ormai prioritario incrementare decisamente la velocità commerciale.
Macchine a vapore più potenti, ma anche locomotori elettrici capaci di correre a 50 Km/h su
pendenze dove le vecchie vaporiere arrancavano a 25, portarono i primi risultati. Fu il periodo in cui nacquero i
Rapidi, in servizio interno in molte nazioni, e dire che Amburgo e Berlino erano collegate a velocità più elevata di
Parigi e Lione, era fonte di prestigio Nazionale prima ancora che di clientela.
Fra le due Guerre, con la rete stradale non ancora integrata dalle odierne autostrade, e per
buona parte priva di asfalto, i 100 Km/h erano la velocità ottimale da raggiungere per le Ferrovie sulle lunghe distanze.
Spiccavano comunque già allora relazioni tedesche a 160 Km/h, francesi a 140, mentre in Italia
ci si affacciava a 130 con lo storico E-428 del 1934, e da quei tipi di veicoli, che nacquero ovunque in sordina,
arriveranno presto, i mezzi più veloci: le Littorine, cioè le automotrici a trazione termica ed elettrica.
Limitandomi all'Italia, gli elettrotreni ETR-200, capaci di 160 Km/h divennero presto l'asse portante di relazioni ad Alta Velocità, sia pure per i valori dell'epoca.
La Seconda Guerra azzerò tutto, o quasi. Con ponti e gallerie inagibili, stazioni devastate e veicoli semi demoliti da bombe o sabotaggi, le ferrovie del Continente Europeo ebbero il primo imperativo nel ricostruire, prima ancora del migliorare le velocità. Fu in questo periodo, che si divisero momentaneamente le sorti
delle ferrovie Italiane da quelle del resto d'Europa: in Francia o in Germania, si preferì ricostruire i vecchi
tracciati più lentamente, ma apportando migliorie ove conveniente ed ove possibile, in Italia, si ricostruì e basta.
Fu così, che appena dieci anni dopo la Guerra, sotto l'incalzare della motorizzazione privata, anche per i ceti medio-bassi della Popolazione, molte linee italiane secondarie iniziarono ad essere chiuse e
smantellate, per carenza di traffico causata, da carenza oggettiva del servizio; mentre all'Estero, il fenomeno si
sarebbe presentato in ritardo e con contromisure differenti.
Nell'Alta Velocità, l'Italia giocò fin dall'inizio la carta dei veicoli specializzati; carico assiale minore, pesi sospesi alle casse, possibilità di pendolare, per ridurre i disagi del viaggiatore in curva, ma
sempre veicoli da far correre su binari resi un po' più robusti, con segnalazione potenziato, ma sempre su tracciato ottocentesco!
La Francia, ad esempio, puntò inizialmente sul locomotore tradizionale, spinto a velocità
maggiori, prima di arrivare al convoglio automotore bloccato, noto oggi come TGV.
Si raggiunsero precocemente i primi record assoluti, scoprendo, sia dove fosse necessario migliorare i veicoli da
far correre, sia come la stessa strada ferrata andasse riprogettata per farli
correre meglio.
Il Giappone fornì la chiave giusta, costretto da motivi tecnici occasionali. La Rete Nazionale
Nipponica, ha ancora oggi lo scartamento di 1067 mm, contro i 1435 mm dell'unificato Internazionale, con limiti di spazio disponibile dei motori nei carrelli. Per andare più veloci era necessario proprio avere motori
più ingombranti, per cui fu quasi obbligatorio optare per una rete autonoma a scartamento unificato. Dovendo costruire
una linea nuova, fu naturale evitare fin dal progetto ogni limite di velocità dovuto a curve, pendenze
eccessive o interconnessioni con la viabilità stradale.
Forse l'Italia fu la prima a ricredersi sull'opportunità di
rettificare i tracciati, ma lo fece in ritardo, e con la solita calma italiana, delle opere
pubbliche. Dopo le fasciste
direttissime Roma-Napoli via Latina, e Prato-Bologna, decisero di potenziare l'asse Nord-Sud,
costruendone il tratto intermedio Roma-Firenze; i lavori, iniziarono sin dal lontano 1970, ma quando la Francia
inaugurò le proprie Linee a Grande Velocità, da 300 Km/h a metà anni ottanta, la nostra Direttissima da 250,
era ancora inesistente fra Arezzo e Firenze, ed ancora oggi, non può contare su alcuni chilometri vicino ad
Orte, per una galleria con irrisolvibili problemi idrici!
