Giovani del 2000

Informazione per i giovani del III millennio    numero 11    Dicembre 2003 

 

Direttore  Prof. Carlo Monti

Vice Direttore  Maurizio Martini

Redattori  Alessio Lenzi, Mario Lorenzini

 

Redazione

Via Francesco Ferrucci 15

51100 - PISTOIA

Tel.  057322016

e-mail: redazione@gio2000.it

Sito internet: www.gio2000.it

Tipologia: notiziario

 

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4197 del 26.06.2000

 

Gli articoli contenuti nel  periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente   quello del singolo articolista.

 

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Riflessioni e critiche

 

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Sport

 

 

In questo numero:

 

Editoriale - Di Mario Lorenzini

COMUNICATI

Mailing list GiovaniUIC, una lista per crescere - Di Massimiliano Matteoni

ESOTERISMO, RELIGIONI E DINTORNI

Il metodo di coltivazione pacifica secondo il Cristianesimo originario. La via d'uscita dalla catastrofe ambientale - Di Vita Universale

 

La faccia marziana - Di Marco Marchetti

 

Com'è difficile vivere la propria fede - Di Elena Aldrighetti

 

Vergogna!!! - Di Aries Dominghini

HOBBY E TEMPO LIBERO

"La Querciola" di Quarrata (PT) - Di Patrizia Cartei

 

Il pozzo - Di Angelo Ricci

 

Io, Harrer ed il Tibet - Di Nicola Bigliazzi

MUSICA

Ladra di vento - Di Vainer Broccoli

RACCONTI E POESIA

Ruvido saio (parte seconda) - Di Simona Convenga

RIFLESSIONI E CRITICHE

La popolazione dotata di microchip - Di David Icke

 

Aspartame...dolce veleno delle multinazionali - Dal sito sentistorie.it

 

Vili, vigliacchi e inutili - Di Maurizio Martini

SPAZIO DONNA

I "colori" della festa - Di Veronica Franco

SPORT

Piccole riflessioni fatte da una tifosa del ciclismo - Di Maria Garcia

 

 

Editoriale

 

Di Mario Lorenzini

 

Cari lettori, come promesso, da questo numero sarà possibile prelevare dal nostro sito i “vecchi” numeri, fino al numero 5. Fra poco anche il sito sarà modificato, concepito in maniera da essere più fruibile.

 

Ma, volgerei insieme voi lo sguardo, come faccio di tanto in tanto, sul momento attuale. Le auto-bomba e kamikaze a cui si riferisce anche un nostro articolista, le epidemie influenzali che mettono a dura prova  gli specialisti fisiologi, e , dulcis in fundo, come nostro caro amico da un po’ di tempo, il carovita. Sono di questi giorni i feroci scioperi dei ferrotramvieri milanesi, che (bustapaga mostrata in tv) guadagno meno di 1.000 EURO. Ma sapete quanto costano gli affitti, specie a Milano? Qui i soldi non bastano proprio più, anche non includendo fra le nostre spese quel che viene definito come superfluo. Na anche della dignità dell’essere umano, di una persona che dovrebbe vivere in un paese civilie, ma con una ricchezza mal distribuita e sperperata. Ecco che in questi frangenti, i negozi propongono acquisti rateizzati fino allo spasimo, le finanziarie imperversano; qualcuno si dà da fare arrangiandosi come può per guadagnare qualcosa in più, lavoretti dal colore poco candido, o se ne ha le capacità, lo spirito (e molto vento a favore) lascia il proprio lavoro precario o insufficiente per cercare in un’attvità in proprio la propria fortuna. Ma in nostro aiuto ci sono anche promotori finanziari di tutte le risme, che propongono investimenti “calibrati per tutte le tasche” (anche quelle vuote?), e poi, non dobbiamo dimenticarlo, fra un po’ andremo anche in pensione (quando???), e allora perché non integrarla con un ulteriore prelievo dal nostro stipendio già smagrito? Come si può ben vedere, a tutto c’è rimedio…

 

Beh, spero di avervi fatto almeno sorridere, e di fare altrettanto consigliandovi io stesso un buon, anzi direi ottimo e originale investimento, tra l’altro attualissimo.

Ho sentito varie volte amici e colleghi progettare scherzo-samente una rapina in banca.  Il sogno di tanti, il sogno di tutti, infondo. Ma poi c’è l’onesta, i rischi e non se ne fa niente.

Sulla stessa tipologia diciamo, di “investimento”, ma su un piano casalingo, si potrebbe organizzare un colpo, in casa di chiunque, di ogni persona in questo periodo, e rubare...l’albero di Natale!

Credo che, finto o vero che sia, poco o tanto carico di addobbi, come palline colorate, stelle comete blu notte e campane argentee, sia davvero la spesa più esosa al momento, l’esempio di come il mercato speculi su un bene che dovrebbe essere un simbolo di cui la collettività non dovrebbe poter fare a meno, ma che anch’esso, non è più alla portata di tutti noi. Se il potere di acquisto cala tanto e non possiamo comperarci l’ultimo cellulare in commercio con fotocamera incorporata poco male, ma l’albero di Natale dovrebbe costare pochissimo. Forse si dovrebbe applicare il controllo dei prezzi anche qui, non credete?

Buon Natale.

 

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COMUNICATI

Mailing list GiovaniUIC, una lista per crescere

Di Massimiliano Matteoni

 

Lo scorso aprile, da un'idea del comitato giovani della regione toscana, è stata creata una mailing list su internet denominata GiovaniUIC, con lo scopo di raggruppare tutti i giovani della Toscana per potersi

scambiare idee e esperienze tutti assieme. Abbiamo deciso di aprire la lista anche a chi giovane non è più, almeno dal punto di vista anagrafico, ma lo è nello spirito e nella voglia di

confrontarsi con gli altri. La lista è gestita, dal punto di vista tecnico, dal sottoscritto e da

Alessio Lenzi, e conta quasi 25 iscritti. Per iscriversi al nostro gruppo potete mandare una e-mail con oggetto e corpo del Messaggio vuoti all'indirizzo e-mail giovaniuic-subscribe@yahoogroups.com,

e poi seguire le istruzioni che verranno inviate in e-mail.

Per cancellarsi dalla lista inviare un'e-mail a giovaniuic-unsubscribe@yahoogroups.com

Una volta completata la fase d'iscrizione alla lista, per inviare i messaggi agli altri iscritti, è possibile mandare una e-mail a: giovaniuic@yahoogroups.com.

Per problemi o domande di qualunque tipo, riguardanti il gruppo GiovaniUIC scrivere a:

giovaniuic-owner@yahoogroups.com o a gruppogiovani@gio2000.it

 

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ESOTERISMO, RELIGIONI E DINTORNI

Il metodo di coltivazione pacifica secondo il Cristianesimo originario. La via d'uscita dalla catastrofe ambientale

Di Vita Universale

 

Negli ultimi 50 anni l´agricoltura praticata da piccole aziende si è trasformata in un´industria agraria che usa violenza. Essa viene esercitata non solo contro miliardi di bovini, maiali e polli che vengono ingrassati nelle condizioni piú barbare negli allevamenti intensivi, che vengono torturati per la durata di lunghissimi viaggi e macellati, nonostante le assordanti grida di paura delle povere vittime, ma la stessa violenza viene esercitata contro la natura ed il paesaggio.

Tutto ció che ostacola lo sfruttamento industriale della natura su larga scala cade vittima del gigante chimico che schiaccia ogni cosa: sia i piccolissimi esseri viventi che si trovano nel terreno, sia le erbe che crescono nei campi.

Solo pochi si sono resi conto che questo comportamento rivolto contro la natura non poteva che fallire. I terreni dei campi sono stati sfruttati al massimo, le monocolture hanno distrutto il paesaggio, le nuvole di ammoniaca che si sono formate a seguito delle ondate di liquame riversate nei campi si sono trasformate in piogge acide.

Come corrente contraria è nata l´”agricoltura biologica” che prevede un allevamento degli animali “in condizioni conformi alla loro specie” e cerca di coltivare prodotti “ecologici”.

Finché sono in vita, gli animali vengono trattati un po’ meglio: possono stare di piú all´aperto e non possono essere allevati con i cadaveri dei loro consimili. Anche i campi hanno potuto trarre un respiro di sollievo, perché sono stati loro risparmiati i prodotti chimici tossici. Ma il letame ed il liquame sono un peso anche su queste coltivazioni. E non solo: fino a qualche tempo fa, anche nell´”agricoltura biologica” venivano usate farine di sangue e di ossa come fertilizzanti.

Ora questi compromessi si vendicano: nell´epoca della BSE gli animali acquistati di dubbia provenienza, il letame ed il liquame sparsi nei campi e le farine di sangue usate come concimi costituiscono fattori di incertezza che nemmeno marchi di qualità come “biologico” o “biodinamico” possono nascondere.

Circa 20 anni fa, in Germania, nella regione dello Spessart, si è cominciata a praticare un´agricoltura che non prevede l´allevamento di animali, né la concimazione con letame e liquame.

La meta concreta che ci si è posti è quella di produrre generi alimentari sani e di qualità eccellente in completa sintonia con la vita della natura: per questo scopo non deve morire alcun animale, né quelli che si trovano nelle stalle o nei pascoli, né gli esseri piccolissimi che vivono nel terreno (forse non tutti sanno che si trova una quantità maggiore di micro-organismi in un pugno di terra sana che uomini sull´intero pianeta); a tal scopo non vengono utilizzati concimi chimici, pesticidi, letame e liquame, ma si concima esclusivamente con sostanze naturali e minerali.

Ma non solo: così come l´uomo necessita di una pausa per riposarsi dopo il lavoro, allo stesso modo il terreno, che è paragonabile ad un grande organismo vivente ha bisogno di riprendersi dopo una fase attiva di produzione: per questo i campi vengono coltivati secondo l´antichissimo principio di rotazione triennale con maggese; dopo due anni di attività il terreno ha la possibilità di rimanere a riposo per un anno intero e di attingere nuova forza. Durante quest´anno crescono diversi tipi di erbe che ne rigenerano la struttura in modo naturale e divengono inoltre attivi miliardi di piccolissimi esseri viventi che “digeriscono” legno, foglie  e paglia, trasformandoli in humus nutriente e che rendono così il terreno sano e fertile.

Quali sono i principi che hanno ispirato tutto ció?

Tutto è energia, si tratti della pianta, dell´animale, così come anche del contenuto dei nostri pensieri e sentimenti. Ad ogni aspetto della dimensione fisica corrisponde un livello di coscienza, o se vogliamo, di vibrazione energetica, che a sua volta corrisponde ad un livello spirituale: lo Spirito cosmico, dal quale tutto è scaturito, compenetra ogni atomo, ogni molecola, ogni pietra ed ogni minerale, ogni pianta ed ogni animale e, in questa consapevolezza, è possibile collegarsi interiormente con i campi, con i frutti che stanno crescendo, con il terreno, che contiene miliardi di piccolissimi esseri viventi, e con gli elementi, ossia il sole e la pioggia, il caldo e il freddo, il vento.

In pratica è possibile stabilire con ogni cosa una comunicazione positiva e poiché nessuna energia va perduta, come è da tempo noto nella fisica, di questo ne beneficiano i frutti, i cereali, che sono piú gustosi e saporiti, e  naturalmente il raccolto, che è piú abbondante.

