Giovani del 2000

Informazione per i giovani del III millennio    numero 4    Marzo 2002

 

Direttore  Prof. Carlo Monti

Vice Direttore  Maurizio Martini

Redattori  Alessio Lenzi, Mario Lorenzini

 

Redazione

Via Francesco Ferrucci 15

51100 - PISTOIA

Tel.  057322016

e-mail: redazione@gio2000.it

Sito internet: www.gio2000.it

Tipologia: notiziario

 

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4197 del 26.06.2000

 

Gli articoli contenuti nel  periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente   quello del singolo articolista.

 

ELENCO RUBRICHE

 

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Riflessioni e critiche

 

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In questo numero:

 

Editoriale - Di Mario Lorenzini

CULTURA

Storia degli indiani d.America (terza parte) - Di Luciano Luzzi

ESOTERISMO, RELIGIONI E DINTORNI

Cartomanzia occultismo spiritualità, che confusione! - Di Maurizio Martini

HOBBY E TEMPO LIBERO

La margotta - Di Angelo Ricci

INFORMATICA

Come utilizzare Outlook Express - Di Paola Vagata

MUSICA

"Sting, ma il tempo per lui, non passa mai? - Di Vainer Broccoli

NORMALITA' E HANDICAP

Tiro con l'arco per non vedenti: una grande realtà - Di Alessandro Tanini

RACCONTI E POESIA

Arbor amica - Di Simona Convenga

RIFLESSIONI E CRITICHE

Effetto serra e globalizzazione: le ultime sfide dell'ambientalismo - Di Denis Hayes

 

Il profeta di Dio - Maometto - - Di Renato Bianco

SPAZIO DONNA

Ripensa all'amore...di donna - Di Veronica Franco

 

 

Editoriale

 

Di Mario Lorenzini

 

Finalmente (o spero di no, purtroppo) la nostra cara e amata moneta, la vecchi Lira, non c’è più. Adesso non avremo l’incubo dei primi due mesi andati, con la doppia valuta in circolazione, che forse ha anche confuso un po’ le persone. Da marzo solo e soltanto Euro! Dalle rilevazioni statistiche risulterebbe che il popolo italiano avrebbe recepito in maniera davvero indolore (inaspettata) questo cambiamento; sono notevolmente aumentati i possessori di bancomat e carta di credito, che agevolano ovviamente i pagamenti alle casse. Forse può sembrare una forzatura, ma nel resto d’Europa e in America, questi mezzi di pagamento sono la quotidianità. E quando le cose sono condivise, anche tutti i giorni, è più semplice collaborare, quindi ben venga questo ulteriore tassello che formerà l’Unità Europea.

 

Io intanto, prendo atto del fatto che questo è anche il primo numero del 2002. Credo ormai che questa pubblicazione è ben avviata, e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare oltre ai miei colleghi di redazione, Alessio Lenzi e Maurizio Martini, altre due persone: Alessio Lombardi, impegnato nella gestione del “Libro Parlato” che ha avuto non poche difficoltà con la registrazione del giornalino, causa la mancanza di personale addetto alla lettura dello stesso. E poi, in ultima analisi, ma anzi primo come rilevanza, ringrazio Fabio Basile, il quale ebbe l’idea di creare un giornalino qualche anno fa, aveva anche già in mente il suo nome “Giovani del 2000”. E sì, nonostante tutte le critiche che si è dovuto sobbarcare dal resto del gruppo giovanile UIC e non solo, tra i punti che lui aveva proposto, quello di realizzare un giornalino ha avuto la meglio sui dissensi generali, senza di lui adesso, io non potrei scrivervi; quindi un grazie davvero sentito da parte mia e dalla Redazione intera a Fabio!

Buon proseguimento di lettura.

 

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CULTURA

Storia degli indiani d'America (terza parte)

Di Luciano Luzzi

 

L’autunno era la stagione delle grandi cacce: la tribù allora si spostava continuamente, in cerca di mandrie dei bisonti, che galoppavano verso sud. C’erano mandrie così numerose che erano lunghe persino 70 km e continuavano a sfilare anche per cinque giorni di seguito. I cavalieri volteggiavano ai fianchi della mandria e con frecce quasi sempre infallibili colpivano gli animali all’attaccatura della spalla. Un metodo più audace per abbattere la preda era quello di balzare dalla groppa del cavallo alla groppa del bisonte piantandogli il coltello nella gola.

I pellirosse sapevano utilizzare le parti del corpo di questo animale:

1)              con la pelle ancora ricoperta di peli facevano: letti, coperte, mantelli;

2)              dopo averla rasata, la usavano invece per fare: tende, piroghe, scudi, abiti e calzature;

3)              le ossa servivano per preparare utensili: pale, arpioni, punte di frecce, aghi e ornamenti;

4)              i tendini e gli intestini si trasformavano in corde per archi, in lacci e in legature;

5)              le corna erano usate come recipienti;

6)              gli zoccoli davano una gelatina che serviva come colla;

7)              il cervello serviva per la concia della pelle;

8)              la carne, tagliata a piccoli pezzi, affumicata e riposta in appositi recipienti di pelle, costituiva il cibo principale di ogni stagione.

Gli indiani non conoscevano il ferro, ma usavano il rame, che veniva usato nelle zone dei Grandi Laghi. Il ferro era abilmente rimpiazzato dalla selce o dall’osso. L’indiano sapeva tagliare, incidere, levigare il quarzo e la selce. Metteva grande cura nel fabbricarsi l’arco e le frecce, sola arma efficace per la caccia. L’asta veniva ricavata da alcune specie d’alberi o di canne, la punta, quasi sempre in osso, veniva fissata all’asta con sottili legacci di pelle.

La sistemazione delle piume era accuratamente studiata in funzione del tipo di caccia praticata; il piumaggio differiva di tribù in tribù, inoltre ogni fabbricante aveva il suo marchio particolare. Per fabbricarsi un arco si servivano di tre tipi di legno: Frassino, Noce e il Castagno, a volte veniva usato anche il corno di un ruminante. Si legava all’arco un nervo essiccato o un tendine. L’impiego di una tale arma richiedeva grande forza; perciò già dalla più giovane età i ragazzi si allenavano al suo uso; in caso di conflitto l’indiano era un arciere temibile ed abile; un buon guerriero scoccava 10 - 12 frecce in un minuto.

Per gli indiani della grande prateria l’arco non era mai più lungo di un metro, quindi non ingombrante e maneggevole anche in sella. Il turcasso poteva contenere sino a cento frecce, lungo poco più di 60 centimetri. L’indiano riusciva a scoccare i suoi dardi cosi rapidi che molti erano già in aria prima che il primo toccasse il bersaglio.

Lo storico Catlin in un’oc-casione, assistette ad una gara fra i Mandan durante la quale diversi tiratori riuscirono a tenere in aria sino a otto frecce.

Un’altra arma molto diffusa era il Tomahawk, fatto con una grossa pietra solidamente legata a una mazzuola.

La lancia era un’altra arma dell’indiano, fra i Comanche solo i combattenti più esperti potevano portarla. Essa era costituita da un’asta di legno di circa due metri con un puntale di osso o selce.

Infine il coltello per combattimento corpo a corpo.

Per la difesa di lance e frecce gli indiani usavano lo scudo, costituito da asticelle di legno ricoperto di pelli di bisonte riccamente ricamato.

Gli indiani utilizzavano anche la fibra libera di alcuni alberi, soprattutto Frassino, abbondante in terreni paludosi e vicino alle cascate; questa tagliata in strisce sottili, veniva poi trasformata in filo o corde, mediante lo sfregamento nel palmo della mano. Queste corde venivano usate come “Lazos”.

Arco:

Principale arma di difesa, d’attacco e da caccia degli indiani nordamericani fino al 1850 circa; poi fu gradualmente sostituito dai fucili a ripetizione a canna corta. Fu ancora usato fino al 1880, circa soprattutto dalle tribù dei Plains. Nell’era dei fucili ad avancarica con acciarino a pietrina o a percussione, l’arco era molto superiore (in distanze fino a 100 metri) alle armi da fuoco.

Gli indiani riuscivano a scocca

re con abilità e precisione (2 frecce in 3 secondi). Presso gli indiani nordamericani si distinguono tre diversi tipi base:                                                            1) l’arco semplice (self o plain bow);

2) l’arco rinforzato (reinforced o backed bow);

3) l’arco composto (composite o compound bow).

L’arco semplice consta di un pezzo di legno, preferibilmente di arancio Osage. Se ne distinguevano due varianti: l’arco piatto (flat bow) e l’arco lungo (long bow). Gli archi piatti erano i più diffusi e si dividevano ancora, a seconda del tipo della loro incurvatura, in archi piatti a incurvatura singola e archi piatti a incurvatura doppia.

L’arco rinforzato è formato da un lungo legno a sezione traversale ellittica, il cui dorso è rinforzato da un sottile strato di tendine incollatovi. Le sue prestazioni sono superiori a quelle dell’arco semplice.

L’arco composto consta di due bracci di corno di cervo o di capra di montagna, connessi, incollati nonché rinforzati da più strati di tendini.

Il tipo più conosciuto è il cosiddetto arco “Elkhorn” (di corna d’alce) delle tribù dei Plains settentrionali.

In media gli archi degli indiani nordamericani erano lunghi circa 50 inches = 1,27 m; la lunghezza ottimale del segmento della freccia in tensione corrispondeva a circa 26 inches = 60 cm. I pionieri americani misuravano la forza di un arco (combinazione di distanza di tiro e forza perforante) in base alla “forza di tensione”. Se un arco aveva una tensione di 24 inches e una forza di tensione di 45 libbre (= 20,430 kg), ciò significava che ci voleva una forza di tensione di 45 libbre per scoccare una freccia con un raggio di tensione di 24 inches (= 60 cm).

Valori:

1)              arco semplice: tensione = 24 inches, forza: 43 libbre;

2)              arco rinforzato: tensione = 28 inches, forza: 50 libbre;

3)              arco composto: tensione = 30 inches, forza: 60 libbre.

 

Il raggio di tiro corrispondeva circa a:

1)              arco semplice: trapassava un uomo nudo alla distanza di 70 metri;

2)              arco rinforzato: trapassava un uomo nudo alla distanza di 80 metri;

3)              arco composto: trapassava un uomo nudo alla distanza di 90 metri.

 

Questi valori corrispondono approssimativamente alle cronache contemporanee.

L’arco migliore era “l’Elkhorn” dei Nez Percé e l’arco Yacqui.