Nel fare un confronto epoca per epoca, la trazione animale, fu stracciata dalla Ferrovia, già con
velocità dell'ordine di 30/40 Km/h, mentre dal primo Novecento alla Seconda Guerra, la concorrenza
maggiore fu l'emergente vettore stradale, portando a 100/120 Km/h le relazioni più veloci su lunga distanza.
Dal Secondo Dopoguerra ad oggi, invece, il Primo Nemico da combattere nel servizio viaggiatori, è
divenuto l'aereo, con il quale non c'è una vera e propria strategia vincente o perdente.
Mentre fra Auto e Treno ci sono dei parametri oggettivi a definire la convenienza, fra Treno ed
aereo dipende tutto dalle linee e dai collegamenti esistenti.
Prendiamo ad esempio i percorsi Roma-Pisa e Roma-Firenze.
Roma-Pisa: in treno ci vogliono 195 minuti (160 Km/h nei tratti più favorevoli, appena 105 nei
pressi di Livorno), più il tempo di percorso fra casa e stazione nelle due città; in aereo sono 50 minuti,
ma si deve essere
in aeroporto almeno 30 minuti prima, per fare il check-in, poi ci vogliono, mediamente 60 minuti da Roma a Fiumicino.
Roma-Firenze: in treno sono 100 minuti (200 Km/h di velocità normale), più i trasferimenti; in
aereo sempre 50 minuti, con il solito perditempo a Roma.
Ad un Pisano frettoloso, forse, converrebbe l'aereo, ma un Fiorentino, perde meno tempo, e spende
molto meno con il treno.
A chi voglia provare l'emozione di fare più di 3 chilometri al minuto, vorrei concludere
ricordando una cosa: per
ora, sia in Italia che all'Estero, si corre veramente solo sulle tratte ferroviarie di nuova
costruzione, e su pochi
altri, minimi, percorsi, altrimenti si "arranca" sui 150 ed anche meno anche quando si è a bordo
di un ICE o un TGV…
Non credo sia facile mettere per iscritto sensazioni emozioni e verità, perché il pudore la riservatezza e la
offerenza, spesso ci condizionano.
Dopo aver letto, però, i numeri del giornalino creato dal vostro
gruppo giovanile, vorrei tentare di raccogliere la vostra richiesta di partecipazione a questo lavoro, anche se non
ho mai scritto, dicendo cose che, normalmente, si conoscono, si vivono ma non si raccontano, vincendo le
riserve di cui sopra.
Dalla lettura di questo periodico aperto sulla realtà dei ciechi, mi sono sentita di aprire un argomento nuovo e
non ancora affrontato da nessuno: l'essere genitori non vedenti.
Premetto alla redazione, di non essere sicura che questo possa interessare, ma credo, se ho ben capito lo scopo
delle vostre richieste, che la "visione" sul tema di una giovane mamma, possa valere la pena di essere valutata.
A voi la decisione di prenderla in considerazione.
Il perdere la vista è sicuramente "qualcosa" di indescrivibile a qualsiasi età e, sono fermamente convinta,
non lo si possa capire, se non lo si prova.
La vita cambia radicalmente e ti ritrovi a dover ricominciare tutto da capo, come se fino a quel momento, tu
avessi vestito i "panni", presi in prestito da un'altra persona.
Siamo fortunati se dietro a noi, malcapitati, che dobbiamo accettare ed affrontare il peso di questa terribile
menomazione, esiste una famiglia che ci sorregge, tentando di alleviarci il trauma con l'amore e la comprensione
ma che, spesso, pur essendo spontanei e incondizionati, non riescono ad arrivare fino in fondo al nostro animo,
perché non vivono la nostra condizione.
Cosa accade ad uno di noi, ad una donna in questo caso, se per disgrazia perde la vista totalmente ed ella è già
mamma...
Avrete capito che quanto scriverò si riferisce alla mia esperienza personale e, con il tempo, mi è capitato di
confrontarla con altre situazioni analoghe ed ho trovato sempre, un "dilemma" diverso...
Purtroppo il supporto della famiglia, in questo caso, non rientra più in uno schema oggettivo sufficiente ad
aiutare la figlia, perché questa è genitore a sua volta e, cosa può fare o dire in questi casi? Pur cercando
animosamente una soluzione, non la trovano perché non c'è.
Ho dovuto trovare in me la forza maggiore ed il coraggio per affrontare il "destino” che mi si imponeva e
piegarmi di fronte a quanto nessun medico poteva guarire, o ridimensionare: la mia cecità era irreversibile e io
non potevo far altro che accettarla.
Ero davvero molto giovane e il mio bambino aveva soltanto 19 mesi...