L´armonia con la natura e con gli animali presuppone naturalmente anche l´armonia con i nostri simili: i criteri su cui, come cristiani delle origini, orientiamo il nostro operato sono i Dieci Comandamenti ed il Discorso della Montagna di Gesù di Nazareth, che non riteniamo un´utopia, come affermano invece le eminenze ecclesiastiche, ma piuttosto regole di vita pratiche che è possibile realizzare nella vita quotidiana, senza bisogno di riti e dogmi ecclesiastici, senza gerarchie e senza pretese di potere.

 

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La faccia marziana

Di Marco Marchetti

 

Alla fine di agosto 1993 i mass media annunciarono con grande risalto che la sonda spaziale americana Mars Observer, giunta proprio in quei giorni nei pressi di Marte, aveva improvvisamente e inspiegabilmente interrotto i contatti con la propria base sulla Terra (Pasadena, California). Ogni tentativo di ripristinare la comunicazione si era rivelato inutile; la sonda doveva considerarsi definitivamente perduta. Mars Observer era costato 980 milioni di dollari (circa 1600 miliardi di lire) ed avrebbe dovuto mappare la superficie marziana, grazie ad

apparecchiature sofisticate, capaci di rilevare fino ad un metro e mezzo di grandezza. Tutto ciò in preparazione dello sbarco umano sul pianeta previsto entro il 2020. Gli esperti della NASA dichiararono di non capacitarsi della improvvisa interruzione di contatto. Qualcuno parlò di guasto di un transistor di bordo, altri di esplosione, altri ancora di collisione con un corpo siderale (meteorite). Ma il fatto che fece più scalpore fu la presa di posizione di alcuni autorevoli studiosi di Marte quali per esempio: Mark Carlotto (specialista in elaborazioni fotografiche), Tom Van Flandem (astronomo della Yale University), David Webb (membro della commissione spaziale presidenziale), Richard Hoagland (Direttore del Mars Mission, associazione di scienziati indipendenti). Questi ed altri studiosi accusarono pubblicamente la NASA di aver sabotato la missione di proposito, o di far finta che la missione fosse finita, allo scopo di nascondere al grande pubblico quello che la sonda avrebbe potuto rilevare sulla superficie del pianeta rosso. I segni delle vestigia di un'antica civiltà marziana, già individuati

 

nel 1976 dalle sonde Viking, e cioè un'enorme faccia o sfinge scolpita nella roccia, ed alcune piramidi. Nonostante la NASA avesse a suo tempo liquidato quei reperti come banali giochi di luci e ombra, i predetti studiosi erano invece arrivati alla conclusione, sulla base di accurate analisi e simulazioni computerizzate, che i reperti stessi non fossero di origine naturale, bensì artificiale. Se l'Observer avesse confermato ciò che da anni sosteniamo - ha detto Mark Carlotto - e cioè che si tratta di monumenti artificiali, la reazione dell'opinione pubblica avrebbe potuto risultare imprevedibile. Ed è proprio questo che teme la NASA. 

Quando la sonda Viking1 sorvolò in lungo e in largo il pianeta rosso nel 1976, riprese l'immagine di una roccia che raffigurava un volto umano visto frontalmente. Tale misura 2.5 km di lunghezza, 2 km di larghezza ed è alta 400 metri. La foto venne scattata il 25 Luglio 1976 nella regione di Cydonia Mensae, nella parte settentrionale di Marte. La NASA rivelò l'immagine definendola una "insolita struttura a forma di faccia" e dichiarò di ritenerla frutto di un'illusione ottica. Tuttavia, i primi esami computerizzati dell'immagine, effettuati nel 1980,

permisero di evidenziare la probabile struttura dell'orbita relativa all'occhio visibile oltre alla presenza della pupilla, della linea dei capelli, del mento nonché dello zigomo destro. Di fronte all'incalzare degli eventi la NASA pensò di contrattaccare e fu lo stesso direttore della missione Viking, il dottor Gerald Soffen, che ebbe a dichiarare come il successivo passaggio al di sopra di Cydonia, avvenuto "poche ore dopo non aveva rivelato nulla". Pertanto la faccia era una illusione.

Alcuni ricercatori, fra cui gli italoamericani Vincent Di Pietro e Gregor Molenaar, controllarono quelle gravi asserzioni appurando che l'area in questione era stata sorvolata per la seconda volta dallo stesso Viking non poche ore, bensì trentacinque giorni dopo il primo passaggio. Si era dunque in presenza di una seconda fotografia, nella quale si ripresentava l'immagine della stessa faccia con gli stessi particolari.

Risultavano presenti anche tutte le strutture di contorno, prime fra le quali le maestose piramidi. La più alta di queste raggiungeva i 1600 metri. L'esistenza di due fotografie rendeva ora difficile l'opera demolitrice della NASA. Tra l'altro, l'esistenza di due immagini, riferite allo stesso oggetto, ripreso sotto differenti condizioni di

luce, dava la possibilità di realizzare un modello tridimensionale computerizzato. Inizialmente

gli esperimenti vennero condotti dal dottor Mark Carlotto, di origine veneta, il quale dichiarò

che l'oggettività delle immagini in questione risultava confermata "in modo scientificamente ineccepibile da una rigorosa analisi computerizzata". Nonostante l'inutile tentativo di negare l'attendibilità delle riprese fotografiche, la NASA rilanciò la stessa tesi in occasione del fallimento della missione Mars Observer del 1993, mostrando due foto della stessa area nella seconda delle quali l'immagine in causa non era più visibile. Quanto esposto fin qui ci consente di ricavare i seguenti dati di fatto:

a) Dall'epoca dei Viking in poi, vale a dire dal 1976, tutte le missioni per Marte sono fallite.

b) I fallimenti sono stati ufficialmente imputati a guasti, errori umani o collisioni con meteoriti.

c) Dopo i Viking, la NASA ha atteso ben 16 anni prima di inviare una nuova sonda.

d) Su alcune foto del 1976 compaiono oggetti strani, quali una roccia dall'aspetto umano e

delle piramidi.

e) Non risulta che la NASA abbia compiuto studi e analisi di queste foto.

f) Alcuni scienziati indipendenti hanno analizzato tali foto, concludendo che potrebbero essere artificiali.

g) La sonda sovietica Phobos 2, prima di perdere i contatti con la Terra nel 1989, ha trasmesso immagini di un'ombra ellittica regolare e netta, proiettata sullo sfondo marziano.

h) Dapprima inspiegabile, tale ombra è stata ufficialmente spiegata come un difetto della telecamera.

 

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Com'è difficile vivere la propria fede

Di Elena Aldrighetti

 

Sono ancora qui a parlare di ecumenismo. Certo ai più sembrerà una cosa banale. L’ecumenismo non è banale poiché il Cristianesimo è composto da varie confessioni religiose, tutte provenienti dalla medesima radice. La divisione è avvenuta nei secoli a causa, a mio parere, di debolezze e limiti umani. Tutti avevano la pretesa di essere depositari della Verità, senza rendersi conto che la Verità Assoluta, il Mistero di Dio, è tale e così resterà fino alla nostra illuminazione.

Oggi come oggi non è cambiato molto, le varie Chiese Cristiane non riescono a trovare un punto d’incontro poiché tutte sono convinte di essere la Chiesa “giusta”. Eppure Gesù Cristo ci ha insegnato ad amarci, l’unico suo comandamento è stato proprio quello di “imporci” l’amore verso i nostri fratelli.

Io faccio parte della Chiesa Vetero-Cattolica dell’Unione Episcopale di Utrecht. Ho già esposto il fatto che come comunità siamo stati “sfrattati” da una Cripta che ci era stata data in affitto. Tuttavia adesso,  non voglio parlare di questo.Vi voglio raccontare un esempio di perfetto ecumenismo che mi ha fatto molto piacere, ma che nasconde però un però.

Dopo lo sfratto, la mia Comunità è stata accolta in una cappella gestita da un sacerdote che fa parte della congregazione di Don Orione. Poco tempo fa è venuto a far visita alla comunità il vescovo vetero cattolico di Praga. Il sacerdote che ci dà ospitalità ha perfino assistito alla Santa Messa. Forse non tutti sanno che in base al Diritto Canonico della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, i sacerdoti cattolici non possono concelebrare con sacerdoti di altre confessioni religiose, tanto meno effettuare il rito della consacrazione.

Ho trovato molto coraggioso il gesto di questo sacerdote. Sì l’ho trovato coraggioso perché noi come comunità non siamo proprio ben visti e quindi lui si è esposto. Vedete il paradosso di questo mondo “ecumenico”. Quando si partecipa alle riunioni mensili del Consiglio per l’ecumenismo, a parole si dice che si deve trovare la strada per realizzare la Chiesa Universale.

Poi, al lato pratico, non è così. Ogni confessione religiosa teme l’altra. Si ha paura di perdere fedeli.

I componenti della mia Comunità provengono, chiaramente, quasi tutti dalla Chiesa Cattolica Romana, visto che siamo in Italia e quando nasciamo siamo battezzati cattolici romani.

Ora, per un’esigenza di chiarezza e di coerenza, abbiamo deciso di conformarci alla tradizione vetero - cattolica della Germania, cancellandoci dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Questo, perché non sarebbe giusto comparire in due Confessioni religiose. Paradossalmente sarebbe come appartenere a due partiti politici diversi e essere iscritti in entrambi.

La cancellazione sta portando parecchio scompiglio nelle coscienze dei miei fratelli. Molti temono che cancellandosi possano perdere la certezza di andare in “Paradiso” dopo la dipartita. Questo mi ha fatto riflettere sul terrorismo psicologico che spesso crea la religione, spero in buona fede, ma che danneggia moltissimo le scelte personali.

A parole viene detto che ogni persona è libera di seguire la religione che più si conforma alla sua spiritualità, poi, nel concreto, non è così. Molte mie sorelle, quando hanno inoltrato la richiesta di cancellazione nella parrocchia di origine, si sono viste recapitare lettere farneticanti nelle quali veniva elencata tutta una serie di scomuniche alle quali si andava incontro operando la scelta della cancellazione. In queste lettere si ricordava che solo attraverso la Chiesa Cattolica Apostolica Romana poteva esserci la salvezza.

Vedete, tutto questo mi dà la nausea. Le persone devono essere lasciate libere di scegliere.

Credo che la strada verso l’unione dei cristiani sia ancora molto lontana. Soprattutto noto che in poche persone c’è veramente la volontà di costruire qualcosa di buono. Voglio però essere ottimista, spero di incontrare sempre  più persone che abbiano voglia di confrontarsi con altre confessioni religiose senza voler imporre la propria.

 

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Cambratech

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Vergogna!!!

Di Aries Dominghini

 

Carissimi amici, casualmenmte sono venuta a conoscenza dell’Associazione Luci sull’Est. Vi spiego come questa cosa è successa. La mamma di una mia amica ha ricevuto, per posta, la Medaglia Miracolosa della Madonna di Fatima. Oltre alla medaglietta c’era una lettera dove vi erano le testimonianze dei “miracolati” dalla medaglietta. Veniva sottolineato che la medaglia non era un amuleto ma, portandola con sé e pregando, si ottenevano miracoli. Si chiedeva, in maniera facoltativa, anche un contributo di minimo € 20 per contribuire alla produzione delle medagliette, così da permettere ad altre persone di avere la medaglia della Madonna. La cosa che mi ha lasciata sbigottita, è dovuta al fatto che la Chiesa Cattolica di Roma  mette in guardia le persone riguardo all’idolatria. Anch’io sono dell’idea che non si devono adorare falsi idoli e soprattutto statue. Rimango perciò sgomenta quando vedo che la stessa Chiesa Cattolica romana permette che al suo interno si alimenti la superstizione e l’adorazione di statue. Quando ho letto che portano in giro una statua della Madonna di Fatima per i pellegrini, mi è venuta la pelle d’oca!!! Poi si parla di New Age e amuleti. Questa non è superstizione? Vi sembra normale portare in pellegrinaggio una statua?