I Sioux ed i Comanche, che abitualmente adoperavano l’El-khorn, fabbricavano anche il “rip bow”, servendosi delle costole di bisonte; quest’ultimo tipo scomparve gradualmente con l’adozione del cavallo perché di lunghezza eccessiva. Deve aver avuto un raggio di tiro ancor superiore rispetto a quello dell’Elkhorn, ma non poté mai venire provato perché non ne esiste più alcun esemplare. La corda dell’arco era per lo più formata da un tendine animale.

 

Freccia:

Le frecce indiane constavano dei seguenti elementi:

1) Asta: di diversi tipi di legno a seconda della regione (legno tenace, talvolta canna), di diversa lunghezza, forma e sezione e dai più svariati motivi ornamentali.

2) Asta anteriore: spesso venivano posti all’interno della cavità anteriore dell’asta (nel caso di legno si praticava un foro; nel caso di canna era già presente) dei corpi di legno duro che conferivano alla freccia il necessario peso anteriore.

3) Base: parte dell’asta sulla quale o nella quale venivano applicate le piume di direzione: le piume potevano essere assicurate all’asta legandone il calamo terminale con un tendine oppure potevano essere assicurate alla parte centrale dell’asta facendo uso di materiale adesivo; talvolta ancora esse venivano infilate in piccole fessure della base.

4) Piumaggio per conferire stabilità di volo alla freccia si faceva uso di penne il cui calamo era sezionato a metà ed il cui vessillo era tagliato a forma romboidale. Esse potevano essere di diversa lunghezza, larghezza, forma e numero.

5) Cocca: parte della base della freccia afferrata dal tiratore. Presenta diversa forma a seconda del livello culturale, della regione e della tribù.

6) Tacca: taglio che correva alla base della freccia nel quale andava ad inserirsi il tendine; diverso e caratteristico per ogni tribù.

7) Punta: si distingue fra “punte applicate” e “punte dell’asta”. Le punte applicate erano fatte di pietra, osso o metallo e presentavano le forme più svariate, a seconda del livello culturale e dello scopo specifico

(caccia, guerra o allenamento); erano per lo più uncinate.

Le punte dell’asta venivano preparate spuntando e facendo indurire al fuoco l’estremità dell’asta, facendole assumere molteplici forme, angoli di inclinazione e uncini a seconda dello scopo. Il fatto che si siano ritrovate numerosissime punte di pietra non significa affatto che fossero le più usate, ma solo che la pietra si è appunto potuta conservare più a lungo, mentre gli altri materiali soggiacciono a corruzione. Di regola erano artigiani particolarmente qualificati a produrre gli archi e le frecce ed erano artisti altamente specializzati a fabbricare le punte. Presso le tribù settentrionali, gli “artigiani delle frecce” e “gli scultori di punte” rappresentavano una classe a sé, cosicché la freccia forniva gli elementi non solo per riconoscere tribù, sottogruppo o clan, ma anche i loro artefici. Un esperto scout, sulla base del design, della lunghezza, della sezione e del taglio del piumaggio, era in grado di indicare sui due piedi la tribù, l’intenzione e lo scopo degli invisibili tiratori di una sola freccia. Degno di nota l’appunto del trapper Heinrich Jakob Besuden, datato 1837: “il cervo era evidentemente corso via ancora a lungo dopo essere stato colpito. Toro Nero la osservò (la freccia) dopo averla estratta con cautela dal corpo dell’animale e dichiarò qualcosa di veramente sorprendente: era una freccia di guerra Ojibwa per lunghe distanze, una delle cosiddette “frecce silenziose” con piumaggio speciale che attutisce il sibilo e permette una mira sicura. Disse che si trattava di una piccola spedizione di guerra (War-party) di 5 - 8 guerrieri distante circa 30 miglia: quegli indiani pensavano solo a procacciarsi dei cavalli e noi non potevamo perciò stare tranquilli.

Il giorno dopo c’imbattemmo in un gruppo di 7 guerrieri Objibwa e Toro Nero lanciò solo un breve sguardo e restituì ad uno di loro la sua freccia”.

“Nonostante tante lotte, ho avuto la fortuna di non versare mai il sangue di una donna o di un bambino, neanche involontariamente”. Così disse Geronimo, un grande capo Apaches, concludendo il racconto delle sue imprese.

Le tribù pellirosse erano spesso in guerra fra loro per i più futili motivi: bastava che due tribù si trovassero contemporaneamente sullo stesso territorio di caccia perché la guerra fosse inevitabile.

Pur tuttavia questi guerrieri erano combattenti leali, né le donne, né i bambini dei vinti venivano uccisi; i prigionieri erano rispettati; i trattati, benché fossero soltanto verbali erano scrupolosamente osservati. Per alcune tribù, come gli Apaches, i Comanches, i Sioux, la guerra non era che un particolare tipo di caccia, che si concludeva con la cattura dei cavalli del villaggio aggredito. Per aggredire di sorpresa il villaggio nemico, i cavalieri stavano aggrappati ad un fianco dei loro cavalli, così da rimanere nascosti; i cavalli si avvicinavano al villaggio come fossero una mandria al pascolo; poi, ormai vicini, d’un tratto i cavalieri sferravano l’attacco.

 

La Danza del Sole

 

E’ una delle più notevoli feste degli indiani delle pianure. Essa era celebrata dalle tribù Arapaho, Cheyenne, Dakota, Comanche, Kiowa, Crow, Blackfeet, Ute, Ponca, Sioux ed altre. A causa delle autolesioni associate a molte delle sue forme, che il governo degli U.S.A. la proibì nel 1904, poi la permise nel   1935, cosicché diverse tribù la conservano ancora oggi, sebbene con molte modifiche.

La cerimonia consiste in un’adorazione di una particolare divinità, ma si tratta di una celebrazione composta di elementi diversi largamente diffuse in tutto il paese. Un tempo la danza veniva eseguita in occasione dell’annuale raduno dei gruppi tribali che si teneva nella tarda primavera o all’inizio dell’estate. La tribù si accampava in un immenso circolo che simboleggiava l’unità. Conduceva la danza uno “sciamano” pratico della cerimonia, il quale istruiva i partecipanti in una tenda sacra eretta allo scopo.

Nello stesso tempo alcuni uomini cercavano un albero adatto che veniva abbattuto da una persona particolarmente qualificata, di solito da una donna casta. Dall’albero veniva ricavato un palo che era issato in un recinto circolare dove figurava come l’altare un’area ripulita su cui si trovavano crani di bisonti.

Generalmente i celebranti digiunavano per parecchi giorni, guardando fissamente la punta del palo centrale, danzando e pregando per avere forza. Le donne partecipanti al rito dovevano dichiarare di non aver commesso peccati di carattere sessuale. Per le dichiarazione non ritenute veritiere veniva

organizzata una prova ordalica consistente nella spellatura di una fetta di lingua al bisonte. Le donne che foravano la pelle o si tagliavano erano considerate colpevoli e dovevano confessare i loro falli pubblicamente.

Nella cerimonia non era assolutamente generale il carattere di tortura, sebbene alcuni partecipanti si tagliassero la pelle del petto o della schiena in modo da inserirvi degli spiedi uniti a corde appese al palo centrale.

I danzatori pendevano dalle corde fino a quando la pelle non si strappava.

Le scene di autolesionismo mancavano completamente fra i Kiowa, Ute e Shoshone; soltanto fra i Dakota e i Ponca i celebranti principali si sottoponevano a tale mortificazione, per le altre tribù era volontaria. La cerimonia si prolungava per quattro giorni e quattro notti.

Nelle canzoni, nelle danze e nelle pitture che erano eseguite in tale periodo veniva simbolizzato il SOLE, il TUONO, le STELLE, la MADRE TERRA, i quattro punti cardinali, così come si imitavano scene di guerra o di caccia al bisonte. E’ chiaro che la danza era solo in parte una cerimonia religiosa e che in grande misura essa serviva, oltre che per il piacere estetico e per il divertimento degli spettatori, per riaffermare l’unità della tribù. Infatti, dopo la Danza del Sole, ognuno ritornava nei propri terreni di caccia al seguito delle mandrie dei bisonti.

La Danza dello Scudo

 

Un giovanotto arrivato all’età di prendere posto nei ranghi dei guerrieri ha bisogno di uno scudo che egli si fabbricava con la pelle del collo del bisonte; mentre lo scudo s’induriva al calore di un fuocherello, amici e guerrieri danzavano tutto intorno, cantando canzoni sacre.

 

La Danza dello Scalpo

 

Quando i guerrieri ritornavano da una battaglia con capigliature di nemici, i sanguinosi trofei venivano tesi su cerchietti e quindi appesi a lunghi bastoni. Mentre gli uomini cantavano le loro audaci imprese le donne formavano un circolo e, danzando, tenevano alti gli scalpi.

La Danza del Serpente

 

Danza cerimoniale tenuta ogni due anni dagli Hopi di numerosi pueblo per propiziare la pioggia. I danzatori tengono in bocca dei serpenti che vengono lasciati liberi dopo esercizi e riti speciali “affinché con loro ritorni la pioggia”.

 

La Danza del Mais Verde

 

Cerimonia annuale di purificazione dei Creek che durava 4 - 8 giorni.

Si ingerivano forti sostanze lassative ed emetiche per purgare il corpo.

Il “fuoco della direzione del vento” della cerimonia del-l’anno precedente, che ardeva ininterrottamente da un anno, veniva spento e ne veniva acceso un altro formato da quattro ceppi per ogni direzione del cielo. Tutti i beni di consumo principali come mobili, biancheria, vesti e cosi via, venivano bruciati pubblicamente e riconfezionati. Ci si perdonava reciprocamente ogni peccato e dopo questa festa del “rinnovamento” il nuovo anno incominciava spiritualmente e fisicamente fortificato. Agli americani la distruzione degli oggetti di consumo sembrava folle: in realtà i Creek impedivano così l’accumularsi della proprietà privata. I sociologi moderni sostengono che la “festa del mais verde” dei Creek rappresenta una delle soluzioni  pratiche più straordinarie ai problemi sociali.

 

“Padre mio, che sei ovunque e per cui sono in vita, forse sei stato tu che, per opera d’uomini, mi hai messo in questo stato, perché sei tu che disponi d’ogni cosa. Ma poiché per te nulla è impossibile, libe

rami dai miei nemici, se lo ritieni giusto. Ed ora a voi tutti, pesci dei fiumi e uccelli del cielo e animali che correte sulla terra, e a te, o sole, offro questo mio cavallo. Voi, uccelli dell’aria e voi, ospiti delle praterie, siete i miei fratelli perché un solo padre ci ha creati e vedete come io sia infelice; se dunque avete qualche potere presso il Padre, intercedete per me”.