Trascorsi più di un anno, lungo e penoso, alla ricerca di una soluzione del mio problema e, dopo averla sperata
inutilmente, la resa non fu facile.
Il mio annullamento interiore fu la conseguenza inevitabile, di fronte al peso dell'impossibilità di poter vedere
mio figlio crescere, e questo sembrava, dal mio nuovo atteggiamento, diminuire l'amore infinito che avevo
sempre sentito per lui. Ogni occasione mi pareva buona per delegare il suo babbo, peraltro marito affettuoso e
intelligente, la sua nonna e la zia, mia sorella, a sostituirmi in tutte quelle cose che non riuscivo più a fare e che
ritenevo, invece, indispensabili per lui. Non avevo più la possibilità di portarlo all'aria aperta in bicicletta come
eravamo soliti fare. Non riuscivo più a leggergli fiabe e racconti che gli piacevano tanto. Non avrei potuto
disegnargli vignette che creavamo per poi colorarle insieme.
-"Come avrei potuto accompagnarlo all'asilo..."- E mentre mi arrovellavo la mente con questi pensieri, mi
chiudevo nel profondo egoismo della mia solitudine. E mio figlio cresceva.
Quanta sensibilità c'è in un bambino di due o tre anni?
Chi può dire di quanto amore è capace un figlio anche se in tenerissima età?
Non mi sono mai potuta rispondere e non conosco statistiche o sondaggi per avere un'ipotetica valutazione dei
sentimenti tra genitori e figli e viceversa e io, mi resi conto, con il passare
del tempo, della grandezza di quel sentimento, dall'aiuto spontaneo e istintivo che proveniva da quell'esserino
quando, teneramente, goffamente, voleva imitare gli adulti nell'aiutarmi.
E con il suo costante impegno, un giorno dopo l'altro, si avvicinò al mio egoismo smussandolo così tanto da
costringermi a riflettere. Il suo fare mi convinse che quanto non potevo realizzare per lui, non sminuiva la mia
figura di mamma e, sempre al di fuori della mia comprensione, mi coinvolse nuovamente nel "suo mondo”:
quello dei normodotati, dimostrandomi, prendendomi per mano, che la bicicletta poteva essere sostituita da
lunghe e non meno belle passeggiate a piedi, i racconti scritti dalle fiabe inventate, frutto della fantasia, quasi più
interessanti perché sconosciute a tutti e ideate soltanto per lui. I disegni seguiti prima dallo sguardo attento, ora
potevano essere divertenti se eseguiti da lui, con le mie idee che non sarebbero state meno spiritose. I giochi,
fatti con un po’ più di pazienza e qualche accorgimento, ci avrebbero ugualmente divertito.
Ecco che i problemi che mi schiacciavano sembravano essersi risolti, così, con semplicità.
Ma poi una banale circostanza, un dolorino alle orecchie e l'oppressione dei limiti delle mie possibilità
ripiombano addosso pesanti come macigni, richiudendomi a quel barlume di speranza appena acquisito sulla
capacità di farcela: -"Quali sono le gocce da somministrare al bimbo...?
Come faccio a curarlo se sono sola in casa?"-
E come questa, sarebbero un numero infinito le situazioni, anche molto più complesse e gravi da raccontare, ma
non renderebbero mai giustizia all'amarezza o alla gioia provata da ognuna di noi, e vissuta con e per l'amore dei
nostri figli.
Avere accanto un compagno, un marito che pur disorientato e travolto dal tuo destino, continua a dividere con te
la sua vita, è già una grande fortuna e allevia, sicuramente, il tuo smarrimento, anche se non te lo risolve.
Ti può aiutare a capire che il sostegno psicologico di una mamma, come forse per un padre, è il proprio figlio e
quando me ne sono resa conto, avevo già perso troppo tempo a piangermi addosso e volevo fare subito qualcosa.
Dovevo farlo perché lo sentivo un mio dovere di mamma e poi di donna e ancora di individuo di questa società.
E così mentre mio figlio aveva ormai cominciato la scuola io ripresi a studiare.
Quando lui fu promosso io mi diplomai e conobbi il mondo del
lavoro. Con tutto questo non voglio certo dire di aver assolto al mio compito di genitore facilmente, ma sono cosciente
che pur essendo cieca, mio figlio voleva la sua mamma ed io ho cercato di renderlo consapevole dei miei limiti e
orgoglioso, per questo, del mio operato.
Oggi mio figlio ha 18 anni ed ha un fratello e una sorellina, e sono tre ragazzi meravigliosi che, come tanti, non
hanno avuto una vita semplice.