Ribadisco il mio VERGOGNA!!!

 

Tratto dal sito www.lucisullest.it

 

L'Osservatore Romano, Sabato 1 dicembre 2001

 

Dal 13 maggio al 13 ottobre su iniziativa dell'Associazione "Luci sull'Est"

La Madonna di Fátima pellegrina nella Siberia Orientale

 

Una statua della Madonna di Fátima è stata portata in pellegrinaggio nel territorio della Siberia Orientale dal 13 maggio al 13 ottobre.  L'iniziativa è stata promossa dall'Amministratore Apostolico, il Vescovo Jerzy Mazur, con la decisiva collaborazione dell'associazione "Luci sull'Est" che ha così celebrato i dieci anni di vita e di servizio.  Insieme con la statua della Madonna di Fátima, i volontari dell'associazione hanno portato in Siberia altre cinque statue che hanno lasciato alla Chiesa locale; diecimila piccole riproduzioni della stessa immagine; diecimila corone del rosario e diecimila libretti che insegnano a recitare il  rosario.

Si può dire che la Madonna sia entrata veramente in ogni chiesa, in ogni piccola cappella, in ogni famiglia cattolica della Siberia Orientale. Il pellegrinaggio della statua - dopo una significativa sosta a Mosca - è iniziato a Irkutsk il 13 maggio. L'accoglienza all'aeroporto è stata commovente e i mass media locali si sono mobilitati per raccontare questo avvenimento. Con particolare attenzione ha seguito il pellegrinaggio Natalia Galetchina, inviata del settimanale cattolico russo "Luce del Vangelo". In processione la statua è stata subito portata nella nuova Cattedrale, dedicata al Cuore Immacolato di Maria, davanti alla quale c'è il memoriale  delle persecuzioni, contenente la terra proveniente da diverse lager siberiani. I fedeli sono rimasti in preghiera per tutta la notte. Domenica 13 maggio i bambini hanno organizzato una significativa rappresentazione delle apparizioni di Fátima.

Da Irkutsk la statua è stata portata a Usole dove sta per essere costruito il primo monastero di clausura della Siberia. Lì visse san Raffaele Kalinowski, carmelitano polacco deportato dagli zar. Da Usole la statua ha raggiunto tre piccoli villaggi affidati ad un parroco la cui famiglia, di origine tedesca, è giunta qui nel 700.  Poi ecco le soste a Angarsk e a Bratsk quindi la visita nei distretti di Vladivostok, Magadan, Yakutia, Kranosjarsk. Il pellegrinaggio è durato sei mesi.

Per iniziativa dell'associazione "Luci sull'Est" la statua della Madonna è stata portata anche in tantissime città italiane oltre che in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina, in Romania, in Ucraina, in Lituania, in Lettonia, in Estonia, in Slovacchia, in Repubblica Ceca e in Bielorussia. (G.P.M.)

*****

JERZY MAZUR

Vescovo titolare di Tabunia Amministratore Apostolico della Siberia Orientale dei Latini

Sono Vescovo nella terra dei martiri, delle persecuzioni e della sofferenza. Sono passati cinque mesi dal momento in cui la statua della Madonna di Fátima è arrivata a Irkustk ed ha cominciato il suo pellegrinaggio in tutto il territorio dell'Amministrazione Apostolica della Siberia orientale.

L'itinerario di questo pellegrinaggio ha attraversato un territorio molto grande da Krasnoiarsk al Pacifico. In questo tempo la statua della Madonna ha visitato tutte le 43 parrocchie ufficialmente registrate. È stata anche nelle più di cinquanta piccole comunità che ancora non sono registrate. Il pellegrinaggio della statua della Madonna di Fátima sul territorio della Siberia orientale è nato dall'affidamento del Terzo millennio alla protezione della Madre di Dio, proclamato nell'ottobre dell'Anno Giubilare da Giovanni Paolo II.

Quest'anno, nella nostra Amministrazione Apostolica è dedicato alla famiglia. La famiglia è in crisi e siamo molto convinti che la consacrazione delle famiglie al Cuore Immacolato della Madre di Dio aiuterà a superare questa crisi. Ogni famiglia riceve durante la visita pastorale dai sacerdoti una piccola statua della Madonna, un rosario che è stato "il catechismo del tempo dei gulag" e un libro su Fátima.

Per favorire la realizzazione di questa idea si è offerta l'Associazione "Luci sull'Est", che ha preparato e realizzato il pellegrinaggio della statua a Irkustk e ha preparato le statuette di Nostra Signora di Fátima per i cattolici siberiani. Il pellegrinaggio si è concluso ed è cominciato. I frutti di tutto questo infatti sono dentro di noi. Il pellegrinaggio siberiano di Maria è stato una possibilità data a tante persone, che prima non avevano mai sentito il messaggio di Fátima, di consacrarsi alla Madonna.

Nelle numerose processioni, tanta gente è venuta nelle chiese, nelle cappelle, per stare con la Madonna, per rimanere con la nostra Madre.

Vorrei dire qualche parola della Siberia. Dio mi ha mandato a Siberia. Io sono responsabile per un territorio di 10 milioni di chilometri quadrati: da Krasnoiarsk a Vladivostok fino a Kamciatka. Vi sono 16 milioni di abitanti di diverse nazionalità. Dal punto di vista religioso, ci sono cristiani, cattolici, ortodossi, protestanti; credenti di altri religioni come musulmani, buddisti, sciamanisti e tanti non credenti. Quelli che hanno radici cattoliche in Siberia sono più di 1 milione, battezzati sono pochi. Le persone con radici cattoliche sono polacche, ucraine, lituane, bielorusse, coreane.

La gente è povera. Ci sono tanti senza lavoro e bisogna andare verso tutta questa gente per predicare il Vangelo, in una terra dove è stato proibito farlo per tanti anni. Tanti di loro sono stati mandati in Siberia perché credevano in Dio, perché loro vivevano nella verità, perché loro sono stati uomini educati alla pace. Adesso questa gente ha il diritto di sentire il Vangelo. Cristo vuole che il Vangelo sia annunciato in tutto il mondo ed anche nella Siberia, terra di sofferenza.

La luce del Vangelo è venuta in Siberia dieci anni fa, quando sono arrivate tre suore. Oggi ci sono nella mia Amministrazione Apostolica 50 preti, 50 suore e anche laici impegnati. Provengono da diversi Paesi. Non hanno paura del clima. Alcuni siberiani dicono: "A 40 gradi sotto zero non è freddo!". Non hanno paura della situazione politica, economica, religiosa. Tutti sono venuti per aiutare l'uomo che qui ha sofferto tanto. Sono stato mandato in Siberia, a Irkustk. Irkustk è città vicino al lago Baikal, con circa 700.000 abitanti. Ho dovuto cominciare da zero: non c'era la casa, non c'era la chiesa. Tutto si è dovuto cominciare dal nulla. Ma, grazie a Dio, grazie a Nostra Signora, grazie alla gente, ai benefattori, ho potuto cominciare il mio lavoro come vescovo. Oggi si trova a Irkustk una cattedrale dedicata alla Nostra Signora, all'Immacolato Cuore della Madre di Dio.

Ci sono delle piccole comunità, ma la fede delle "babusie", delle nonne, è stata provata con la sofferenza durante le persecuzioni. La loro fede e la loro speranza in Dio, e nella Madonna, è stata molto forte. Pregavano molto, recitando il rosario. Era l'unica forma di preghiera e questa preghiera era di grandissimo aiuto, la devozione mariana era molto forte perché è la Madre di Dio che aiuta.

Le più grande missionarie sono state e sono ancora oggi le nonne, le "babusie". Grazie a loro, che sono missionarie autentiche, i bambini vengono nelle chiese. Le nonne non possono costringere i loro figli e le loro figlie per portarli alla comunità della Chiesa così cercano di educare cristianamente i loro nipoti. E, poco a poco, attraverso i bambini vengono in chiesa anche i genitori. È per questo motivo che a Fátima la Nostra Signora ha chiesto ai bambini: "Pregate il Rosario". Durante le persecuzione la gente ha fatto questo anche senza sapere di Fátima.

La grande speranza della Chiesa sono i laici. Noi abbiamo cominciato ad organizzare i catechisti, santi catechisti, per il futuro della Chiesa. Che cosa significa fare il missionario in Siberia? Possiamo dire che la Russia, la Siberia, è una terra che ha radice cristiane. Esistono la Chiesa ortodossa, la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti. Durante il tempo delle persecuzioni hanno sofferto insieme. La Chiesa cattolica non è un Chiesa straniera. Abbiamo sofferto insieme ed oggi vogliamo costruire la Chiesa, la cristianità, sul sangue dei martiri. Prima della Rivoluzione del 1917 c'erano tante parrocchie ben sviluppate.

Prima di tutto fare il missionario significa andare alla gente che ha le radici cattoliche e predicare il Vangelo con la parola e con la testimonianza di vita. In Siberia c'è bisogno dei testimoni di vera fede, di testimoni di vita cristiana. Allo stesso tempo è necessario cominciare, in diversi modi, a formare una piccola comunità che comincia a praticare la fede. Fare il missionario significa andare verso i bambini della strada, verso i poveri.

Fare il missionario in Siberia significa costruire la chiesa per pregare. È molto importante fare una chiesa visibile per una comunità che vive la fede, che rende testimonianza, ma è anche importante la chiesa come casa. Le chiese erano state costruite in passato, ma durante il periodo delle persecuzioni furono distrutte o destinate ad altri scopi. Adesso in ogni città si deve cominciare dall'inizio. Ho lavorato in Africa, Ghana, e lì potevamo celebrare la Santa Messa sotto un albero, ma in Siberia è difficile. Quest'anno è stato una grande benedizione di Dio. Diciamo grazie a Nostra Signora, perché abbiamo ricevuto posti per costruire le chiese in 8 città. È una grande sfida per noi.

Fare il missionario significa andare per la via dell'ecumenismo, soprattutto con gli ortodossi, e fare un dialogo inter-religioso. Fare il missionario significa anche instaurare un dialogo con i non credenti - tantissimi - che non conoscono Dio. Fare il missionario nella Siberia significa chiedere aiuto spirituale e materiale alla gente di buona volontà che può aiutare i poveri, i bambini ammalati, e per contribuire a costruire le chiese, a comprare le case.

E oggi possiamo dire che siamo testimoni del trionfo dell'Immacolato Cuore di Maria. Perché nella terra di Russia ci sono 4 Vescovi, 4 Amministrazioni Apostoliche, il Seminario a San Pietroburgo, il Pre-Seminario a Novosibirsk. Ci sono molti preti, suore, laici e tanta gente viene per sentire il Vangelo e noi andiamo a loro. E la fede cresce. E adesso viene più gente nella Chiesa ortodossa, nella Chiesa cattolica.