 

Questa bellissima preghiera fu pronunciata da un indiano della tribù dei Pawnee, mentre si trovava in una situazione disperata. In essa troviamo non solo l’espressione di fede in Dio, padre giusto e amoroso di tutte le creature, ma anche il senso di una profonda rassegnazione alla volontà divina.

Le varie tribù indiane chiamavano il Grande Spirito Creatore con nomi diversi:

MANITU’ gli Algonkini, WACANDAH i Sioux, YASATASINANE che significa “capi-tano del cielo” gli Apaches.

Inoltre essi veneravano tutte le manifestazioni della natura: il Sole, la Luna, l’Aria, l’Acqua e il Fuoco; a queste forze misteriose dedicavano lunghe preghiere silenziose oppure riti complicati che, sotto la guida di stregoni, si protraevano anche per parecchi giorni.

 

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ESOTERISMO, RELIGIONI E DINTORNI

Cartomanzia occultismo spiritualità, che confusione!

Di Maurizio Martini

 

Sempre più spesso, sentiamo parlare del crescente fenomeno dei cartomanti, degli occultisti, a cui la gente si rivolge per risolvere i loro problemi.

A tal proposito, ha fatto scalpore la notizia dell’arresto di Vanna Marchi e figlia, accusate di circuire e minacciare i clienti che si rivolgevano a loro per ottenere l’aiuto della magia.

Indubbiamente, lascia senza parole il fatturato di queste signore prive di ogni umanità, fatturato che si aggira intorno ai sessanta miliardi di lire, cifra molto probabilmente destinata a gonfiare ulteriormente.

Tuttavia, lascia altrettanto sconcertati il fatto che gli organismi preposti alle indagini e ai controlli, si siano mossi soltanto dopo la famosa trasmissione (striscia la notizia). Disattenzione difficilmente giustificabile, visto che le (oneste) signore, imperversavano con le loro coglionerie del dimagrimento prima, e dei numeri col presunto mago brasiliano poi, su molte tv da diversi anni.

Non bisogna dimenticare inoltre, che le signore Marchi, erano già incorse in problemi giudiziari alcuni anni or sono.

Tornando al discorso da cui siamo partiti, cartomanzia e occultismo, credo sia giusto tentare di far almeno un po’ di chiarezza, visto che le informazioni divulgate dai mezzi di informazione sono molte, ma sempre inesatte, esposte senza alcuna preparazione, e deformate da molti interessi che sarebbe troppo lungo trattare in questa sede.

Prima di tutto, è importante fare dei distinguo che vengono stranamente dimenticati DA CHI TRATTA TALI ARGOMENTI.

Nello specifico, è importante distinguere l’occultismo dei ciarlatani, dalla tradizione esoterica vera e propria e da chi ricerca con fatica e sacrifici questa tradizione.

Chiunque voglia affrontare questo argomento così delicato e complesso, anche quando parla dei ciarlatani, dovrebbe farlo in maniera da rendere giustizia agli onesti, colpendo invece i pagliacci da baraccone.

Negli ultimi venti anni, gli operatori dell’occulto sono aumentati in maniera esponenziale, tanto che è quasi impossibile tracciare una mappa esatta del fenomeno.

Senza dubbio alcuno, dobbiamo denunciare una volta per tutte, che la stragrande maggioranza di queste persone, sono semplicemente disonesti individui, pronti a spennare il malcapitato senza alcun rimorso.

Queste persone, non hanno nessuna preparazione settoriale ma possiedono in cambio, soltanto titoli che loro stessi si sono inventati.

Titoli, si badi bene, che nessuno può aver rilasciato loro, visto che non esiste un’università dell’esoterismo, mentre esistono organizzazioni lucrose che rilasciano diplomi di pura fantasia al costo di circa due milioni di lire.

Quindi, sarebbe del tutto giusto e auspicabile colpire questi personaggi che apportano soltanto danni di ogni genere.

Detto questo, bisogna guardare senza ipocrisie l’altra faccia della medaglia.

La cartomanzia, l’occultismo, l’a-strologia, quando ben conosciute e praticate, offrono risultati oggettivi e indiscutibili.

Questa è una realtà che nessuno può mettere in discussione, al di là di fedi religiose, scientifiche, politiche e quant’altro.

Bisogna aggiungere, che tali arti possono essere utilizzate non solo per il bene, ma purtroppo, anche a fin di male.

Adesso, dovremmo affrontare lo spinoso tema della moralità sull’utilizzo o meno di questi mezzi, ma non ci interessa entrare in tali discussioni più o meno da salotto mondano, inoltre finiremmo troppo fuori dal tema.

Invece riteniamo importante porre la seguente domanda: come mai negli ultimi tempi la richiesta di queste pratiche da parte della gente è cresciuta così tanto?

La risposta è molto complessa, tuttavia possiamo esprimerci nei seguenti termini.

L’umanità, specialmente nel-l’ultimo secolo, ha avuto un’e-voluzione tecnologica come non si era mai verificato in precedenza.

Questa evoluzione, per motivi non spiegabili in questa sede, ha finito con l’inaridire la spiritualità del genere umano.

Questo inaridimento, ha portato progressivamente l’essere umano a trovarsi sempre più solo, sempre più vuoto nell’affrontare la vita di ogni giorno, vita che oramai è paragonabile a quella di una macchina programmata.

Ora, chi studia la vera tradizione esoterica, sa benissimo che l’essere umano non è costituito soltanto da materia tenuta in vita da reazioni chimiche, ma al contrario, ognuno di noi è inondato da energie sottili che pervadono tutto l’universo.

Tale realtà, è sempre stata conosciuta e tramandata nei millenni, da quella che viene spesso denominata catena esoterica.

Tornando a parlare del momento storico che stiamo vivendo, dobbiamo dire che l’umanità è giunta su un crinale assolutamente importante, e per certi versi definitivo.

Il fatto stesso di trovarsi su questo crinale, ha risvegliato in maniera automatica il bisogno di spiritualità.

Giunti a questo punto della nostra esposizione, dobbiamo per forza di cose toccare anche le religioni.

Tutte le religioni, almeno quelle più importanti, possiedono la conoscenza tradizionale. Purtroppo, a causa di processi di decadimento molto complessi, tali conoscenze sono state taciute e nascoste all’umanità, contribuendo così ad inaridire oltremodo l’anima della collettività. Così, arrivati a questo punto della situazione, è stato del tutto naturale che la persona comune si sia rivolta a coloro che in qualche maniera potevano soddisfare il bisogno di sapere.

Come tutti sappiamo, l’offerta aumenta in base alla domanda, e siccome il consumismo aggiunto alla superficialità è di moda, ecco che migliaia e migliaia di pseudo conoscitori dei misteri divini, sono venuti alla luce rispondendo così ai crescenti bisogni della gente, ma le risposte offerte hanno portato molto danno e nessun vantaggio.

Con il processo sommariamente spiegato or ora, si chiarisce l’esplosione della cosiddetta new age.

Ricapitolando la questione diremo che:

 

1.        L’essere umano ha un bisogno naturale di spiritualità in quanto lui stesso è un essere spirituale.

2.        L’evoluzione razional-tecnologica ha sempre più schiacciato fino ad annullare la spiritualità dalla vita quotidiana.

3.        contemporaneamente all’e-voluzione tecnologica sopra citata, le grandi religioni hanno completamente fallito nel loro ruolo di apportatrici di luce scatenando al contrario guerre a non finire e divisioni molto profonde fra gli uomini.

4.        In questo totale smarrimento di ogni valore e tradizione, hanno avuto terreno fertile tutte le varie sette sorte come funghi, oltre all’imperversare dei singoli occultisti da strapazzo che in qualche maniera continuano a riempire il vuoto lasciato da chi aveva il compito di guidare la spiritualità dell’umanità.

 

In conclusione diremo che: se da una parte è giunto il momento di smascherare i furbi, dall’altro, bisogna che la verità su certi argomenti sia messa a disposizione di tutti coloro che avvertono il bisogno di sapere.

Riguardo a questo, è interessante notare che alcune discipline come la fisica e la psicologia, stanno portando avanti da alcuni decenni interessanti studi che in breve tempo dovrebbero portare ad importanti rivelazioni.

 

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HOBBY E TEMPO LIBERO

La margotta

Di Angelo Ricci

La Margotta è nata per fare in modo che si possa creare una piccola pianticella senza l’aiuto del seme, così possiamo anticipare il tempo sulla fruttificazione e si procede, come segue: per realizzare la margotta, ci sono diversi modi, ma io, mi limito a spiegare il modo più facile per poterla realizzare e quindi, prendiamo per esempio di volere una pianta di fico, noi prendiamo un ramo che abbia di età, almeno un anno e comunque se ne ha di più, è anche meglio calcoliamo che questo ramo abbia una lunghezza di circa cinquanta centimetri ed una circonferenza di circa dodici centimetri, fino ad un massimo di quindici centimetri, quindi è necessario procurarsi un coltello anche da cucina, un pezzo di nylon nero, di larghezza di circa centimetri cinquanta per cinquanta, della borraccina fresca, un pochino di ovatta, un pezzo di filo metallico, un paio di pinze da elettricista, ed infine un pezzo di spago o rafia.

Si intende che l’operazione deve essere fatta ad un ramo attaccato, altrimenti quello che facciamo, risulterebbe inutile. Cominciamo il lavoro, prendendo il coltello e incidiamo la pelle, creando un anello lungo la circonferenza del ramo in questione, e ad una distanza di circa due centimetri, pratichiamo un’altra incisione da fare in modo che le due incisioni formino un anello, quindi, con la punta del coltello, fare in modo e con attenzione asportare l’anello. Dopo e immediatamente, avvolgere al posto della pelle l’vatta,

facendo in maniera che ricopra tutta la parte poi, ricoprire l’o-vatta, con la boraccina, facendo in modo di avvolgere tutto con il nylon nero, e subito iniziare la legatura, stringendo molto bene il tutto, in modo che si formi un involucro leggermente ovale, a lavoro ultimato, legare sotto l’involucro il filo metallico stringendolo con le pinze da elettricista, poi con un paio di forbici da giardiniere, tagliare circa quindici centimetri nella parte superiore della margotta.

ATTENZIONE. Questa operazione si pratica solamente agli inizi di primavera.