Vorrei concludere il mio messaggio, ricordando a chi capiterà di leggere e confrontare, magari, quanto ho scritto
con una storia simile ma andata diversamente, che non c'è stato niente di facile
ma, e credo sarete d'accordo con me, su questo argomento potremmo scrivere un libro avendo materiale in
abbondanza, senza per altro finirlo mai.
Quindi riconoscerò a mio modesto parere per esperienza di vita,
le reali limitazioni di mamma non vedente, nei confronti dei nostri figli ma, esaltando anche ciò che loro si
aspettano da noi.
A me è stato richiesto un impegno d'amore come soltanto una mamma può e sa dare, e non importa in quale stato
riversiate: nessuno potrà aiutarvi se non voi stesse per l'amore di cui siete capaci e che nessuno può sostituire.
Spesso, attraverso i mezzi di comunicazione fra un'importante notizia e l'altra, veniamo messi al corrente di fatti curiosi, di cose originali, insomma, in qualche maniera siamo imbevuti di notizie che servono a sdrammatizzare, a farci rilassare almeno per un momento. Certo a prima vista, in tutto questo non c'è niente di male. Allora, passi che quel giocatore di calcio sia stato comprato per cinquanta o cento miliardi, e che il giocatore stesso guadagnerà dieci o venti miliardi in un anno; passi pure che l'ultima Ferrari abbia prestazioni spettacolari e sia prodotta in serie limitata, ma abbia l'unico difetto nella cifra per acquistarla. Insomma notizie che a ben guardare, ci fanno rilassare fino ad un certo punto. Dico ciò, perché ogni volta che vengono trasmesse, qualcuno che ci sta vicino, quanto meno emette un sospiro di rassegnazione, un mugugno di debole protesta, comunque passi! questa è la realtà. Ora, vorrei portare il discorso su un certo tipo di notizie, che pur volendole far passare per notizie di contorno, proprio non possono essere usate e gettate senza lasciare un non so che, di perplessità. Prendiamo ad esempio, certe cliniche della salute, che a volte vediamo in alcuni servizi televisivi. Queste cliniche, poche, e abbastanza riservate, sono accessibili soltanto ad un numero relativamente limitato di persone. Ovviamente, anche in questo caso, la sensazione di élite che si avverte, è dovuta alle grandi personalità, che frequentano questi centri, oltre che ai costi proibitivi necessari per avvicinarsi a tali strutture. Certo, le persone facoltose in circolazione sono sempre di più, tuttavia, la massa di “comuni mortali”, è sempre la stragrande maggioranza. Come dicevo prima, quando la notizia è stata trasmessa, qualcuno emette il solito sospiro di rassegnazione, commentando di questo o quel personaggio, più o meno famoso, visto in questi centri fantascientifici. Giunto a questo punto dell'articolo, visto che l'abitudine a sospirare e rassegnarsi è così radicata, anche io dovrei chiudere qui il mio scritto, dicendo tutto al più, che tutto questo non va bene, che in tutto ciò esiste una palese disparità di diritti, che i più abbienti hanno la vita più agiata, e così via. Dovrei insomma, scoccare qualche freccia, contro le persone che usufruiscono di certe comodità. Invece, no! questa volta la freccia avvelenata, voglio scoccarla proprio verso di noi, proprio su chi continua a sospirare, immaginando, quanto anch'egli desidererebbe provare quelle belle cose, ma semplicemente, non può permettersele. Io vorrei chiedere a questi signori lamentosi e piuttosto passivi, come mai! Non possiamo permetterci una clinica della salute pure noi? Forse, il cittadino medio, impiegato o operaio che sia, produce meno del calciatore, o dell'attore famoso? Certo, molti staranno già pensando che tutte queste parole, sono più che logiche, che tutto ciò è più che risaputo. Allora io rispondo a costoro, che invece di una freccia avvelenata, ne lancio due! perché proprio in quanto discorsi logici, facili da comprendere, dovrebbero spingere tutti noi ad una forma di intima riflessione prima, e di concreta protesta poi, se non altro, in nome della nostra dignità di uomini aventi tutti stessi diritti. Tutti noi, abbiamo molti doveri da rispettare, in quanto componenti di una collettività, e questo, nella stragrande maggioranza dei casi avviene; tuttavia, oltre ai doveri, abbiamo anche dei diritti, e la storia ci insegna che ogni miglioramento deve essere conquistato sul campo, e non sperando che qualche anima buona pensi a noi. Invece, niente! anche quando parliamo della nostra salute, che è il bene più prezioso in assoluto, ci limitiamo a sospirare e accontentarci delle briciole, che la sanità pubblica ci offre. La netta sensazione, è che negli ultimi decenni il consumismo sfrenato e incontrollato, abbia provocato in tutti noi, una sorta di “ubriacatura anestetizzante”, che non ci permette più una sana e costruttiva critica. Attenti però! perché così facendo, siamo noi stessi che scaviamo con le nostre mani, un solco sempre più profondo. Solco, che rende noi che siamo tanti, sempre più “mortali e piccoli”, e gli altri pochi, sempre più “grandi e Dei”.