 

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HOBBY E TEMPO LIBERO

"La Querciola" di Quarrata (PT)

Di Patrizia Cartei

 

L’ambiente

 

L’area de “La Querciola” si estende per circa 118 ha nel Comune di Quarrata (PT) ed è collocata al centro di un’area fortemente antropizzata. Ha come confini naturali il Fiume Ombrone ad est, il Fosso Dogaia del Quadrelli ad ovest e, a nord, è delimitata dalla via Nuova che collega l’abitato dei Casini con quello della Caserana, ambedue frazioni di detto Comune.

Questa zona, come la maggior parte dell’area metropolitana, si presenta come pianura alluvionale bonificata, così come testimoniato dal suolo, evolutosi su depositi alluvionali del Quaternario.

Nell’area si trovano due laghi da caccia, soggetti a prosciugamento estivo, chiamati Lago di Zela e Lago di Bigiana e quattro laghetti, ex cave di argilla a cielo aperto, che sono gli unici a restare allagati anche durante l’estate, grazie alla loro notevole profondità (4-8 m) che li porta a contatto con la falda. La superficie allagata copre circa 18ha.

I principali corsi d’acqua all’interno dell’area sono il Torrente Senice e il Fosso dello Scolo che confluiscono nel Fosso Dogaia del Quadrelli. La rete idrica minore è ben sviluppata, soprattutto nella zona settentrionale e orientale dell’area. I fossi risultano tutti asciutti nel periodo estivo, mentre l’acqua è permanente nel Torrente Senice. Sono inoltre presenti alcune zone a marcita, le più importanti delle quali si trovano a nord, nella zona compresa fra una delle cave e la Senice, e nel tratto sud-occidentale della Laghina.

 

La storia e le tradizioni

 

L’area dove attualmente si colloca la Querciola fu probabilmente soggetta (circa II sec. a.C.) ad una centuriazione romana, di cui restano ancora alcune tracce, intermedia fra quella attuata nel territorio pistoiese e quella fiorentina. Nell’area sopravvivono, inoltre, tracce dell’antica viabilità della piana quarratina e preziose testimonianze di edilizia rurale. E’ infatti visibile la Casa Zela, un edificio rurale, oggi disabitato, il cui nucleo più antico dovrebbe risalire al periodo del Basso Medioevo, quando sorse per scopi difensivi (come testimoniato dall’elemento turriforme). Nel Cinquecento, con il diffondersi della mezzadria e delle abitazioni su podere, fu declassata a “casa da lavoratore”. Successivamente all’elemento turrito, che accoglieva la “stalla alta”, utilizzata per ospitare il bestiame in caso di alluvioni, fu aggiunto il fienile. Dopo il 1920 fu costruita la “stalla bassa”. Due edifici rurali, denominati Case Querciola, si trovano a sud del Lago di Zela. Uno di questi edifici presenta, tuttora inglobato nella sua struttura, un corpo di fabbrica turrito risalente al medioevo.

 

La flora

 

Lungo i fossi si ritrova la vegetazione arboreo-arbustiva, composta principalmente da: pioppo nero (Populus nigra), varie specie di salice (Salix alba, S. cinerea, S. purpurea), farnia (Quercus robur), olmo campestre (Ulmus minor), acero campestre (Acer campestre), ontano nero (Alnus glutinosa), corniolo sanguinello (Cornus sanguinea).

Ai bordi degli specchi d’acqua e dei canali si trova una vegetazione tipica di ambienti palustri, ben sviluppata e con poche interruzioni. Le specie più tipiche sono la cannuccia di palude (Phragmites australis), la mazza sorda (Typha  latifolia), il giaggiolo (Iris pseudacorus), il coltellaccio (Sparganium erectum), la piantaggine d’acqua (Alisma plantago-aquatica), oltre a carici (Carex spp.) e giunchi (Juncus spp.) e ad altre specie di ripa come la salcerella (Lythrum salicaria) e l’euforbia di palude (Euphorbia palustris). Negli specchi d’acqua si trovano anche varie idrofite (Myriophyllum, Potamogeton, Ranunculus aquatilis, Polygonum amphibium, Lemna minor. I prati sono dominati dal bambagione (Holcus lanatus), con presenze significative di Lychnis flos-cuculi, Avena fatua, Molinia coerulea, varie specie di Trifolium.

 

La fauna

 

L'importanza naturalistica di questa zona è, ad oggi, principalmente legata alle presenze dell'avifauna. Gli specchi d'acqua, e principalmente i laghi di Zela e di Bigiana, offrono riparo a numerosi uccelli: molte specie si ritrovano nidificanti, altre solo nei periodi di migrazione, altre ancora vi arrivano per cacciare.

Le presenze più importanti: tuffetto, tarabuso, airone rosso e airone cenerino, garzetta, nitticora, varie specie di anatidi (germano reale, alzavola, mestolone, marzaiola), poiana, falco di palude, gallinella d’acqua e folaga, cavaliere d’Italia, averla capirossa e averla piccola, martin pescatore, civetta, upupa, luì (Phylloscopus sp.), ecc.

Sono presenti anche diverse specie di anfibi, fra cui tritone crestato (Triturus carnifex), raganella (Hyla intermedia), rana toro (Rana catesbeiana), rana verde (Rana esculenta complex), rana agile (Rana dalmatina), rospo comune (Bufo bufo) e di rettili, come lucertole (Podarcis muralis, Podarcis sicula), ramarro (Lacerta bilineata), tarantola (Tarentola mauritanica), biacco (Hierophis viridiflavus), biscia dal collare (Natrix natrix), luscengola (Chalcides chalcides), ecc.

 

L’area protetta

 

La Querciola è un’Area Naturale Protetta di Interesse Locale (ANPIL), istituita con Legge Regionale del 1997. Ente gestore è il Comune di Quarrata (PT).

Una parte del Lago di Zela denominata “La Laghina” è stata oggetto di recupero naturalistico ed è stata istituita in questa parte un’oasi faunistica.

 

Le attività promozionali

 

Si svolgono corsi di educazione all’ambiente per scolaresche e visite guidate gratuite per scolaresche e gruppi turistici. Esiste una guida che può essere richiesta gratuitamente.            q

 

Per informazioni e visite guidate

 

Ufficio relazioni con il pubblico Comunale di Quarrata: tel. 0573/771213

E.mail:

 querciola@zoneumidetoscane.it

 

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Il pozzo

Di Angelo Ricci

 

Come si realizza un pozzo in collina?

Per prima cosa, è necessario individuare il punto dove si trovi l’acqua e cioè, bisogna ricorrere a una persona, la quale deve avere una certa sensibilità, questa persona deve essere in grado di trovare la sorgente, piccola o grande, che si trova nel terreno, ciò non è sempre così facile; la persona in questione, ha la qualifica di RABDOMANTE, cioè il cercatore d'acqua. Una volta che il rabdomante ha individuato il punto, è necessario cominciare il lavoro,

ovvero munirsi dei seguenti attrezzi: una vanga, una pala, una leva in acciaio, o paldiferro, uno scalpello da muratore ed una piccola mazza del peso almeno di kilogrammi tre.

Cominciamo con il tracciare un cerchio nel punto indicato, iniziando a intagliare il terreno con la vanga, creando come primo strato di asportazione di terra, un cerchio di circa due metri di diametro, mano a mano che procede la scavazione del terreno, è da tenere conto che il lavoro deve procedere con un certo criterio e quindi, la creazione del pozzo deve essere realizzata a forma di cono rovesciato, altrimenti il terreno franerebbe, complicando il tutto, o addirittura, si crerebbe una situazione di incostruttibilità.

Scavando scavando, si trovano nel terreno delle pietre, le quali devono essere estratte usando il paldiferro fino ad una profondità concessa dal diametro iniziale, cioè con un diametro di due metri; è consigliabile, se troviamo l'acqua alla profondità di massimo di tre metri dal suolo, ma se così non fosse, è necessario agganciare l'inizio del cono e quindi asportare più terreno, quindi sarà possibile proseguire nell’escavazione in profondità. Quando il terreno che troviamo sotto i nostri piedi diventa sempre più umido, ciò significa che l’acqua è vicina, ma dobbiamo scavare fino a che non troviamo la pietra acquiferra, la quale si riconosce dalle sue venature, che possono essere di colore diverso; se il colore della venatura del sasso è bianco, significa che l’acqua è di calcare e quindi, molto pesante, se invece la venatura del sasso è di colore nero, ciò vuol dire che l’acqua è leggera e forse potabile.

A questo punto, è necessario prendere lo scalpello da muratore, infilare il taglio dello stesso nelle venature e con la mazzetta, dare dei piccoli colpi per rompere il sasso acquifero, facendo in maniera di asportarne tutte le sue parti, più interamente possibile, a questo punto, si può posare, sul fondo del pozzo appena scavato, una serie di pietre, facendo atten zione a ricoprire in modo omogeneo il più possibile e cominciare la costruzione del cono rovesciato, collocando in cerchio e sovrapponendo una fila di pietre una su l’altra, fino al bordo di superficie. Nella costruzione, è necessario creare un cono omogeneo, quindi, se le pietre di costruzione fossero non simili come dimensione, calzare le pietre più piccole e fare in modo che si allineino alle altre.

Una volta raggiunto il suolo, è necessario unire tutto il bordo con colata di cemento, facendo attenzione che non ne cada all’interno, farlo asciugare,e dopo due giorni, costruire sul cordone di cemento la cornice in superficie, la quale si può realizzare nella forma che preferiamo, una volta fatta la forma, e portata ad una altezza di circaun metro dal suolo, è necessario realizzare un coperchio per conservare sia l’acqua e preservarci da eventuali cadute.

I pozzi in collina, si devono realizzare a a mano, per il semplice motivo che, se usiamo i mezzi meccanici tipo escavatori, le vibrazioni che vengono trasmesse al terreno fanno in modo che l'acqua si disperda e ciò diventa controproducente e quindi dannoso.

Questa realizzazione appena descritta, si chiama costruzione a secco.

 

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Io, Harrer ed il Tibet

Di Nicola Bigliazzi

 

Harrer, questo nome a molti non dirà niente, ma quasi tutti ricorderete il film “Sette anni in Tibet” con protagonista Brad Pitt… Ecco, in quel lungometraggio il bell’attore interpretava Harrer, alpinista austriaco che nel periodo fra le due guerre compì la maggior parte delle sue ascensioni. L’anno in cui decise di partire per il Tibet al seguito di una spedizione alpinistica, fu consapevole di lasciare a casa una compagna con in attesa il proprio figlio, ma lui, Harrer alpinista e conquistatore di montagne, era determinato, freddo, un duro si direbbe oggi, affascinato dall’ignoto e dalla scoperta. Il lasso di tempo fra le due grandi guerre ha segnato la corsa alla conquista delle grandi pareti nord delle Alpi: lo Sperone Walker sulla Nord delle Grandes Jorasses, la “Nord” del Badile, del  Cervino…, ma rimaneva ancora il problema più grosso: l’Eigerwand, la parete nord dell’Eiger. Vari tentativi di diverse cordate finirono tragicamente, dando a zone e luoghi della parete nomi tutt’altro che rassicuranti, “bivacco della morte”, “il ragno bianco”, “la traversata degli dei”, ecc… Per venire a capo di questo gigante ci volle lui: Harrer che ne compì la prima ascensione nel 1938 congiuntamente ad una cordata tedesca. Ma prima di compiere quell’impresa, scorrazzò per tutte le Alpi lasciando la sua firma su numerose pareti… E così successe un giorno di Luglio del ’36 che con il suo compagno Wallenfels si recò alla “Sud” della Punta Grohamann (Dolomiti, gruppo del Sassolungo, quota 3126 m) per aprire una via diretta su questa immensa parete. Un po’ d’anni dopo, il 20 Luglio del 2003, Alessio ed io, decidiamo di percorrere tale itinerario. Alle 6.00 siamo a passo Sella, alle 8.30 attacchiamo la parete: sopra di noi 700 metri di dolomia verticale grigia e gialla; filiamo lisci per i primi 200 metri, poi…poi quella volpe di Heinrick (Harrer) aveva tirato fuori tutta la sua astuzia, indovinando traversate e passaggi ostici che ci hanno fatto penare. Sta a me, mi tocca un travero ascendente a sinistra, dovrebbe essere IV…., appena mi affaccio dalla sosta, un punto di fermata, il vuoto è impressionante, una placca grigia ed esposta si materializza alla mia sinistra, parto, indugio, torno indietro, pianto un chiodo molto psicologico e riparto, la placca risulta molto più difficile del previsto, raggiungo un altro chiodo di fattura artigianale sicuramente infisso da Harrer, lo rinvio e proseguo, adesso la roccia si fa più articolata, le difficoltà diminuiscono ed arrampico più rilassato anche se non mi posso proteggere.