 

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INFORMATICA

Come utilizzare Outlook Express

Di Paola Vagata

 

Presentazione


All’interno della mailing list Uictech, un gruppo di discussione in Internet in cui si parla di ausili e tecnologie per i non vedenti, è nata l’idea di realizzare dei corsi on line sull’uso dei software più comuni. Personalmente sto curando il corso su Outlook Express, il programma di gestione della posta elettronica che viene fornito con Windows. Mi è stato proposto di mettere questo corso, fra l’altro in fase di realizzazione, a disposizione dei lettori di questo periodico, ed ho accettato ben volentieri, sperando così di aiutare tutti coloro che si volessero avvicinare ad Internet in modo più naturale possibile.

 

Questo testo fa parte di una serie di lezioni su Outlook Express realizzate nell’am-bito della lista tecnica Uictech. Tutto il materiale confluirà in una  pubblicazione unitaria che verrà messa gratuitamente a disposizione di chi vorrà fruirne.

Copyright (c) 2001

Paola Vagata

 

E’ garantito il permesso di copiare e distribuire questo documento, a patto di non modificarne il contenuto, seguendo i termini della GNU Free Documentation License, Versione 1.1 o ogni versione successiva pubblicata dalla Free Software Foundation, con la Sezione Non Modificabile  “Premessa”

Una copia della licenza è reperibile all’indirizzo http://fly.cnuce.cnr.it/gnu/doc.it/fdl.it.html

 

Per chi volesse contattarmi può farlo al seguente indirizzo:

paolavagata@ciaoweb.it

oppure chiamarmi al numero 338/3003811.

 

Lezione 0

 

Premessa

 

Questo corso per l'uso di Outlook Express (dalla versione 5 in poi) non vuole affatto sostituirsi al manuale e alla guida in linea del programma, ma deve servire come integrazione, quale supporto per un uso il più possibile agevole da parte dei non vedenti.

Nell’esposizione delle lezioni, non darò nulla per scontato, almeno per ciò che concerne la posta elettronica, giacché questo corso, se lo si ritiene opportuno, potrà essere pubblicato in siti Internet o stampato.

Dividerò il programma in 3 moduli:

1) Corso base (cos’è Outlook Express, come inviare e ricevere messaggi, come rispondere ed inoltrare messaggi, come inserire file di testo, come inserire e salvare allegati);

2) Corso avanzato (La copia carbone nascosta, creazione di nuove cartelle, spostamento dei messaggi, creazione di regole di posta elettronica, creazione di nuovi account e identità, visualizzazioni, gestione della rubrica ecc.);

3) Gestione dei newsgroups.

Non mi soffermerò sugli elementi base di Windows, dando per scontato che chi utilizza programmi di questo genere abbia frequentato un corso di alfabetizzazione informatica, o comunque abbia i prerequisiti necessari per l’uso di tale sistema operativo.

Durante le lezioni i riferimenti agli screen readers saranno generici, in quanto non tutti usano gli stessi. Eventualmente, gli esperti degli screen readers più in uso (Jaws, Outspoken, Virgo ecc), potranno integrare le spiegazioni con suggerimenti per poter usare meglio l’appli-cazione cogli screen readers.

Per qualsiasi chiarimento, segnalazione e osservazione, si può inviare una e-mail a

paolavagata@katamail.com

Prima di cominciare

Prima di addentrarci nella conoscenza di Outlook Express, in questa lezione esporrò le principali caratteristiche del programma ed  alcuni cenni preliminari, in altre parole, ciò che bisogna sapere per poter gestire la posta elettronica. Per poter navigare in internet, inviare e ricevere messaggi di posta, occorre registrarsi ad un ISP (dall’inglese “Internet Service Provider”); lo si può fare tramite dei CD Rom forniti gratuitamente, oppure anche per telefono (ogni provider, in genere, ha un proprio numero verde). Terminata la registrazione (in cui vengono richiesti alcuni dati personali) ci vengono fornite informazioni utili per la connessione al servizio, l’invio e la ricezione dei messaggi. In particolare, l’indirizzo di posta elettronica serve a identificarci, allorché inviamo messaggi. E’ un po’ come il nostro numero telefonico o come il nostro indirizzo di casa, unici in tutto il mondo. Un indirizzo si divide in due parti: nome utente (che possiamo scegliere allorché ci registriamo ad un provider) e dominio (il nome del provider e l’estensione, che spesso ne identifica la provenienza. Le due parti (nome utente e dominio) sono divise dal simbolo @ (chiocciola), che gli inglesi pronunciano “at”, termine che in inglese significa “a, presso”; l’estensione viene separata da un punto. Gli indirizzi di posta elettronica vanno scritti generalmente con lettere minuscole. Analizziamo ad esempio il mio indirizzo di posta:

paolavagata@katamail.com

Il nome utente è dunque “pao-lavagata”, mentre “katamail.com” è il nome del provider, che in questo caso ha scelto di utilizzare un’estensione di tipo internazio

nale (.com). Le esten\sioni possono essere diverse: .it che indicano il dominio di provenienza italiana, .ru se si tratta di domini russi, .org, se si tratta di un’organizzazione, ecc.. C’è da notare che alcuni provider considerano come nome utente l’intero indirizzo di posta (esempio, il provider “email”.

 

Ma cos’è Outlook Express?

 

Outlook Express è un programma di posta elettronica (o “Mailer”), che viene fornito con Windows, insieme ad Internet Explorer. Mentre quest’ultimo serve a navigare in Internet, Outlook Express offre tutti gli strumenti necessari per scambiare posta elettronica e partecipare ai newsgroups, gruppi che trattano vari argomenti, in cui si possono scambiare idee e informazioni. Vediamo più da vicino come si può gestire la posta elettronica con Outlook Express.

1)  Si possono gestire più account (o Caselle) di posta e dei newsgroups.

2)  Si possono creare più Identità o Utenti per lo stesso computer, in modo che diverse persone possano lavorare sul medesimo programma. In poche parole, è come se vi fossero

tante istanze di Outlook Express (tante copie di Outlook Express) quante sono le persone che intendono lavorare su un dato computer. Ogni identità può essere protetta con una password, cosicché solo gli interessati potranno accedere alla loro istanza del programma. Ciascuna identità avrà le sue cartelle di posta elettronica e la propria rubrica, al fine di tenere separati i singoli utenti, oppure, poniamo, la posta di lavoro da quella privata.

3)  Sottoscrivere newsgroups in modo da scaricare i messaggi dalla rete, per poterli leggere e rispondere con calma a quelli ritenuti di un certo interesse, al fine di intervenire nelle diverse discussioni.

4)  Creare nuove cartelle, in aggiunta a quelle già esistenti, da collocare in diverse posizioni (ad esempio, si possono salvare tutti i messaggi che una data persona ci invia e raggrupparli in sottocartelle, ciascuna contenente messaggi risalenti ad ogni mese dell’anno).

5)  Creare regole di posta elettronica, o “filtri”, che consentono di compiere diverse operazioni automaticamente: spostare, dopo la ricezione, alcuni messaggi in una cartella specificata da noi, copiarli,

eliminarli e così via.

6)  Si possono anche creare visualizzazioni personalizzate per la posta (ad esempio, al fine di vedere in un colpo solo tutte le informazioni che riguardano ogni singolo messaggio, si può decidere di non visualizzare elementi per noi poco interessanti, come l’elenco cartelle, la barra di Outlook, il riquadro di anteprima ecc.).

7)  Inviare i messaggi in diversi formati, inserendo allegati, immagini, suoni e firme personalizzate.

8)  Inviare e ricevere messaggi protetti, con firma digitale, in modo da garantire al destinatario l’identità del mittente. Attraverso la creazione di messaggi codificati, si potrà consentirne la lettura solo ai destinatari interessati.

I messaggi in ciascuna identità di Outlook Express sono organizzati in cartelle, proprio come il disco fisso di un PC. Quelle indispensabili sono, a partire da “cartelle locali” (quella principale): posta in arrivo, posta in uscita, posta inviata, posta eliminata e bozze. Naturalmente Outlook Express consente anche di gestire una rubrica, che si presenta come una pagina tabulata, e che permette di archiviare tutte le informazioni riguardanti ogni singolo contatto (nome e cognome, indirizzo, telefono, home page ecc.).

Naturalmente questa è solo un’illustrazione sintetica delle potenzialità di questo programma; i vari aspetti verranno approfonditi più avanti.

 

Nella prossima lezione vedremo come aprire Outlook Express e come settarlo, in modo da utilizzarlo più agevolmente.

 

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MUSICA

Sting, ma il tempo per lui, non passa mai?

Di Vainer Broccoli

 

Quasi 50 anni, poche piccole rughe sul viso, una pettinatura sbarazzina, da teen-ager, un’energia da fare invidia a molti.

Gordon Smith, per gli amici Sting, si presenta così dopo più di 20 anni di carriera; un curriculum vitae di tutto rispetto per l’ex leader dei Police; che dire: la sua musica si distingue per l’originalità, per il gusto, per i temi che affronta.

Sting, infatti, da sempre ha avuto una grande attenzione per i problemi del mondo, dalle vittime della dittatura di Pinochet in Cile, ai problemi della foresta amazzonica passando per il sostegno ad Amnesty International.

Il bassista inglese si è sempre distinto, in quest’ultimo ventennio, per tutto ciò che ha fatto; collaborazioni eccellenti, come non ricordare la sua voce in “Money for nothing” assieme ai Dire straits di Mark Knopfler, l’armonica a bocca di Stevie Wonder nella più recente “brand new day”, o ancora quel fantastico concerto ad “Umbria Jazz”, 1988, assieme alla band di Gill Evans, insomma il top per un grande della musica contemporanea!

La sua carriera da solista cominciò all’inizio degli anni ’80 con l’album “The dream of the blue tartles” e già le prime perle:

“if you love somebody” e “russians” facevano capire che l’autore di New Castle faceva sul serio; ecco arrivare i primi grandi nomi al suo seguito: Belford Marsalis, ancora oggi, forse, il miglior saxofonista jazz in attività al mondo, Kenny Kirkland, scomparso un paio d’anni fa, con la sua energia al piano, Manu Kache prima e Winny Colaiuta, poi, a dare ritmo dietro la batteria; questo enorme cocktail di mostri musicali ha creato un vero e proprio fenomeno “Sting”.

Il fenomeno, tra l’altro, ha sempre dimostrato un grande amore per il nostro Belpaese, infatti molto spesso si ferma in Toscana, dove ha acquistato una villa, predilegendola spesso al suo maniero inglese; proprio nella terra del Chianti è nato l’ultimo lavoro di Gordon Smith.

“All This time” è un sunto particolare della carriera incommensurabile del musicista: una raccolta live dei suoi hit di maggior successo riarrangiati e riveduti in versione jazz; il concerto è, appunto, stato inciso nell’orto della sua residenza toscana, davanti a pochi intimi, il top per assistere ed ascoltare qualcosa di decisamente bello, un solo particolare, la data del concerto: 11 settembre 2001!