Ciao sono Giovanni e vivo a Palermo, da due anni faccio parte del Comitato Nazionale Giovanile. Grazie all'U.I.C. sono stato nominato responsabile del Comitato per l'E.B.U. (European Blind Union) e ho potuto fare due grandi esperienze. La prima nel mese di Luglio 1999 a Madrid, la seconda a Praga. L'importanza della mia esperienza sta tutta nelle amicizie che ho stretto con molti ragazzi di vari paesi; infatti ricordo che dopo aver superato la prima fase di conoscenza, la sera ci ritrovavamo intorno ad un tavolo bevendo qualcosa e parlando tra di noi confrontando le nostre idee, le problematiche dei non vedenti europei e le esigenze o gli obiettivi che naturalmente cambiavano di paese in paese. E’ stato curioso sentire tante lingue ma vi assicuro che riuscivamo a comunicare benissimo, un po' con l'aiuto dei traduttori che accompagnavano i ragazzi un po' per l'inglese o lo spagnolo. Questo però mi ha fatto capire l'importanza di un'unica lingua all'interno dell'unione europea, perché non ci può essere vera unione finché non c'è una sola lingua. A Praga ho rivisto qualcuno dei ragazzi conosciuti a Madrid, ma il clima è stato un po' diverso, perché non si trovavano solo i giovani, ma anche le altre commissioni soprattutto la commissione pari opportunità, visto che si è tenuto il Forum delle donne. Dopo il forum si sono svolte le votazioni per il rinnovo delle cariche europee. L'U.I.C. ha avuto risultati molto importanti in molte commissioni le quali, hanno come coordinatore un nostro rappresentante, il Prof. T. Daniele che è stato nominato vice presidente Europeo. In conclusione, penso che la possibilità di confrontarsi con altre persone può abbattere più barriere, e spero che un giorno grazie al contributo di tutti, in tutti i paesi europei, ci siano gli stessi diritti.
Il 20 maggio, si è concluso il campionato di torball serie B. Ad esso hanno partecipato come l'anno scorso, 2 squadre toscane U.I.C. Apuano e Firenze Libertas. Il campionato ha avuto inizio nel week_end del 26 e 27 febbraio a Bologna. Durante questa prima giornata, si è registrato il ritiro della squadra carrarina dopo un litigio interno. Come l'anno scorso invece, la squadra di Firenze ha iniziato in modo più che buono. Infatti con quattro vittorie un pareggio e tre sconfitte, con nove punti realizzati si è stabilizzata nelle prime posizioni della classifica. Con la disputa della seconda giornata il 2 aprile a Firenze, le ambizioni del Firenze Libertas sono radicalmente cambiate poiché, realizzando tre soli punti, frutto di una vittoria un pareggio e quattro sconfitte, la posizione di classifica era più vicina alla zona retrocessione che a quella promozione. Siamo così giunti all'atto finale dell’ultima giornata, giocata a Bari il 20 maggio; nella quale come l'anno scorso, con un finale thrilling la squadra fiorentina otteneva cinque punti, e conseguiva la salvezza solamente con la vittoria nell'ultima partita, concludendo la stagione con 17 punti. Altra cosa è stato il campionato di serie C, a cui ha preso parte la squadra toscana G.S. U.I.C. Pisa. Infatti, la stagione è culminata con la promozione in serie B da parte di quest'ultima (con la conquista del primo posto). Questo, pur non avendo avuto un andamento costante durante lo svolgimento del campionato stesso, poiché nella prima giornata giocata a Piacenza, nei giorni 19 e 20 febbraio, i punti raccolti dalla squadra pisana, sono stati nove su un totale di venti a disposizione, frutto di dieci partite. Ma è stato durante la seconda giornata che il Pisa ha messo l'ipoteca sulla promozione. Il 26 marzo a Teramo ha fatto il pieno dei punti disponibili, 12 in sei partite. A questo punto nella terza giornata è bastato ottenerne la metà cioè sei, per controllare e vincere il campionato. Ricordando che il G.S. U.I.C. Pisa è ancora in corsa nel torneo di Coppa Italia, torneremo sicuramente a parlarne nel prossimo numero.