Il famoso “diedro inclinato” tocca ad Alessio, lo risolve in maniera magistrale, tanto da farlo sembrare quasi facile…ma la tecnica e l’equilibrio sono il suo forte. “- Grande!! -” mi congratulo arrivando in sosta. Siamo fuori dalle difficoltà, ma la salita non è ancora terminata; altri 250 metri ci separano dalla cima.

Dopo nove ore di arrampicata siamo in vetta, stanchi, increduli, felici; poi i soliti riti: stretta di mano, foto ricordo, nome e data sul libro di vetta e una barretta energetica!

Discesa: corde doppie infinite, vuoto da vertigine, due ore e calpestiamo le ghiaie alla base della parete; raggiunta l’auto, guardo l’orologio: le “21, 00”!!!  E’ stata sicuramente la salita più difficile che abbia compiuto, a metà parete quasi maledivo Harrer per non essere partito prima per l’Himalaya… Quella sera feci la doccia, bevvi a volontà e andai a letto senza cena, la stanchezza era superiore a qualsiasi esigenza anche fisiologica!!! Il giorno dopo ero cresciuto, cresciuto interiormente, un’esperienza che ti segna e ti fa sognare!

Grazie Harrer.

 

20/07/2003 Nicola Bigliazzi, Alessio Brancè

Dolomiti, Punta Grohamann, parete Sud,

“via diretta Harrer”, 650 m, V+.

 

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MUSICA

Ladra di vento

Di Vainer Broccoli

 

Gli eventi della vita, alle volte lasciano segni indelebili e fanno maturare. E’ sicuramente il caso di Giorgia che è tornata alla ribalta con un ennesimo esperimento musicale.

“Ladra di vento”, la sua ultima fatica discografica, sembra dimostrare come quello che abbiamo asserito sia vero; dopo il flop di “senza ali” La cantautrice romana si era presa un periodo di riflessione, poi, il destino ha lasciato i suoi segni: la tragica scomparsa di Alex Baroni (con il quale aveva vissuto una storia molto importante), ha inciso notevolmente sull’essere di Giorgia.

Già l’inedito dedicato al cantante lombardo, presente nella raccolta uscita poco dopo la sua morte, ha fatto intravedere una maturazione artistica non da poco che è poi sfociata nell’ultima uscita “ladra di vento”.

Questo disco segna un punto molto importante della carriera musicale dell’artista capitolina; infatti, andando un po’ contro tutto e tutti, Giorgia ha curato in toto, parole, musiche ed arrangiamenti, lasciando emergere la sua anima black. Le canzoni presenti sul cd (ben 14) mettono in mostra una profondità notevole che sfocia in alcune traccie, come “So beautiful”, una sensualità che rasenta l’erotismo puro, ed un’introspezione, vedi scivoli di ghiaccio, che mettono in mostra aspetti, i quali fanno capire quanto sia stata profonda la maturazione umana ed artistica di Giorgia stessa. Indubbiamente, al primo ascolto, “Ladra di vento” può risultare un disco difficile, ma col passare del tempo, il groove presente, che raggiunge apici notevolissimi in “La gatta sul tetto”, travolge in maniera indiscutibile; la collaborazione con Mike Breaker, già presente in “Senza ali”, ha dato risalto al desiderio inconfondibile di Giorgia verso atmosfere  che sono, più che mai, confacenti alla caldissima voce che si ritrova. Eccoci dunque, a trarre alcune personalissime conclusioni: quanti artisti del nostro ricchissimo panorama si vedono costretti, per ragioni di mercato o di manager, a seguire dei filoni artistici non propri?

Il caso di Giorgia e del suo ultimo cd potrebbero fare pensare… lei è andata contro tutte le previsioni, ha continuato uno studio sul filone di “Senza Ali” che aveva segnato uno stop nella sua carriera, insomma ci ha creduto ed il risultato è un vero piccolo gioiello musicale… un’unica perplessità, di carattere squisitamente voyeuristico: le ultime apparizioni televisive hanno mostrato una Giorgia molto emaciata e smagrita (al limite dell’esagerazione) che le tensioni legate alla scomparsa di Baroni abbiano lasciato anche un segno sul suo fisico?

La speranza sincera, è quella di esserci sbagliati; comunque, per tornare all’aspetto musicale, “ladra di vento” è un disco che sentiamo di consigliare ed apprezzare tanto per notare come anche le melodie italiane possano dare qualità.

 

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Ruvido saio (parte seconda)

Di Simona Convenga

 

Assisi, 4 ottobre 1226

Dopo una vita trascorsa tra evangelismo e proselitismo, simbolo di una religiosità sentita e vissuta prima ancora d’essere sperimentata e organizzata, Francesco d’Assisi moriva nella chiesetta di S. Maria della Porziuncola la notte del 3 ottobre del 1226. La notizia del decesso si propagò con estrema rapidità e numerosi, tra cittadini di Assisi e dei dintorni, ma non il clero, accorsero per vedere la salma di questo piccolo ma già ritenuto straordinario uomo. Nel frattempo "frate Elia, aiutato da fra Leone come dagli altri soci speciali del Santo e da esperti confratelli, alla presenza delle Autorità aveva già adattato il santo corpo in una cassa di legno con coperchio". Tra preghiere e salmi, tra lacrime e giubilo, gli astanti vennero inondati dalla meraviglia: al di là del colore della carne, che risplendeva di un candore sovrannaturale, facendosi sempre piú diafana, "era meraviglioso scorgere al centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del ferro e il costato imporporato dal sangue". Dalla preghiera si passò ben presto alla venerazione: "ognuno dei fedeli stimava grandissimo privilegio se riusciva, non dico a baciare ma anche solo a vedere le sacre stimmate di Cristo che Francesco portava impresse nel suo corpo". Fattosi giorno, iniziarono sollecitamente i preparativi del solenne funerale: "giungono a S. Maria degli Angeli i Magistrati del Comune col podestà Berlingerio di Iacopo da Firenze, le maestranze delle varie Arti cittadine, altre compagnie armate, i trombettieri, i vessilliferi, e, in abiti processionali, i sacerdoti del clero di Assisi". Unico assente il vescovo Guido II, in pellegrinaggio al santuario di S. Michele sul monte Gargano.

"Quando tutto fu pronto, le trombe del Comune dettero il segnale di partenza": il feretro, prelevato dalla Porziuncola, venne cosí trasportato in città tra inni e canti e squilli di trombe, in mezzo ad ali di folla che era accorsa per osannare Francesco con rami d’albero e gran numero di fiaccole. La processione si snodava lentamente per permettere a tutti di vedere la salma; "guardie armate facevano buona scorta lungo la via". Giunti davanti a S. Damiano, Chiara e le sue sorelle recluse chiesero ed ottennero di porgere un ultimo ed affettuoso saluto all’amico tanto amato: "i frati alzarono la salma di Francesco dalla lettiga e la tennero a lungo sulle loro braccia accanto alla finestra [delle recluse], cosí che donna Chiara e le sue sorelle ne provarono una consolazione profonda, sebbene fossero tutte in pianto e afflitte dal cordoglio". Arrivati, infine, a S. Giorgio, luogo prestabilito per la sepoltura, si dette inizio alla tumulazione della salma: "Qui, egli, a gloria dell’onnipotente e sommo Iddio, continua a illuminare il mondo con i miracoli, come prima l’aveva illuminato con la sua santa predicazione. Siano rese grazie a Dio."

Tutto quanto è stato esposto finora potrà gettare nuova luce, e questo è il fine principale, sull’evento, per molti versi ancora oscuro, concernente la traslazione del corpo di San Francesco dalla Chiesa di S. Giorgio all’attuale Basilica.

Il fatto storico è il seguente: essendo tutto pronto per accogliere il sacro corpo di Francesco nella Basilica Inferiore, il giorno della Traslazione venne stabilito per il 25 Maggio 1230. Giunto che fu l’imponente corteo alle soglie della nuova Basilica, ed entrata che vi fu la santa Reliquia, gli armigeri del Comune, per ordine di Frate Elia, respinsero la folla, e chiudendosi le porte alle spalle Elia stesso, da solo, provvide ad occultare nel vivo della roccia il corpo del Santo.

Lo scandalo fu enorme, e lo conferma la stessa bolla pontificia Speravimus hactenus del 16 Giugno 1230, scagliata su Elia e le autorità di Assisi che avevano obbedito agli ordini del frate. Gregorio IX ordinò che le autorità comunali venissero punite, e la Basilica fu colpita da interdetto. Ciononostante, e non si seppe mai il perché, lo sdegno del Papa fu in qualche modo placato. La “Cronaca dei XXIV Generali” si limita semplicemente a dire: “ma frate Elia placò con molte e buone ragioni il Pontefice”.

Da tutti è accettata, quale spiegazione del comportamento di Elia, la motivazione concernente il timore che avrebbe avuto il frate per un probabile delirio mistico della folla. Elia dunque avrebbe temuto l’esplodere del fanatismo del popolo i cui rappresentanti, in preda ad una specie di sacra follia, avrebbero potuto reclamare, ciascuno per sé, una particella del sacro corpo del Santo, facendo così scempio del medesimo. Ciò lo avrebbe indotto a chiudersi la porta alle

spalle, respingendo con gli armati persino gli alti prelati giunti da ogni dove, ed ad occultare  il corpo del santo, il quale venne in seguito rinvenuto solo nel 1818.

Tale spiegazione, sebbene plausibile, non soddisfa. Infatti, per quale ragione la folla avrebbe dovuto aspettare che il corpo del santo varcasse le porte della Chiesa per impadronirsi delle tanto sospirate reliquie, quando ne avrebbe avuto la possibilità durante lo svolgimento del corteo? E perché far respingere dagli armigeri anche notabili e prelati quando simili figure mai si sarebbero permesse di profanare il Sacro Corpo in preda a mistici furori?

"Dopo la cerimonia di canonizzazione del 19 luglio 1228 il nome di Francesco – ora veramente santo – iniziò a circolare e ad affermarsi in luoghi che non erano stati toccati dalla sua personale attività di predicazione."