Dice Sting in un’intervista a Radio Capital:

“…non volevo suonare, non me la sentivo, ma i miei musicisti hanno insistito, era tutto pronto, poteva diventare un tributo proprio per coloro che stavano soffrendo nella megalopoli americana…”

La spontaneità del concerto si nota sin dal primo ascolto: un imbarazzo ed una rigidità dovuti al momento drammatico in “Fragile”, prima traccia del cd, per poi lasciarsi trasportare dalla magia della musica col procedere del concerto; sono decisamente da segnalare le versioni di “If you love somebody”, la stessa “Fragile, “Fields of gold”, “All this time”, insomma una chicca per tutti gli amanti della musica totale, senza trucchi elettronici, solo grandi mani sugli strumenti!

Continua Sting: “…il futuro?…Non so, il momento storico non mi permette di fare progetti, magari, un giorno, guardando le nuvole, scriverò e comporrò qualcosa di nuovo…”

Noi siamo sicuri, invece, che quest’uomo, un tutt’uno con la musica ed il ritmo, nonostante grandi problemi di udito che lo affliggono ormai da tempo, non riuscirà a stare lontano dalle sale d’incisione, troppo si agita nel suo animo, troppa musica scorre in quest’uomo per il quale il tempo non sembra passare mai.

 

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NORMALITA' E HANDICAP

Tiro con l'arco per non vedenti: una grande realtà

Di Alessandro Tanini

 

Nella lista dei numerosi sport che anche i non vedenti possono praticare, dal 1992 si è aggiunto anche il tiro con l’arco.

Tutto è cominciato nel giugno ’92, quando 2 istruttori, Leonardo Terrosi e Cecilia Trinci, hanno affermato che anche i non vedenti hanno la capacità di praticare questo sport grazie al controllo dei movimenti corporei: il tiro con l’arco pertanto, non sarebbe basato esclusivamente sulla mira ma, anzi, sul controllo di ogni movimento che può essere realizzato concentrandosi su ogni fase della tecnica di tiro; con tali accorgimenti, il tiro risulta perfetto anche ad occhi chiusi (basti pensare a numerosi campioni che, una volta trovata la posizione giusta, riescono a tirare senza l’ausilio della vista anche da distanze notevoli come 50 metri).

Il primo non vedente a sperimentare tutto ciò nel giugno ’92, è stato un ragazzo di nome Alessandro Tanini, ossia chi vi scrive. Col passar del tempo, molti altri non vedenti, curiosi della novità, hanno voluto provarla ed il gruppo, dal 1999-2000 fino ad oggi, è composto da 10 persone; analizziamo però in maniera più approfondita le varie fasi che hanno portato all’evoluzione dell’attività in generale.

Inizialmente, l’insegnamento della tecnica di tiro in ogni suo dettaglio ha richiesto molta pazienza ed anche molto tempo ai  2 istruttori: la tecnica, doveva infatti essere spiegata in ogni suo minimo dettaglio. Innanzitutto, è necessario un buon equilibrio corporeo bilanciato con lo stesso peso su entrambi i piedi; in seguito, il bersaglio deve trovarsi esattamente alla sinistra di chi tira, a meno che l’arciere in questione non sia mancino; la testa dev’essere inoltre ben voltata verso il bersaglio e tutto il corpo dev’essere ben allineato nei confronti di esso. Nel tiro con l’arco non è assolutamente necessaria la forza, ma deve anzi essere privilegiata la buona tecnica: è infatti molto importante il totale rilassamento delle spalle e delle mani durante la tensione della corda, come è altresì importante lavorare coi muscoli dorsali e spingere con la mano dell’arco verso il bersaglio durante l’esecuzione del tiro. Il braccio dell’arco e quello della corda, per un giusto allineamento, devono formare una sorta di t maiuscola quando si arriva al punto massimo della tensione; una volta che la mano della corda arriva a toccare la parte inferiore del mento, segue la fase del rilascio della corda (questa è l’ultima fase in cui si scocca la freccia). Qui, la mano della corda deve rimanere morbida e rilassata per consentire alla freccia di mantenere la traiettoria giusta; per questo motivo, è pertanto necessario far perdere forza alla mano senza irrigidirla per far sì che il rilascio non sia brusco. È inoltre necessario mantenere invariata la posizione del braccio dell’arco fino a quando non si avverte il colpo della freccia che arriva sul bersaglio, sempre per mantenere la traiettoria giusta. Questa tecnica viene appunto messa in pratica anche dai più grandi campioni che quindi non si servono tanto della mira, quanto della concentrazione sulle varie sensazioni corporee, riuscendo pertanto ad eseguire un tiro perfetto e, con Alessandro, si è potuto dimostrare che ciò vale anche coi non vedenti. Con l’arrivo di Stefano Bruni e di Elena Galgano nel ’93, il gruppo si è ampliato ed i nuovi arrivati hanno appreso la tecnica in maniera sicuramente più rapida. Sempre all’inizio del ’93 è arrivato un nuovo istruttore: Nedo Vannucci, che, tuttora, a differenza di Terrosi, dedica insieme a Cecilia Trinci, il suo tempo libero al tiro con l’arco. Dal 93-94, in occasione di numerose manifestazioni sportive, il gruppo del tiro con l’arco si è più volte esibito conseguendo ottimi risultati e, nel ’95, la dimostrazione tenutasi ai campionati italiani di Foligno, è stata una vera e propria rampa di lancio, per il fatto che lì erano presenti i maggiori esponenti della Federazione Italiana Sport Disabili (FISD), i quali hanno potuto prendere

atto della grande novità. Sempre nel ’95, Massimo Francolini e Vincenzo Andreozzi hanno ulteriormente ampliato il gruppo. Nel giugno ’97, è stata organizzata una gara per non vedenti ad Asti, alla quale ha partecipato il gruppo di Firenze.

Anche ad Asti infatti, dal ’92, 2 non vedenti hanno cominciato a praticare il tiro con l’arco, pur usando una tecnica differente rispetto a quella utilizzata dal gruppo arceri di Firenze. Ritenendo il tiro con l’arco uno sport essenzialmente basato sulla mira, il gruppo di Asti utilizza come mirino un cavalletto da fotografo sul quale l’arciere appoggia la mano dell’arco, utilizzandolo pertanto come punto di riferimento per mirare verso il bersaglio. La dimostrazione tenutasi ad Asti si è pertanto rivelata, oltre ad una bella competizione, anche un’occasione per un interessante scambio di opinioni ed idee.

Nel marzo ’98, Stefano Bruni è purtroppo deceduto a causa di una malattia cerebrale; a lui è stato quindi dedicato il primo trofeo, intitolato, appunto, Trofeo Stefano Bruni, che si è svolto a Settignano il 17 maggio ed al quale hanno partecipato anche i 2 non vedenti di Asti.

Il 23 maggio ’99, si sono tenuti i primi campionati italiani sperimentali per non vedenti a Lastra a Signa e, finalmente, nel 2001 la FISD ha riconosciuto anche il tiro con l’arco come sport praticabile anche dai non vedenti.

Il 24 marzo 2001, hanno partecipato ai campionati italiani di tiro con l’arco per disabili di Ronzone (Trento) anche 4 non vedenti: 3 del gruppo di Firenze ed uno di quello di Asti. Ai campionati erano presenti circa 60 atleti tra cui anche il campione olimpico delle Paraolimpiadi di Sidney: Oscar De Pellegrin. Per i 4 arceri non vedenti, è stato un vero e proprio successo e tutti i presenti, dagli arbitri agli organizzatori, hanno molto apprezzato la novità complimentandosi con i 4 arceri e coi loro istruttori.

Insomma, ciò che nel ’92 sembrava solo utopia, è oggi una grande realtà e la partecipazione ai campionati di Ronzone rappresenta sicuramente per gli arceri fiorentini non un traguardo finale, ma, anzi, l’inizio di un nuovo ciclo che porterà il gruppo verso altri nuovi ed importantissimi traguardi da raggiungere.

 

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RACCONTI E POESIA

Arbor amica

Di Simona Convenga

 

Mi avvicino a te

come ad un albero sacro

alla tua scorza dura

mi lego in un abbraccio

infinito

come la notte

in cui dormimmo insieme

 

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RIFLESSIONI E CRITICHE

Effetto serra e globalizzazione: le ultime sfide dell'ambientalismo

Di Denis Hayes

 

Fin dall’origine dell’agri-coltura, l’Homo sapiens ha sempre modificato l’ambiente che lo ospita. Negli ultimi decenni, però, siamo diventati capaci di trasformare l’intero pianeta, diventando una vera e propria forza geofisica.

jane Lubchenco, ex presidente della prestigiosa Arnerican Association for the Advancement of Science, ha parlato molto chiaramente di questo nuovo fenomeno nel suo discorso di addio alla carica. Di fronte a una platea composta dai migliori scienziati della nazione, Lubchenco ha dichiarato:

Negli ultimi decenni l’umanità è diventata una nuova forza della natura. Stiamo modificando i sistemi fisici, chimici e biologici in modi nuovi, in tempi più rapidi e su spazi molto maggiori di quanto sia mai successo in passato.

Un avvertimento simile è stato espresso nel 1992 con un appello all’umanità firmato da 3.500 scienziati mondiali:

La nostra pesante interferenza con le complesse interrelazioni biologiche del pianeta, delle quali abbiamo una conoscenza solo molto superficiale e parziale, dovuta ad attività come la deforestazione, la distruzione di habitat e l’alterazione del clima, avrà conseguenze di enormi proporzioni, con la possibilità di imprevedibili e irreversibili collassi.

Non si tratta di slogan gridati da un gruppo di attivisti esaltati ma di frasi ponderate con attenzione da alcuni dei migliori scienziati del mondo. Mentre i notiziari continuano a concentrarsi principalmente su scandali a sfondo sessuale o sugli eventi sportivi e le varie vicende dei loro protagonisti, questi studiosi stanno cercando di portare l’at-tenzione pubblica sui pericoli dell’era attuale. Ecco alcuni fatti:

molti dei principali sistemi ecologici del pianeta versano in condizioni critiche perché li abbiamo abbattuti, pescati o coltivati pensando esclusivamente ad aumentare la loro produttività immediata. Le specie animali e vegetali stanno scomparendo al più rapido ritmo di estinzione degli ultirrii 65 milioni di anni. La popolazione umana è attualmente tre volte superiore rispetto a quella che la Terra è in grado di sostenere se ogni individuo aspira ad un tenore di vita simile, per esempio, a quello medio dei cittadini svedesi.*

E sebbene la Guerra Fredda sia finita, lo smantellamento delle armi che potrebbero causare un olocausto nucleare non è ancora, in gran parte, stato effettuato. Secondo alcuni analisti una guerra atomica è più probabile adesso che all’era di Breznev.