Il culto e la devozione verso san Francesco, appunto in seguito alla sua canonizzazione, travalicarono l’angusto ambito "regionale" per raggiungere e impregnare di sé tutta la cristianità, fosse solo per il fatto che ad ogni convento, ad ogni monastero, ad ogni chiesa, ad ogni chiostro veniva imposto di richiedere, in tempi e modi che mutavano da luogo a luogo, un’opera che tratteggiasse anche solo sommariamente l’esistenza di questo nuovo santo. Nonostante le critiche mosse da alcuni detrattori della novitas sanfrancescana, si stava assistendo ad una montante venerazione per le sue sante reliquie. In effetti, Francesco, in seguito alla canonizzazione, ma anticipato in ciò tanto dallo scritto attribuito a frate Elia, nel quale il vicario parlò per primo ed espressamente dell’invenzione delle sacre stimmate, quanto da una probabile tradizione orale sulle stesse, finí col diventare un oggetto taumaturgico di valore inestimabile: era stato privilegiato degli stessi segni carnali della sofferenza umana del Cristo, il quale, fattosi carne, scese sulla Terra per la redenzione umana, per la salvezza eterna. Francesco d’Assisi, di quella salvezza, ne era diventato il simbolo ed il corpo un tesoro, da dover essere tenuto al sicuro dal rischio di devozione smodata ed irrazionale o, peggio ancora, di trafugamento. Per evitare ogni paura, le autorità civili e religiose di Assisi, fino ad allora divise nell’adottare una comune politica cittadina, furono, invece, concordi nel seppellire quel sacro corpo in un luogo al riparo da guai, scegliendo per un primo periodo la cappella di S. Giorgio, di proprietà dei canonici di S. Rufino, perché all’interno delle mura (e non la Porziuncola perché molto distante dal centro abitato) poi, dal 25 maggio del 1230, la (nuova, ma parziale) Basilica sepolcrale.

E proprio durante la cerimonia per la traslazione del corpo (da S. Giorgio al ribattezzato Colle del Paradiso) si verificarono quelli che le fonti ci descrivono come cruenti disordini, ma dei quali non conosciamo né la natura né le proporzioni. Per evitare che la situazione degenerasse in veri e propri atti di violenza, le autorità di Assisi (con accanto, forse, lo stesso Elia) "si impadronirono del sarcofago e lo trasportarono dentro il tempio, non permettendo a nessuno, nemmeno ai Legati del Papa venuti da Roma, nemmeno al Ministro Generale Parenti e agli altri religiosi vicari del papali, di entrare in chiesa." Decisione grave fu questa, di escludere dalla cerimonia le alte personalità ed il popolo ivi convenuti, frutto, molto probabilmente, di un clima vivo, intenso, animato, accalorato, che stringeva tutti nella piazzetta antistante l’ingresso alla Basilica. A porte sbarrate, lasciati alle spalle urla e frastuono, liberi dalla paura che in quel possibile parapiglia la salma poteva essere "mutilata" di qualche sua parte, si prese la decisione di tumulare la salma in una cripta coperta da sicura inferriata, evitando con ciò la totale esposizione al pubblico, e anche per questo incorrendo nell’ira furente di Gregorio IX. Si decise di limitare, con atto d’imperio, giustificato forse dall’irruenza della stessa devozione, la visione, e con essa tutto quello che la contornava, delle sacre spoglie di Francesco.

Considerando attentamente quanto è stato finora esposto, la spiegazione risulta essere un’altra, e ben diversa da quelle che fino ad oggi sono state date.

Nella tomba del Santo, accanto alle monete e ad altri oggetti, fu rinvenuta anche una pietra poligonale, sulla quale poggiava la testa di San Francesco, di questa sorta di guanciale del santo é piena anche l’iconografia pittorica e filmica a riguardo.

Eccone una descrizione fatta dai due periti archeologici Giovan Battista Vermiglioni di Perugia e Francesco Antonio Frondini di Assisi: “La Pietra è della stessa qualità dello scoglio della montagna in forma di un poligono delle misure di controllo, ove (si) dà delineata la forma stessa (once 6x9 e 1/2 e x11), la quale Pietra, osservata diligentemente, si è osservato non contenere né iscrizioni né lettere né sigle; anzi fa meraviglia di aver trovato questa Pietra nell’Urna che ieri vedemmo, giacché né la forma, né la situazione prestano motivo anche ad una semplice congettura sul di lei uso”. La testa del Santo poggiava dunque su tale pietra. Notiamo innanzi tutto la somiglianza fonetica esistente tra il nome ebraico Kephas, “pietra” e la parola greca Kephale, “testa”.

E’ René Guenon in questo caso ad illuminarci, grazie al suo fondamentale studio intorno al simbolismo tradizionale della pietra angolare:  “Occorre, dice il Guenon, che la “pietra angolare” sia tale da non poter trovare ancora il suo posto; infatti lo può trovare solo al momento del compimento dell’intero edificio, e così diventa realmente la “testa d’angolo”. . . Così questa pietra, tanto per la sua forma quanto per la sua posizione, è effettivamente unica nell’intero edificio, come deve esserlo per poter simboleggiare il principio da cui tutto dipende. Stupirà forse questa rappresentazione del principio trovi così il suo posto solo alla fine della costruzione; ma si può dire che quest’ultima, nel suo complesso, è ordinata in rapporto a quello".

In architettura il compimento dell’opera è la “pietra angolare”, in Alchimia è la “pietra filosofale”. Questa pietra, in quanto “compimento” o “realizzazione”, equivale dunque nel linguaggio alchemico occidentale, alla “pietra filosofale” ed a tale riguardo è da notare che gli ermetisti cristiani, parlando del Cristo si riferiscono a Lui come alla “pietra filosofale” o “pietra angolare”.

E’ chiara a questo punto la correlazione esistente tra simbolismo alchemico e simbolismo architettonico, dato il loro comune carattere “cosmologico” di essi, cosa d’altronde propria a tutte le conoscenze tradizionali, altrettante espressioni delle stesse verità di ordine universale.

L’ultima pietra, ovvero la “prima”, della Basilica di Assisi fu dunque quella “pietra angolare” su cui Elia poggiò segretamente il capo del Santo, egli stesso “pietra filosofale”, novello Cristo ed Asse del Mondo. E quando il frate scelse il “Colle dell’Inferno” quale luogo per l’erezione del Santuario, dovette di certo avere in mente le parole di Matteo (XVI, 18): “Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia Chiesa, e le porte dell’Inferno non prevarranno su di essa”.

Colloquio terzo (Ovvero il fratello dimenticato)

Si avvicina il tempo di Pasqua e intorno al convento vi é una certa animazione, tutto si rinnova, persino la ghiaia del viale brilla a tratti, come se fosse minerale, sotto il sole, ed il  selciato di granito rosa, terminato nell’inverno precedente, mostra la rosa dei venti al mondo che passa, attraversando il ponticello, sulle rive Lambro profumate di aglio selvatico, per inoltrarsi nelle passeggiate domenicali al parco della Villa Reale. Due fratelli, i più giovani della comunità, portano i jeans e la camicia a scacchi, i sandali ai piedi scivolano sui pioli della scala, mentre allestiscono l’impianto di amplificazione per i misteri della settimana santa, e ridono se il cavo cade dal ramo, sollevando un nuvola di stormi cittadini come saette verso il cielo. So che Padre Vittorio vorrebbe andare ad Assisi almeno per il triduo, conosco questo suo desiderio da molto tempo, perché ne abbiamo parlato, ma conosco meglio la sua obbedienza e il disagio per la sua salute.  Disagio che non vuole imporre, com’è ovvio, a nessuno.

Molte volte con lui ho dovuto analizzare, ribelle com’ero e con il coraggio che non avevo, quale fosse la differenza che corre tra il desiderio e la volontà, tra la direzione dell’intento e la gratificazione che si possa cogliere dai casi che la vita ci presenta, ed ora vorrei che le condizioni si disponessero nel senso di ciò che lui desidera di più: essere ad Assisi, lungo la via che porta dalla Basilica superiore verso il borgo basso, seguendo la croce del Cristo morto, assieme ai suoi fratelli, alla processione dell’alba e poi verso il tramonto, percorrendo la strada che si spegne e si illumina progressivamente di fiammelle e si carica dei tonfi del tamburo senza fondo, una volta verso il basso, una volta verso l’alto.

Una donna mi chiede dove siano gli orari della penitenzieria, rispondo che forse sono all’interno della chiesa e mentre mi volto vedo che esce il Priore. Qualcuno lo sta aiutando a portare nella macchina degli scatoloni, vola fuori un oggetto che raccolgo e porgo con uno dei miei sorrisi più belli, e spero in cuor mio che mi rivolga la parola. É troppo averci sperato, non lo fa... ed é meglio così, forse...

Fuori dalla porta di Padre Vittorio il solito gruppo di persone aspetta le sue benedizioni, sussurrano tra di loro di dolori e speranze, di vite rinate e di malattie, hanno con sé medicine e bottiglie d acqua minerale, fedi nuziali, indumenti troppo piccoli perché non si capisca a chi appartengano, entrano quasi tutti con il volto pallido di chi é teso verso una risposta della quale non sa formulare la domanda, ed escono, dopo poco, o dopo molto tempo, con le guance accese di chi ha vissuto un’emozione che non decifra, ancora. Prima di me, una donna giovane ma sciupata con le labbra contratte e morse dai denti superiori, torce all’infinito un fazzoletto rosa e tace.Chi non ignora il dolore umano può sentirne il fiato a distanza, come fumo freddo esso aureola la persona, e dal luogo dove tutti finiscono spinti dall’onda d’urto della sofferenza, può sentire gridare un silenzio tanto profondo che assorda. Vi é chi ha la parola per curare, chi la mano, chi il suo spirito stesso e tutto il suo corpo mette al servizio dell umanità; chi nessuna di queste cose abbia, si limiti a sollevare lo sguardo e a fissare dentro gli occhi chi soffre ed apprenda ad ascoltare quel silenzio.

Anche l’ultima donna é uscita da lì, e prende a correre quasi verso la navata e l’uscita principale della chiesa, il pomeriggio sfuma malinconico nella sera e Padre Vittorio venuto sulla porta si guarda intorno un po’ aggrottato, forse pensa che non ci sia più nessuno, o forse che siano ancora molti quelli che hanno bisogno di lui:"Ma se qui anche oggi - mi dice - vieni dentro, sono molto stanco..."

Così mi racconta di chi é passato di lì, e per tutti ha un pensiero, e per se stesso  rimane soltanto l’ammettere che é molto stanco, di quella stanchezza piena della luce di Dio, posso dedurre, che pervade chi lotta fino allo sfinimento, tutte le notti, come fa lui, con un Avversario che non prevarrà mai.

"Sai, - mi dice - devo recarmi ad Assisi nei prossimi giorni, non ci avevo più fatto conto di andarci, pensavo di rimanere qui per la Settimana Santa, ma devo prepararmi alla partenza, cosi io e te non ci vedremo per qualche tempo. Che te ne pare... continuerai a leggere e a studiare oppure prendi una vacanza anche tu?"

"Niente di tutto ciò, vorrei chiedere al Padre Priore se posso accompagnarti in questo viaggio, da solo certamente non puoi andare, non ti darò noia durante le tue attività, mi limito ad accompagnarti ad assistere alle funzioni che potrò, posso andare a stare da un amica mia che é tanto tempo che non vedo e che mi invita..."

"Ma non andare così tanto di corsa! ", alza il tono della voce, ma si vede bene che é felice della proposta, come é perfettamente consapevole che la procedura non é normale e che senz’altro il Priore avrà delle riserve su questo strano viaggio che io credo fortissimamente che si farà.

Così partiamo, indifferenti a tutto e con un minuscolo bagaglio, leggero; partiamo nel silenzio del sagrato della chiesa mentre cento occhi nascosti ci guardano partire da molto oltre le finestre del chiostro, che comunque non affacciano di qua...

Sono emozionata e passo troppo vicino al biancospino appena fiorito, spettinandone in coriandoli il bel velo nuovo.

Così partiamo, ed il viaggio scorre in pace e nessuno ci nota viaggiare, nessuno, fino ad oltre Firenze dove il paesaggio diviene più dolce e ispirato e dove finalmente posso chiedermi se é vero o plausibile che solo questo verde, dolce cuore d’Italia, morbido di colline, ridente di casali, ornato di acque scintillanti, poteva essere il luogo dove, quando il cielo e la terra sono in armonia, nascono i poeti...

"... ed i santi - concludo ad alta voce il discorso a metà tra me stessa e Padre Vittorio seduto accanto a me che guido, assolutamente soddisfatto dell’insolita esperienza.

Giunti in città ci separiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo.

Vado a stare a casa di Stella, che ormai era stanca di invitarmi invano, ci ritroviamo come se non ci fossimo lasciate che qualche ora prima, ma a farne il conto, sono passati tanti anni: senza pensarci troppo sù, riassumo la mia vita in tre battute e lei la sua, e ci capiamo sottilmente senza spendere altre parole. Solo di passaggio, quasi senza parere, Stella dice e non dice dell’esistenza di un uomo nella sua vita, al momento capisco che si possa trattare di una conoscenza professionale, ma un suo sguardo al telefono muto mi dice molto di più di una notte di confidenze tra vecchie amiche. Ad un tratto quel telefono si mette a trillare, i suoi occhi luccicano come non li ho visti mai, o almeno sono anni che non le luccicano così, se é vero quello che capisco, può darsi che ci siamo, ci siamo davvero...

"Vedi - lei comincia sempre i discorsi come se li stesse continuando e contemporaneamente come se dovesse sempre giustificarsi rispetto a qualcosa o a qualcuno - io ci tenevo tantissimo a farti parlare con ... questa persona, sai può essere che ti viene utile per i tuoi studi, non ti sembra…?”

"Ma se non so nemmeno chi é, Stella, comunque va bene, se é davvero così importante- mi verrebbe da ridere se non sapessi di avere indovinato il suo turbamento, così decido di sorriderle, lei ha bisogno ogni tanto di cose del genere - il fatto é che tu non cambi mai, ti ho sempre pensato come la parte migliore di me, fin da quando eravamo ragazze, ma certe volte sei pure peggio di me!!! Non ti affannare, ho capito tutto, dimmi solo quando arriva che mi metto in ordine per non farti fare brutta figura !"

Cerco di spiegarle che ho con me Padre Vittorio e che sono responsabile per lui, con la sua solita entusiasta e tenera faciloneria vorrebbe che ci incontrassimo tutti nello stesso luogo, ma non lo trovo praticabile come intenderebbe la mia dolcissima amica, così ci mettiamo ad aspettare colui che deve arrivare.

Avrei voglia di farmi dare le solite dritte che ci davamo da ragazze io e lei, ma la vedo nel contempo presa e svagata, calma ed emozionata e mi rispecchio in lei con immenso affetto. Quando si dice che l’ amore irradia di sè ogni cosa forse si pensa a questo fenomeno per cui, senza parole, io sento ed intendo il legame che vi é tra Stella e Bruno (a stento mi ha detto che si chiama così...), e sono come chi se ne sta a guardare il mare e dalla luccicante freschezza è bagnato tanto chi si tuffa, quanto chi rimane sullo scoglio.

Bruno é un uomo bellissimo, muove intorno a sé un senso di pace e di attesa fiduciosa, ha movimenti elastici e rotondi, senza enfasi, chiede con garbo ed acume quello che intende sapere e quando si volge verso di lei, sembra contenerla tutta in uno sguardo, uno sguardo come un lungo abbraccio, ed io che la conosco bene, so che cosa ci vuole per contenerla tutta, Stella!

Che fosse colto in maniera smisurata lo avevo intuito, ma dopo che mi ha chiesto dei miei interessi ed ha sapientemente saggiato la mia conoscenza, esce allo scoperto, con la grazia maestosa di un torrente roboante e luminoso.

"E’ invero singolare, per non dire sconcertante, che sino ad oggi nessun serio studioso della Tradizione abbia preso nella dovuta considerazione la figura di colui che San Francesco considerò padre e madre di tutti i suoi figli: frate Elia di Assisi - esordisce Bruno - tale “dimenticanza” è ammissibile in sede meramente storica, considerando l’avversità di parte guelfa, mai celata, nei riguardi di colui che fu intimo amico di Federico II sino all’ultimo giorno della sua vita, dividendo con lui persino la scomunica, ma diventa omissione qualora, nel ricomporre dal punto di vista tradizionale le tessere di un periodo ormai passato alla storia come “oscuro”, non si tenga nel dovuto conto quello che Elia rappresentò per ciò che noi riassumiamo nel termine unico di “mondo della Tradizione”. Colui che fra Bernardo da Bessa chiamava “vir adeo in sapientia humana famosus, ut rares in ea pares in Italia putarentur habere”, sembra essere sprofondato nel dimenticatoio della storia, nel quale una certa plebe erudita ama seppellire le figure scomode di ogni tempo e luogo. Credo di non essere in errore se affermo che anche tu non hai trovato molto nelle tue ricerche francescane, su frate Elia vero ?- dice rivolgendosi direttamente a me.

" Certamente no, anzi, i libri che ho avuto a disposizione sono scarnissimi di notizie e il mio interlocutore privilegiato, un frate minore che vedo spesso, o meglio che vedo quando ho bisogno della sua sapienza e della sua semplicità, perché gli strati delle mie inquietudini si dissipino, non ha saputo orientarmi diversamente, lui mi illumina per altro, per altre ragioni…"

"Non posso che condividere questo; é scritto infatti, che le cose sono state nascoste ai potenti e rivelate ai semplici... - poi aggiunge - Proseguendo  nel discorso, consideriamo innanzi tutto la visione politica e troveremo in Elia il più strenuo assertore di quella Renovatio Imperii di cui l’Imperatore Federico II volle farsi portatore, quando fu chiaro che suo scopo era quello di assurgere al rango di Imperator et Pontifex, come già lo erano stati gli imperatori di Roma. Questo preoccupò oltremodo il papato, soprattutto perché per Federico, in cui fiammeggiava di nuovo l’antico sogno non si trattava di rinnovare la forma, ma proprio, invece, l’essenza, la vita.

Nelle parole di Bruno vedo chiaramente delinearsi un netto contrasto tra la renovatio come era stata intesa dai Cesari romani, e che Federico intendeva ristabilire nella sua pienezza di significati, ed il potere papale. A questo punto, mi viene come una sorta di illuminazione: per quanto non conosca quasi nulla di frate Elia, vedo quali sono le condizioni nelle quali e per le quali egli fa la sua scelta. Abbraccia senza esitazione la causa dell’Impero, la sola che corrispondesse pienamente alla sua “visione del mondo”, la sola che lui sapeva coincidere con una immagine superpolitica della realtà, in cui l’Impero appariva come una istituzione sovrannaturale formante un tutt'uno col regno divino.

Tuttavia non so di che natura fossero i rapporti tra frate Elia e l’Imperatore Federico II, pertanto lo chiedo a Bruno, il quale porta dei fatti a dimostrazione di questo.

 "Sarebbe sufficiente - lui afferma - riportare l’intervento diretto dell’Imperatore in difesa del frate in occasione della sua deposizione dall’Ordine nel maggio del 1239, quando, accusato di tendenze ghibelline, venne rimosso dall’incarico nel Capitolo Generale che si tenne a Roma per la Pentecoste di quell’anno. “Questo papa”, dice Federico, “in odio a noi, ha deposto dal ministero generale un generoso e coscienzioso frate Elia, costituito Ministro dell’Ordine dei Frati Minori dallo stesso Padre dell’Ordine Beato Francesco, al tempo del suo transito; perché, per amore della giustizia a cui si è dedicato col cuore e con l’azione, promuovendo la pace dell’Impero, difendeva con evidenti argomenti il nostro nome, l’onore ed il bene della pace”. Tanta era la fiducia di cui godeva Elia presso l’Imperatore che questi lo inviò tra il 1241 ed il 1242, come suo legato in Oriente, per risolvere la critica situazione tra l’Imperatore latino di Costantinopoli Baldovino e quello greco Vatacio di Nicea; e proprio per i suoi uffici, in favore della conciliazione tra Chiesa Greca e Romana, l’Imperatore di Costantinopoli gli donò la reliquia della Santa Croce, oggi a Cortona. Verso la fine del 1239 Elia si recò a Pisa presso il campo dell’Imperatore: cadeva così nella scomunica estesa a tutti coloro che avessero avvicinato Federico II."

Sembra non provare la minima stanchezza quando parla di tali argomenti, ha spostato  l’ attenzione con disinvoltura da Elia a Federico e poi ancora su Elia, e prosegue dicendo:

"Nel 1240 lo troviamo “equitando cum ipso et cum eo morando in habitu ordinis cum quibusdam fratribus, qui erant de famiglia sua: quod redundabat in scandalum ordinis sui, presertim quia imperator excomunicatus iam erat, illis dictibus obsedit Foventiam et Ravennam et iste miser sempre in Imperatoris exercitum morabatur, dando imperatori consilium et favorem”.

Non ha il tono di chi, più che fare citazioni ama ascoltare se stesso che fa citazioni, gli é perfettamente naturale passare da un registro lingustico all altro con naturalezza, e quale naturalezza! E poi a me pare davvero suggestiva l’immagine di questo frate che, con l’abito dell’Ordine francescano, cavalca a fianco dell’Imperatore, dalle parole di Bruno vedo chiaramente come Elia aveva compreso la grandezza dell’idea imperiale come unica salvaguardia della Tradizione ed aveva intuito in Federico la presenza del “divino”.

Con una di quelle visioni che ogni tanto mi occupano la mente fino al punto che sento lontana un’eco come di clangore di battaglia, mi pare di vedere e di sentire le voci della  Pasqua del 1250, quando giunse notizia della disfatta dell’esercito cristiano in Oriente e della cattura di San Luigi di Francia.

Bruno continua a parlare di frate Elia, che per volere di Federico, chiamati a raccolta i Principi cristiani a difesa del Santo Sepolcro, accorse in Sicilia per consigliare come sempre l’Imperatore e per assisterlo nella costruzione di numerosi castelli, apprestati in occasione della sua assenza dall’isola.

"Ma Elia - continua Bruno - non fu per Federico solamente un architetto di chiara fama ed un consigliere, nonché intimo amico, bensì molto di più. Oggi è ammesso, da più parti, l’interesse di Federico II nei riguardi dell’Arte Regia e si è parlato più volte, anche se superficialmente, dell’uso “iniziatico” di castel del Monte, ma mai si è fatto riferimento a colui che fu vicino all’Imperatore più di ogni altro e che con lui dovette quindi giocoforza condividere i segreti di quella “suprema scienza” che è l’Alchimia."