E abbiamo aperto due giganteschi buchi nella fascia di ozono stratosferico, aumentando l’e-sposizione di persone, piante e animali alle radiazioni solari nocive.

E abbiamo innescato un processo di progressivo e inarrestabile aumento delle temperature in tutto il pianeta. Le scelte che potrebbero arginare, almeno in parte, il riscaldamento globale vengono sistematicamente ostacolate dall’inerzia burocratica dei governi e dagli interessi economici di chi terne di essere danneggiato da un cambiamento.

Un accurato studio sulle capaci

tà globali di carico umano della Terra è stato sviluppato all’i-nizio del 1994 da David Pimentel, un professore di biologia della Comell University. La buona notizia, come la ha definita il professor Pimentel, è che se fossero globalmente applicate e utilizzate le tecnologie più efficienti e meno nocive, la Terra potrebbe sostenere permanentemente una popolazione di due miliardi di persone che seguono uno stile di vita simile a quello della classe media europea attuale. La cattiva notizia è che la popolazione mondiale ha superato i sei miliardi di persone (tre volte la capacità di carico) nell’ottobre 1999.

Inoltre, non esiste un quadro istituzionale che permette di affrontare la questione ambientale. Lo United Nations Environmental Programme (Unep) riceve scarsi finanziamenti e manca della regolamentazione necessaria per un rafforzamento del proprio ruolo. D’altro canto, la più potente agenzia internazionale, la World Trade Organization, si è dimostrata decisamente antiecologica negli scopi e nei mezzi.

Qualunque progresso sia stato fatto su un problema ambientale globale, come la messa al bando dei gas bucaozono, è stato grazie alla mobilitazione della pubblica opinione. L’Earth Day è un’occasione importante per il coinvolgimento attivo della cittadinanza. Il 22 di aprile in molti paesi si celebra questa festa dedicata alla salute ambientale del nostro pianeta, che grazie al lavoro dell’Earth Day Network è concentrata ogni anno su uno specifico problema. L’Earth Day del 2000 è stato dedicato al pericolo del riscaldamento globale e alla necessità di accelerare la transizione all’era solare, sensibilizzando l’opinione pubblica sulle fonti di energia rinnovabile, che rappresentano la migliore risposta al protocollo di Kyoto.

L’industria globale del carbonio e la maggior parte delle compagnie petrolifere e delle aziende di produzione energetica hanno cercato di confondere, manipolare o boicottare ogni tentativo teso a favorire la transizione al-l’energia rinnovabile, anche se è evidente che continuare a bruciare carburanti a base di carbonio provocherà, nel prossimo futuro, una vera catastrofe mondiale.

Il principale dovere della nostra epoca è dunque quello di limitare il rischio di disastri irreversibili e di indirizzare lo sviluppo umano verso scelte sane, diversificate e sostenibili. E’ precisamente questa missione ciò che rende il movimento ambientalista moderno qualcosa di importante e non, semplicemente uno dei tanti interessi particolari.

L’ambientalismo, che ha ottenuto molti successi a livello locale e nazionale, deve ora rivolgersi ai problemi globali che minacciano di vanificare tutti gli sforzi già fatti. Le fonti energetiche e i cambiamenti climatici costituiscono in questo senso la prima prova decisiva.

Denis Hayes è il direttore internazionale dell’rth Day Network (Edn) e autore del libro “The Official Earth Day Guide to Planet to Repair” (Island Press, Washington, 2000). L’Edn ha oltre 4.000 organizzazioni affiliate in 180 paesi. Per saperne di più sugli eventi dell’Eanth Day della propria zona e del proprio Paese, si può visitare il sito www.earthday.net o scrivere a Earth Day, 91 Marion St., SeattIe, WA, 981041441.

 

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Il profeta di Dio - Maometto -

Di Renato Bianco

 

Presentazione

 

Renato Bianco, nasce ai piedi del monte Bianco nell’ottobre 1930. Ancora fanciullo, trascorre alcuni anni presso i salesiani studiando lingue prima e recitazione poi. In seguito, stimolato dalla sua dolce metà, Irina, si laurea in lingua russa. Durante la sua vita, ha lavorato in molte parti    del mondo, dall’Africa all’URSS, al sud America al-l’Australia, svolgendo i lavori più umili: dal manovale al navigatore, all’impiegato d’albergo, all’interprete ecc. Tutto questo, nonostante l’enorme bagaglio culturale proveniente dalle molte lingue straniere da lui conosciute. Anche se tutto questo può sembrare incredibile, cio è dovuto semplicemente al fatto che Renato Bianco, non ha mai accettato compromessi che si opponessero alla sua coscienza, ma al contrario, si è sempre dedicato alla ricerca della verità. Fra le lingue da lui conosciute ricorderemo, oltre al già citato russo, il francese, l’inglese, il tedesco, lo spagnolo, lo svedese, l’ungherese, il latino, il greco antico e moderno, l’arabo, l’ebraico, il swaili, l’armeno, ed altre ancora.

Renato Bianco, oltre che un linguista, è uno stimato conferenziere, esoterista, studioso di lingue antiche, di religioni, e profondo conoscitore dei vari ordini esoterici esistenti nel mondo.

 

  Prima della seconda guerra mondiale leggevamo sui testi scolastici che “I musulmani adorano Allah”. Espressa in quei termini l’informazione era impregnata di furberia e non mancava di raggiungere lo scopo che l’autore si era prefisso.

Il popolo minuto di quell’epoca era ben lungi dall’essere in grado di identificare Allah con Dio; l’Italia proletaria riteneva pertanto che Allah fosse uno delle miriadi di idoli che venivano adorati in Africa.

C’era, è vero, l’insegnante che, al ginnasio, informava che Allah significa Dio, ma aggiungeva che “i musulmani adorano Dio, però non nella forma dovuta”. Raramente l’insegnante giungeva al punto di parlare del sacro Corano; se ciò avveniva, il discorso era press’a poco il seguente: “Il Corano è uno zibaldone; il suo valore teologico è nullo, non comunica alcuna rivelazione, in sostanza non è un testo che possa definirsi sacro. Molto raramente i musulmani si convertono al cristianesimo e sapete perché? Perché essi sono sensuali fino al-l’eccesso e non sopportano di vivere con una sola moglie: oltre alla moglie vogliono ad ogni costo avere almeno da una a tre concubine. Questa è la sola ragione per cui non accettano la religione cristiana; se il cristianesimo accettasse la poligamia, i musulmani si farebbero tutti cristiani”.

I musulmani venivano poi dipinti come sanguinari oltre ogni limite. Il loro profeta Maometto non era un profeta, ma un guerrafondaio la cui unica ambizione era quella di tagliare la testa a tutti i cristiani, e non cristiani, che non volevano farsi musul

mani. Questi bei discorsetti presentavano i musulmani come umanoidi ben più vicini a dei pazzi mangia bambini (bambini cristiani, naturalmente) che non ad esseri civili. Si aggiunga poi un fatto psicologico tutt’altro che trascurabile: i musulmani erano materialmente, finanziariamente, più poveri degli europei; come potevano le classi sociali meno abbienti, vale a dire il povero proletario ed il miserabile sottoproletario, avere la benché minima stima di gente più povera di loro? E’ ben raro che un essere umano materialmente povero sia in grado di non provare disprezzo per un essere umano che si trova in una situazione materiale più grama della sua.

Quanto alle classi sociali meno sfortunate dal punto di vista materiale, ritenevano che i musulmani si fossero macchiati della più nera delle ingiustizie quando, al tempo delle crociate, si erano permessi di difendersi dai crociati europei.

Giusto sarebbe stato da parte dei musulmani di sopportare “con cristiana rassegnazione” e passività totale le mazzolature dei crociati europei, perché questi stavano semplicemente compiendo il loro dovere: quello di liberare il Santo Sepolcro.

 

Non mancavano certo le persone dotte che sapevano molto bene che cosa è l’islamismo e chi era effettivamente Maometto; ma costoro costituivano un gruppo a parte che non poteva certo socializzare con i proletari, né con i plutocrati dal-l’ingegno non troppo brillante. Maometto, come tutti gli uomini nobili e spiritualmente giganteschi, era stato incompreso e calunniato dagli uomini mediocri, ma c’è di più: persino Dante Alighieri, che non conosceva il greco, ma era un egregio conoscitore della lingua araba e della cultura islamica, nella sua immortale Commedia aveva scaraventato Maometto giù all’in-ferno. Pochi decenni or sono, non pochi uomini, in possesso di titoli accademici, sostenevano, alcuni addirittura in buona fede, che Maometto era stato un genio del male.

Atteggiamo ora le nostre labbra ad un sorriso che sia alquanto simile a quello della Gioconda di Leonardo, perché non pare che vi sia altra cosa ragionevole da fare di fronte alle dichiarazioni di certi marpioni della politica ed agli “ingenui” commenti da parte dei sudditi e succubi di quegli stessi marpioni. L’essenza dell’islamismo è la UNITA’, ossia la dichiarazione dell’Unità di Dio. Ad una simile dichiarazione fa naturalmente seguito la domanda: “Ma la dichiarazione della Unità di Dio non era già stata formulata venti secoli prima dal faraone Amenhophis IV, chiamato Akhnaton? Non c’erano stati altri maestri e giganti spirituali che avevano detto la stessa cosa?”.

Sì, certo, ma nel ’600 d.C. si era giunti ad un momento in cui era finalmente cosa giusta e salutare inviare l’uomo adatto a combattere l’idolatria e ad evidenziare l’Unità di Dio con tutte le forze, onde far apparire tutto ciò che non è Dio come cosa secondaria, transitoria, contingente; solo Dio è necessario, tutto il resto non è necessario, che è quanto dire: tutto passa, eccetto la parola di Dio, essa sola non passa. Il sacro testo, definito “karim”, ossia nobile, sacro, inizia con una affermazione che suona così: “Rendo testimo

nianza che non vi è alcun dio all’infuori di Dio e che Maometto è il messaggero di Dio”.

Il termine “messaggero” traduce letteralmente la parola araba “rasul” che corrisponde a “messaggero, inviato, messo”. Mentre molti rendono il termine arabo con la parola “profeta”, noi siamo d’accordo con il grande filosofo, esoterista ed islamista Rene Guènon che traduce con il termine “legi-slatore”; Maometto è certamente colui che, inviato da Dio, parla in nome di Dio, invece di Dio, e trasmette agli uomini la legge di Dio.