Nonostante che sia molto affascinata dal modo in cui dice le cose e soprattutto dalle cose che dice Bruno, la mia forma mentale mi porta quasi di necessità a opporre alle sue, le tesi degli storici, per cui con un sorrisetto di circostanza, che convince me meno di tutti gli altri, obietto che gli storici ortodossi andrebbero cercando documenti, e non termino neanche la frase che, lui si sposta per bere un sorso d’acqua dal bicchiere posato sul tavolino, dopo aver dato una lunga sorsata mentre Stella lo osserva seguendo con lo sguardo il suo movimento, e dice:

"Teniamoli tranquilli, allora, gli storici avvalorando la mia tesi con l’esistenza di alcuni documenti che parlano da soli. Nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, nel manoscritto 567, Commenti soppressi,  sottolinea con estrema serietà, trovasi scritto:

Fr. Eliae liber Alchimiae. Incipit liber alchimicalis quem frater Helyas edidit apud Federicum imperatorem. Liber lumen de luminum transactus de saraceno ac arabico in latinum a fratre Cypriano ax compositum in latinum a generali fratrum minorum super alchimicis; Incipit liber qui lumen luminum dicitur ex libris medicorum………. Inc. Primum quod in eo esplicantur et sal armonicus quod dupliciter invenitur: Incipit liber tertius traslatus et compositus a Fratre Helya Minorum.

Ed ancora nella Biblioteca Vaticana, tra i codici provenienti dal fondo Roginense n. 1242, si legge un’opera intitolata:

Liber Fratris Rev. Eliae Generalis Ordinis Minorum Praecepta Artis Chymicae ad Federicum Imperatorem."

É praticamente una rivelazione, non so che fare per prima cosa, il latino medievale é così immediato a comprendersi, rispecchia in tutto  e per tutto la struttura del nostro stesso linguaggio da essere chiarissimo, guardo i miei interlocutori e sono io quella completamente illuminata e stupita... L’esistenza di tali documenti non può che lasciare perplessi nel constatare l’assoluto silenzio sul caso di Frate Elia. Anche per lui é valsa l’operazione per cui, ogni qualvolta si cerchi di proiettare la loro immagine dal piano meramente storico ad un piano metastorico ed esoterico, avviene un affossamento ad arte di tutto ciò che potrebbe illuminare la verità. Bruno coglie la mia sorpresa, devo avere la bocca aperta perché anche Stella mi osserva con dolce condiscendenza e, come d’intesa tra di loro, stuzzicano il mio spirito ribelle, con una sorta di filippica contro i farisei della cultura ufficiale, da anni impegnati a stabilire la circonferenza cranica di san Francesco ed il colore della sua barba: "Potremmo apparire dei maniaci - dice Bruno -  visionari sempre tesi alla ricerca di “miti” e fantasie, non ti pare, sempre alle ricerca di strane analogie frutto di personali masturbazioni mentali, dicono che mancano le prove documentali, quando quelli come noi affermano simili tesi: ma non è così".

"Non é così, accidenti se non é così... sono troppe, troppe sono le coincidenze che stanno a dimostrare come San Francesco non sia stato solamente il “poverello” d’Assisi, Elia semplicemente uno scomunicato e Federico II l’Anticristo dell’Apocalisse."

E mentre concludo enfatica, la frase, Stella riconosce in me la passionaria delle nostre lotte di un tempo, quei salti impetuosi del cuore che la vita nel frattempo ha reso meno alti, e che la consapevolezza ha smorzato, ma che continuano a spuntare invincibili, anche oggi, come allora...

Ma Bruno sta continuando a parlare: " Il nodo occulto che lega queste tre figure è senz’altro lungi dall’essere sciolto in maniera definitiva, anche grazie a coloro che con innegabile solerzia, nel corso della storia, si dettero da fare affinché sparissero documenti e manoscritti; ma ciò che a fatica riesce ad emergere dalle nostre modeste ricerche sembra essere solo la punta di un iceberg di ben altre dimensioni. Tornando dunque ad Elia, a pagina 233 della Chronica di Fra Salimbene possiamo leggere: “Di fatto, quando sapeva (Elia) che nell’Ordine vi era qualche frate che nel secolo aveva studiato di quella scienza o ciurmeria (l’Alchimia) lo mandava a chiamare e lo teneva presso di sé nel palazzo Gregoriano. In quell’appartamento dunque vi erano camere e molti luoghi segreti nei quali Elia albergava quei frati e molte altre per ove pareva che si andasse quasi a consultare la Pitonessa.

Quando Gerardo da Modena andò al Convento di Celle a Cortona, patria d’adozione di Frate Elia dopo la sua seconda scomunica, per cercare di riconciliare il frate all’Ordine, passò tutta la notte senza poter dormire e, come poi narrò, gli era sembrato di aver udito svolazzare demoni per la casa e per il convento come pipistrelli e li udiva emettere grida che gli fecero correre per le ossa tremore e terrore. Finalmente, spuntato il sole, dette un saluto ed in fretta si partì col suo compagno e riferì al suo generale quanto aveva fatto, udito e veduto.

"Mi pare - osservo - che queste due ultime cose siano "contrarie" a Frate Elia, sembrebbe quasi che, doversi riferire come unici dati alle opere di Salimbene, sia dovuto alla difficoltà di poter ricomporre in maniera organica le testimonianze relative all’attività del frate ed all’impossibilità oggettiva di poter ricostruire i suoi scritti e carteggi."

" Quello che dici è corretto - aggiunge Bruno - pensa che alla scomunica di frate Elia seguì, infatti, la distruzione sistematica dei suoi archivi segreti. Furono persino strappati dagli antichi registri del Sacro Convento d’Assisi i fogli che si riferivano alla sua persona ed inoltre andò “perduto” il Registro ove frate Illuminato segnava le lettere che frate Elia riceveva e spediva: in pratica fu tutto appositamente, faziosamente distrutto. Simile sorte, del resto, era toccata a San Francesco.  Stella - dice volgendosi verso di lei - ti va di portarmi quel testo del Dallari, lo apre ad una pagina contrassegnata da una pecetta adesiva gialla e legge: "Per comprendere la vera grandezza dell’opera di Francesco è necessario ricostruire la sua storia; non prendendo ad occhi bendati quello che la storiografia ufficiale rielaborò nello stesso Celano per tre volte, finendo poi di decretare col Capitolo di Parigi del 1266 la totale distruzione delle biografie scritte precedentemente a quella di S. Bonaventura”. Molto chiaro, vero? Ma per quanto riguarda Elia osiamo cautamente sperare che non tutto andò perduto. Molte cose, infatti, potrebbero essere ancora racchiuse tra le mura della Basilica d’Assisi, dato che la regola presentata nel Capitolo detto delle “Stuoie” nel 1221, sotto il Generalato di Elia, tra le altre cose prevedeva il divieto di possedere libri secondo la raccomandazione “rumpite libros ne corda vestra rumpantur”. Tali libri potrebbero dunque ancora essere nascosti tra le mura del Sacro Convento e, se si considera che il corpo del Santo venne rinvenuto soltanto nel 1818,  ritto in piedi murato con le braccia incrociate al petto, come se fosse legato per sempre alla catena della fratellanza che aveva creato e nello stesso tempo composto nella pace di Sorella Morte corporale. É  possibile che qualcosa di simile possa un giorno accadere anche per i libri e documenti riguardanti Elia. Qualcosa di scritto è comunque rimasto a testimoniare il profondo interesse di Frate Elia per l’Alchimia. Facciamo così: ti lascio una scheda che ho compilato tempo fa, dacci un’ occhiata e se avremo l occasione di rivederci, mi dirai che te ne pare, sei d accordo...

Rispondo che essere solo d’ accordo é davvero riduttivo: ne sono entusiasta, e aggiungo che mi piacerebbe parlarne con Padre Vittorio, riferisco brevemente a Bruno chi sia questo straordinario francescano e Bruno ne sembra interessato, mi raccomanda di non esagerare con certi argomenti per evitare di sconvolgere un anziano religioso, ma non mi vieta certo di parlarne con lui. Ovviamente ho già deciso, come al solito, cercherò il modo migliore, domani, per illustrare a Padre Vittorio queste mie scoperte.

Saluto entrambi, é ora che io vada, voglio evitare che Padre Vittorio faccia da solo la strada dalla chiesa al convento, e prometto di rientrare dopo cena, non troppo tardi, ho ancora un sacco di cose da dire a Stella.

Torno verso la città, lascio la macchina fuori dalle mura, mi scelgo una panchina che dà verso la valle e controllo quanto tempo manchi al termine della funzione alla quale sta assistendo Padre Vittorio. La scheda che mi ha dato Bruno dice press a poco così:

Il Crescimbeni racconta di aver veduto un trattato manoscritto di Alchimia composto da frate Elia ed egli stesso pubblicò un sonetto ivi contenuto nel 3° volume dei suoi Commentari sulla volgare poesia.

Nel manoscritto L-VI-20 della Biblioteca Comunale di Siena intitolato: Birelbi, Cielo dei filosofi, a.p. 124 vi è: “La nobilissima opera et altissimo magistero della Pietra Filosofale secondo lo esimio ed eccellentissimo filosofo Frate Elia”.

Nella Biblioteca Universitaria di Bologna trovasi un codice latino distinto con il n.138 contenente delle carte da 138 a 141 così contrassegnate: Liber Fratris Heliae de Assisio de occultis naturae; e dalle carte 241 a 244: Magisterium Fratris heliae ordinis minorum.

Il codice B.VI-39 della Biblioteca Casanatese in 8° contiene un opuscolo dalla carta 185 intitolato: Incipit opus Fratris Elie Philosophi.

Anche nelle testimonianze di famosi uomini e letterati troviamo traccia dell’interesse del frate per l’Arte Regia. Padre Ireneo Affò, Minore osservante, ricorda una cronaca del 1472 “in folio”, scritta in pergamena, ed appartenente alla Biblioteca del Principe Chigi in Roma, in cui è scritto che nel Convento delle Celle a Cortona, Elia: “se dederat ad faciendam operam alchimie sicut pubblica fama fuit”.

Nella “Summa perfectionis magisterii” di Gerber, del 1500, vi è un sonetto alchemico di frate Elia.

Nell’opera “Della trasmutazione metallica sogni tre”, di B.Nazari, del 1559, vi sono alcuni titoli di poesie alchemiche di frate Elia.

Anche Borellio, nella Biblioteca Chimica, del 1654, cita frate Elia.

Il Crescimbeni, già citato, a riguardo dice ancora: “Frate Elia, che fu uno dei compagni di S. Francesco d’Assisi, vogliono i chimici e gli alchimisti che fosse eccellente filosofo e ritrovasse la maniera di comporre il Lapis Philosophorum”.

Il Lempp, dopo aver parlato del codice fiorentino, in fondo alla nota a pag.122, sottraendosi ad ogni giudizio ed ad ogni conclusione, si esprime sinceramente così: “Je ne sui, pas non plus capable de comprendre e de juger un traitè d’alchimie”.

Sono poco più che note marginali ad una ricerca accurata e profonda, sono colpita dal numero di esse e dalla loro coerenza, e immagino che cosa potrebbe essere se da queste note ne uscisse un trattato. La prima cosa che mi viene alla mente é che dunque frate Elia, é stato fuor di ogni dubbio, alchimista, oltre che architetto presso Federico II, ma, visto che i suoi scritti sono dispersi o distrutti, è logico ritenere che, in qualità di architetto, non fosse soltanto aduso a “scrivere” su pergamena, bensì anche, e soprattutto, su pietra. Cerco di ricordare davanti a questo splendido paesaggio naturale e architettonico che cosa abbia mai letto sul passaggio storico-artistico dal romanico al gotico: devo immaginarmi il contesto di quell’epoca meravigliosa…