Dall’affermazione dell’unità divina, affermazione che ha una portata letteralmente universale, cosmica, scaturisce inevitabilmente l’affermazione che “nell’esistenza non è nulla tranne Dio. Dio è, ed il nulla non è”; in altri termini abbiamo la coincidenza di Dio con il nulla, come più avanti avrebbero affermato parecchi Dottori della Chiesa.

Chiariamo il concetto: non si commetta l’errore sacrilego di associare qualcosa a Dio: idoli o simili. Ma neppure è concesso di associare a Dio qualcosa di “interiore”. E’ vero che il secondo errore non è palese al profano, ma è trasparente al-l’uomo di misticismo, al vero “fedele”. Il fedele, muslim, musulmano è colui che pratica effettivamente l’“islam”. Il termine “islam” significa letteralmente “sottomissione”; viene saggiamente tradotto anche con la parola “rassegnazione” e “dedizione”. Questo termine è apparentato con “saeam” che vuol dire “pace”, e ci reca quindi l’idea di sottomissione a Dio, quello che i cristiani chiamano “abbandono nelle mani di Dio”, o quello che i cinesi chiamano “il fare senza fare”, ossia “l’agire che non è agire”. Islam trasmette infine l’idea di riposo e distensione dopo il dovere diligentemente compiuto, dopo che uno, per dirla alla maniera dei cristiani, ha “servito il Signore in letizia”. Maometto, sopra di lui pace e benedizioni (queste sono le parole che il fedele fa immediatamente seguire al sacro nome del Profeta) dava al termine “islam” il significato di “sforzo verso una pace superiore”.

L’islamismo è cronologicamente l’ultima fra le grandi religioni, per cui non deve sorprendere il fatto ch’essa sia stata più chiarificatrice delle precedenti religioni. Oltre alla chiarezza possiede una praticità assolutamente superiore. Essa abbraccia simultaneamente “religione, Weltanschaung o visione del mondo, diritto”. Va fatto notare che il termine arabo HAQQ ha il duplice significato di “diritto”

e “dovere”; in altre parole per un musulmano l’espressione ormai ricorrente “i diritti degli uomini”, suona anche “i doveri degli uomini”. Il termine corrispondente latino “IVS” è inequivocabilmente connesso con il significato di “forza”, giacché, come si può notare, esso è l’anagramma di VIS (forza); il termine arabo, invece, è connesso al significato di verità (haqiqat); ma poiché la verità è indissolubilmente legata alla giustizia, il termine haqq, diritto, ha il senso di “verum et justùm”.

Ci viene tramandato che Maometto si recasse a meditare sul monte Hira. Non è detto che ci andasse fisicamente, perché la parola monte, la quale è connessa misticamente alla parola “toro” che a sua volta simboleggia l’iniziato, ben sovente sta a designare l’iniziazione. Comunque sia, da quel grande iniziato che egli dimostrò al mondo di essere, divideva necessariamente il suo tempo fra una intensissima attivita politico-religiosa e la meditazione, non dissimilmente da quell’altro grande iniziato, grande campione del-l’attività politico-religiosa e della meditazione che sarà, alcuni secoli più tardi, San Bernardo di Chiaravalle.

Il frutto più cospicuo e succoso delle sue meditazioni fu la scoperta della sua autentica vocazione, della sua altissima missione. Quest’ultima, l’intima voce del suo cuore glielo disse con quelle parole della coscienza che non si possono comunicare, avrebbe consistito nel gridare agli uomini la VERITA’

SMARRITA. Le sue meditazioni gli comunicarono la convinzione incrollabile che gli esseri umani avessero necessariamente ricevuto dall’alto, in una epoca oramai remota, la verità. Era perfettamente assurdo che la Verità Unica non si fosse un tempo rivelata agli esseri umani, senza distinzione di razza e cultura. Ma che cosa era poi avvenuto perché gli uomini fossero ora così lungi dalla verità? Evidentemente l’avevano smarrita o dimenticata, oppure l’a-vevano ammantellata o coperta di errori, soprattutto a causa della loro superbia, pigrizia mentale, pigrizia nell’espletare i doveri di pietà, in una parola: a causa della loro empietà. Maometto sapeva di non sbagliarsi, perché la sollecitazione a compiere quella missione non gli proveniva dall’intelligenza materiale, ma gli giungeva inespri

mibilmente, dal Dio del suo cuore. Non si trattava di fondare una religione, secondo lui, ma di fare nuovamente dono, agli uomini, di quella verità di cui essi avevano oramai da tempo immemorabile perso il sapore.

Certo Maometto sapeva benissimo che la Verità non si può comunicare, ma si rese conto di dovere, mediante opportune ispirate riforme, porre gli uomini nella condizione di riformare la loro condotta, in modo da far sentire loro la necessità di incamminarsi sul giusto sentiero, la “dritta via”, allo scopo di poter riassaporare la verità smarrita. In effetti era impensabile poter far capire agli uomini la opportunità di incamminarsi lungo il retto sentiero senza prima effettuare riforme adatte a iniziare i lavori di rimozione degli errori di cui gli uomini avevano infarcito la verità.

Egli comprese che la molteplicità degli esseri, delle creature, il numero infinito degli esseri manifestati è cosa ESSENZIALMENTE ILLUSORIA. Che cosa sono tutti i livelli o gradi del-l’esistenza, degli esseri esistenti? Sono quanto segue: l’Essere Supremo compie delle determinazioni successive, vale a dire, il Principio Supremo che è essenzialmente NON DETERMINATO effettua determinazioni successive sempre più condizionate. La Manifestazione Universale, determinata dal PRINCIPIO NON DETERMINATO, per quanto illusoria non va confusa con il nulla, il niente, ma va vista come REALE e di conseguenza relativa, illusoria. Per l’Islam l’uomo è la sintesi e totalizzazione degli stati del-l’essere, è il fine ultimo dei gradi che lo precedono, in seguito a tutte le determinazioni scaturite dal Principio Supremo.

Il Profeta nacque nella città della Mecca tra il ’567 ed il ’572 d.C., in seno alla tribù, ricca per quei tempi, dei Coreisciti (Quraish). Orfano a sei anni, a venticinque anni conobbe la ricca vedova Khadigia e pochi anni più tardi la sposò.

 

Durante i suoi frequenti viaggi (non dimentichiamo che la parola “arabo” significa “viaggia-tore”) avrebbe conosciuto monaci cristiani che lo avrebbero influenzato, o quanto meno impressionato. Sarebbe per lo meno strano che non avesse ascoltato i predicatori cristiani, i nestoriani e gli gnostici, come pure gli ebrei. Alla Mecca c’erano pochi cristiani, per giunta poveri, mentre gli ebrei erano numerosi nella città di Yathrib che più tardi si chiame

rà Medina.

La religione preislamica era politeistica e rassomigliava al culto popolare che si trovava in Palestina nel VI secolo a.C. Alla Mecca il personaggio equivalente al sacerdote era allora, sempre in tempi preislamici, il KAHIN che suona come l’e-braico COHEN (sacerdote) ma voleva invece dire “veggente, indovino”.

La preparazione di Maometto alla sua missione profetica è costituita da esperienze estatiche, le visioni auditive che avrà saranno considerate dal Corano di origine divina. Un giorno, mentre si trovava nella grotta dove compiva “i suoi annuali esercizi spirituali”, gli si presentò l’an-gelo Gabriele con un libro in mano e gli ordinò di predicare in nome del Signore. Lasciata la caverna ed arrivato al centro della montagna, udì una voce dal cielo che gli diceva: “O Maometto tu sei l’apostolo di Dio e io sono Gabriele”. Questa esperienza ricorda da vicino le esperienze mistiche degli Sciamani e di molti mistici e profeti. Nel ’612 incominciò a comunicare in pubblico le sue visioni e diede inizio al suo apostolato.

Non era lui il primo a parlare di ALLAH, cioè di Dio, Dio unico; c’erano già dei mistici, specie di vati, chiamati HANIF, considerati cercatori di Dio. Questi HANIF volevano da un lato far rifulgere Allah al quale si rivolgeva la loro intima fede, ma il compito era tutt’altro che facile, perché alla Mecca gli dei, anche se morti, erano ancora i dominatori della situazione. Bandire gli dei voleva dire mettere a repentaglio la prosperità di tutti i cittadini.

Al centro della ricchezza della

città c’era il tempio, con l’au-mento del numero degli dei c’era l’aumento della ricchezza. Le cerimonie religiose erano ormai prive di contenuto; i mercanti, quando non parlavano di commercio, parlavano di religione, nelle piazze, nei bazar e nei mercati c’erano predicatori che sostenevano la loro confessione, litigavano fra di loro. Si può insomma notare una chiara analogia fra le sette religiose di allora ed i partiti politici di oggigiorno.

In questo clima Maometto partì focalizzando la predicazione sulla potenza e misericordia di Dio. Tema della sua predicazione era pure l’imminenza del giudizio universale e della resurrezione. Dietro al ciclo sprofondato apparirà il trono di Dio, gli uomini buoni saranno radunati alla destra del trono, i cattivi alla sinistra e si darà inizio al giudizio, in base a ciò che sarà scritto nel LIBRO DELLE AZIONI (degli uomini). Testimoni saranno i profeti, ed i miscredenti saranno condannati ai tormenti dell’inferno. I buoni invece saranno accolti in paradiso, un paradiso di ordine piuttosto materiale: frutti splendidi, fanciulle paradisiache, ogni sorta di cibo prelibato.

Per un po’ il Profeta non trovò contrasti degni di considerazione: parlare bene di Allah non era un fatto nuovo; l’adorazione per Allah aiutava a scongiurare il pericolo della carestia.

La sua asserzione che l’ISLAM fosse la vera religione, ch’egli doveva predicare per ordine di Dio, era accettabilissima. Ma quando egli si permise di maledire gli dei, si manifestò immediatamente l’opposizione: “In verità vi dico, gli dei che voi venerate sono soltanto nomi che voi ed i vostri padri avete dato loro. Dio non ha concesso loro alcun potere”.

Gli alti papaveri dei Coreisciti videro in questa frase un tremendo pericolo, una chiara minaccia ai loro privilegi e potere. Inoltre si resero conto che, accettando Maometto quale inviato di Dio, implicitamente lo accettavano come loro capo politico supremo. Teniamo ora presente che Maometto in gioventù

era stato piuttosto povero (orfano, aveva iniziato a lavorare come commesso viaggiatore alle dipendenze della ditta Khadijia & CO. ed aveva poi sposato la padrona della ditta). Aveva insomma fatto carriera con una mesaillance. Era stimatissimo perché onestissimo, affidabile, tranquillo; ma tutto a un tratto, di punto in bianco, da mercante agiato e quotato si fa mistico, non solo, ma addirittura “messo di Dio”. Un uomo che fa un salto simile viene naturalmente ammonito, redarguito dai responsabili della camera di commercio. Ciò è il minimo che gli possa capitare. Se poi viene considerato psicopatico ed internato in un asilo o casa di salute per maniaci, non c’è proprio da stupirsi. Se questo predicatore avesse fatto qualche miracolo, ancora ancora lo si poteva prendere un po’ in considerazione; ma il suo comportamento era quello d’un uomo comune, il suo atteggiamento era, almeno per quei tempi, estremamente democratico.

Non si tardò a dire che si inventava tutto, oppure era pazzo, e si passò quindi alle beffe, allo scherno. Da notare poi che il Profeta era schivo della pubblicità e non trovava piacevole dover predicare tra i mercanti suoi colleghi ed in mezzo ad una folla di quei tempi che, come tutte le folle, non poteva non esser folle.

Inoltre egli sosteneva che la sua parola non era sua, ma gli veniva da Dio, e veniva perciò messo a paragone con Gesù o Mosè; ci rimetteva, perché non si dimostrava taumaturgo. Gli dicevano infatti: “Non crederemo in te finché non avrai fatto zampillare una sorgente dalla terra, o finché non possederai un giardino di palmizi e di vigne dove tu farai sgorgare i ruscelli in abbondanza, o finché non ti leverai al cielo”.

Poiché si esigeva da parte di tutti o quasi che egli si comportasse in modo analogo a Gesù, Mosé, Daniele ed altri, i quali avevano ricevuto dalle mani di Dio il sacro testo contenente la rivelazione divina, egli si difendeva e si giustificava come meglio poteva. Si rendeva perfettamente conto che, nella sua qualità di messo di Dio, doveva portare una rivelazione, e la tradizione ci dice che fra l’anno ’617 e ’619 ascese al cielo. Questo viaggio estatico gli avrebbe permesso di contemplare inferno, paradiso ed il trono di Allah. Un’altra tradizione narra che sarebbe stato portato in cielo dall’angelo Gabriele fino a Dio, al cospetto del quale doveva apprendere di esser stato scelto profeta tra i profeti, il più

grande di tutti. Dio gli avrebbe affidato il Corano.

Il Corano è la lettura per eccellenza, lettura sacra, è la rivelazione, significa pure “reci-tazione” o “lettura ad alta voce”. Il Corano è scritto con uno spirito che è prettamente arabo. Ciò si accorda con le intenzioni del profeta: esercitare la sua

missione di apostolo di Dio presso i popoli di stampo arabo, come i profeti che l’avevano preceduto avevano fatto con gli altri popoli. A quel tempo non si parlava di popolo arabo o stati arabi, ma tutte le genti di stampo arabo cominciavano ad avere la vaga sensazione di essere in qualche modo apparentati.

Va fatto notare che fino a quel momento gli Ebrei possedevano il loro libro, i cristiani anche loro avevano il loro libro, mentre gli arabi, malgrado possedessero una lingua impareggiabilmente attrezzata per la poesia, la letteratura, non avevano ancora il LORO LIBRO. A questo punto potremmo dire che quel sommo traduttore che è l’angelo Gabriele, traduce in lingua araba un libro celeste e lo affida al messo divino. Gabriele giunge proprio a dire che la recitazione araba è tratta dal libro originale che è in cielo ed è eccelso e pieno di saggezza.

Con l’arrivo del Corano, i sacri testi sono ora tre (non c’è il due senza il tre). Saggiamente Maometto vide nel Corano, terzo libro, il terzo aspetto della Parola di Dio. La parola di Dio è una ed è quindi identica nei tre libri; la medesima sostanza viene comunicata con una lingua diversa e in una forma differente.

Il messaggio coranico non veniva a demolire i due messaggi precedenti, ma anzi veniva a rinforzarli, a rinvigorirli. Non dimentichiamoci che il Vangelo era a noi giunto per evidenziare la bontà del testo sacro ebraico. Chi lo dice? Ma lo dice Gesù stesso con le parole seguenti: “Non crediate che io sia per abrogare la legge o i Profeti, non sono venuto per abolirla ma per completarla”.

E’ interessante notare che Maometto sostiene che Gesù e Maria non sono di natura divina per il semplice fatto che sono stati creati. Gli Gnostici avevano sempre negato la crocefissione e morte di Gesù: altrettanto fa Maometto. I Nestoriani erano convinti che la morte renda l’anima perfettamente incosciente: altrettanto fa Maometto. Inoltre pure lui, come i Nestoriani, sostiene che i martiri della fede vengono immediatamente condotti in Paradiso.

Occorre dire, a quelli che si domandano perché gli arabi avessero bisogno del Corano e non potessero farsi cristiani o ebrei (tanto il messaggio ebraico che quello cristiano contengono la stessa sostanza): “Quasi certamente avevano bisogno di una vita religiosa di forma ARABA, la quale rinvigorisse la loro nazione, la loro cultura araba, la loro lingua araba”. Sarebbe stato arduo e politicamente poco positivo costringere le genti di stampo arabo a fondersi coi cristiani o altri professanti una religione che sorpassa il concetto di nazionalità.

(Continua).

 

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SPAZIO DONNA

Ripensando all'amore...di donna

Di Veronica Franco

 

Premettendo anche questa volta che qualsiasi cosa scriverò, si riferisce a vere e, talvolta, crude realtà del mondo di chi non vede; in questo caso particolare, di noi, donne che “vestiamo” d’ombre e per continuare a dire ciò che nessuno dice.

“Chissà a quante persone che fanno parte della nostra società, quella in cui ci confrontiamo tutti i giorni, è capitato di domandarsi come si comporta ognuna di noi nella propria intimità, senza accennare un sorriso...

Curiosità, commiserazione forse, o il rispetto e dignitoso pudore limitano chiunque osi soltanto cercare di affrontare l’argomento?

E’ una fortuna per chi ha avuto accanto a sé persone che non l’hanno considerata troppo “diversa” e senta e tratti l’amore come una parte integrante della vita con tutti i suoi strumenti, che vanno dalla confidenza di un genitore che cresce un figlio privo della vista, senza ombra di imbarazzo, consapevole quindi che se lo vorrà amato e inserito, speranzoso di una vita quasi normale per lui, dovrà affrontare con coraggio quanto si presenterà nell’adolescenza prima e, se il rapporto riesce, da adulti poi. Chi meglio di una sorella o di una mamma può illuminare il proprio congiunto sui segreti delle malizie di un corteggiamento o dei rischi che un rapporto fisico può comportare?

Certo mi è capitato di sentire che sia un uomo che una donna, hanno trovato più facile crescere da soli o con l’aiuto di un amico e, sono convinta che i familiari di questo ragazzo o ragazza che fosse non hanno fallito per mancanza d’amore, ma probabilmente perché avevano troppa paura di non riuscire a comunicare quanto “loro”, che amano così tanto, non potevano vedere. Cosa avrebbero risposto a un loro: “Mi fai vedere mamma come si abbraccia un ragazzo...” oppure “non ho capìto babbo, mi mostri come si fa a corteggiare una ragazza che mi piace e come posso capire se mi prende in giro”.

E’ un compito questo che non vorrebbe avere nessuno e in nessun periodo della propria esistenza specialmente in quei casi dove le tappe sono obbligate dal ciclo della vita perché un bambino diventa ragazzo e poi uomo come un altro normodotato e una ragazza diventa “si-gnorina” anche se non vede.

Il ruolo della famiglia in queste circostanze si rivela, molto spesso, limitato ad esempi verbali che non hanno riscontro nella mente se la ragazza o la giovane donna non ha mai potuto vedere e, se chi decide di “informarla”, è una femmina a lei vicina, deve cercare sicuramente uno stato di serena disinvoltura nel farle capire che la sessualità non si insegna ma che, probabilmente, le riuscirà naturale quando si troverà tra le braccia dell’uomo che amerà. Dovrà inoltre, ancora più complesso l’argomento, spiegarle che il sentimento non ha niente a che fare con i desidèri del proprio corpo, ma che, per il suo benessere interiore e morale, dovrebbero essere correlati. Poi il momento della fatidica domanda:

“Quando mi sposerò come farò? E lui com’è?”

Naturalmente questa è quanto si apetta da una figlia, ma se siamo donne già sposate al momento che ci cala il sipario sulla scena della vita?

Questa è materia personale e quindi parlarne mi rende abbastanza sicura, anche se ritengo che ognuna di noi, è ben diversa dall’altra.

Un matrimonio d’amore, un figlio perché voluto, la realizzazione dei nostri sogni...ciò che si fa in due. Poi in modo sempre inaspettato, non vediamo più e subito siamo altre persone. Dal canto mio volevo lasciare chi mi stava accanto perché ritenevo di non essere più in grado neanche di dare un bacio. E l’esistenza, si trasforma in un labirinto privo di calore.

L’ardore di un unione ben vissuta, scompare lascindo il posto alla trascuratezza del proprio corpo, non brillano più i capelli, non esiste più la dolce e maliziosa intesa di un sorriso accattivante, i gesti affettuosi sono imbrigliati nell’istinto perché in me c’è soltanto oscurità!

Ecco farsi avanti la sconosciuta inibizione, la timidezza inappropriata alla coppia che eravamo “ieri”, -siamo gli stessi di sempre- pensi ma non hai più il piacere di amare.

Al mio più caro ed unico “amico del cuore”, anche lui in parte nel nostro mondo, è stata fatta una domanda paradossale, ma che mi ha dato lo spunto per “richiaccherare” delle nostre verità; qualcuno di sua conoscenza, forse un collega di lavoro, un pomeriggio gli pose questa domanda: “Come farà un cieco ad eccitarsi?”. Ora a venti anni e più dalla mia rinascita, conduco una vita sessualmente normale e vorrei tanto poter dissipare in ogni “normodotato” cosiddetto, le lacune dell’i-gnoranza che ci riguardano, ma pur avendone la possibilità sono sicura che davanti ad una persona che ponesse una domanda simile, non potrei altro che provare un senso di limitatezza alla sua intelligenza e mi piace salutare chiunque legga tutto ciò, dicendo che sono più che convinta che non siamo come gli altri, ma che se amiamo, oltre che con il corpo lo facciamo sicuramente anche con lo specchio di un’anima che non riflette soltanto “miraggi” e bellezze che possono sfiorire con gli anni.

 

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