Cari Amici lettori,
con viva emozione propongo le seguenti righe. Lo scritto che apre questo numero, in realtà non è un editoriale nel senso stretto del termine. La testimonianza che segue è stata scritta dal nostro affezionato amico e articolista, Professor Antonino Cucinotta. Tutti conosciamo gli articoli di assoluto spessore culturale e intellettuale che Cucinotta da decenni scrive. Questa volta invece, nessun tema di filosofia, nessuna tematica dedicata alll’istruzione o all’integrazione. Questa volta Antonino ha messo su carta un dolore personale, intimo, privato e vero, terribilmente e drammaticamente vero. Poche settimane fa, AntoninoCucinotta dopo 52 anni di matrimonio pieno di affetto e condivisione, ha perso la sua dolce metà, la signora Caterina. Quando ho letto l’articolo giunto in redazione non nascondo d'aver pianto, e anche
questa mattina, quando ho parlato diretttamente con Antonino, la
commozione è stata forte. Come segno di vicinanza e di cordoglio, ho
chiesto al Professor Cucinotta di poter mettere quelle sue righe così
toccanti come articolo di apertura. Caro professore, la redazione per
quanto poco possa servire, le è vicina e le invia un abbraccio sincero e sentito. Sono certo che anche i lettori che non hanno avuto la fortuna di conoscerla direttamente, ma che hanno beneficiato dei suoi insegnamenti di assoluto valore tramite i suoi articoli, le sono vicini. Detto questo non credo di dover aggiungere altro, e con una certa emozione, lascio
che siano le parole del professore a entrare dentro tutti noi, e a
trasmetterci la forza che può avere un grande amore tra due persone.
Maurizio Martini
Mia madre, che io adoravo, pur addolorata dell’incidente di caccia accorsomi, mi disse: “io potrò dimenticare la tua cecità solo quando avrai sposato una brava ragazza”. Nei miei sogni giovanili mi raffiguravo la donna ideale che avrei voluto come moglie. Pur consapevole che difficilmente gli ideali si realizzino, ho sempre aspirato al raggiungimento quanto meno vicino al mio ideale. Comunque, ero deciso a rimanere celibe se non avessi trovato una ragazza che non avesse doti spirituali e morali capace di rendermi sereno e felice. Eppure il destino ha voluto che venisse a me una ragazza come io desideravo e cercavo. Si chiamava Caterina Bonanno (soprannominata “Rina”) che è stata mia moglie e che mi ha reso felice per 52 anni di matrimonio e che, deceduta il 10 maggio ultimo scorso, mi ha lasciato un vuoto incolmabile e un dolore che certamente mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni. Alla realizzazione di questo fine hanno contribuito alcuni eventi che hanno caratterizzato la vita giovanile di mia moglie e che io qui non posso fare a meno di menzionare. Infatti non si sarebbe verificato se il padre, per sfuggire ai pesanti bombardamenti americani su Messina nel 1943 non avesse deciso di portare Rina e sua sorella a Medole , provincia di Mantova, presso i parenti della madre deceduta nel 1935 con cui aveva mantenuto ottimi rapporti di parentela. Rina ebbe la fortuna di essere affidata ad una famiglia di contadini benestanti, indefessi lavoratori e moralmente rigoristi. Per due anni Rina, di 11 anni, non comandata, ma per orgoglio personale, fece gioiosamente la contadina plasmando il suo carattere in formato al comportamento della famiglia e all’insegnamento delle suore canossiane che domenicalmente frequentava. Mantenne per tutta la vita il rigorismo morale acquisito, anche se era molto aperta e disponibile al bene, come hanno potuto constatare tutti coloro che hanno avuto occasione di conoscerla. Anche se indietro con gli anni tornata a Messina, a guerra finita, riprese gli studi e, per giunta, al primo liceo classico, per situazioni contingenti, fu bocciata per il solo greco da un professore molto preparato, ma forse poco umano. Altri tempi! L’anno successivo, ella si impose contrariamente all’usuale, per essere riscritta in quella stessa sezione, consapevole del valore culturale e didattico di quei professori. Tutto ciò mi fa pensare che vi fosse una forza misteriosa, chiamiamola pure “destino”che la portava a questa decisione. Infatti, l’anno successivo, entrando in classe trovò un posto libero in un banco dov’era seduta una ragazza cieca, da cui le altre compagne si erano tenute lontane, alla quale si legò di stretta amicizia, aiutandola a studiare con sé fino al conseguimento della maturità classica. Si assunse anche volentieri il compito di accompagnarla ogni giorno alla locale sezione dell’Unione Italiana Ciechi. Ho avuto così l’occasione di conoscerla e, nel tempo, di apprezzarla e stimarla per la sua serietà, per la sua rettitudine, per i suoi molteplici interessi culturali e sociali. Amava la letteratura, la pittura e la scultura soprattutto rinascimentale, la poesia di Carducci e di Pascoli, anche l’Inferno e il Paradiso della Divina Commedia. Ho capito che era una ragazza eccezionale che io desideravo e cercavo e che il destino aveva portato a me. Dopo un anno ci siamo fidanzati manifestando un intenso innamoramento reciproco. Io avevo quasi 30 anni; lei ne aveva quasi 20. Mi confessò successivamente di essersi innamorata di me considerandomi “l’uomo” che lei cercava e di cui sentiva il bisogno per essere sostenuta, rassicurata e amata. Diceva di aver visto in me un uomo di carattere forte, capace di affrontare le difficoltà esistenziali fiducioso di poterle superare. Infatti, a chi gliene domandava rispondeva di non aver sposato un “cieco” ma un “uomo” che per tutta la vita amò con profondo amore e verso il quale non assunse mai l’atteggiamento di “Angelo”. Insieme abbiamo cresciuto tre figli che hanno pienamente corrisposto ai nostri intendimenti di vita, colmandoci sempre di profondo affetto, di premure, di sostegno, tanto da non sembrare mai di aver abbandonato la nostra casa dopo essersi felicemente accasati per conto proprio. Immaginate la gioia di mia madre, che, corrisposta, l’amò come una figlia. Con la forza del suo carattere, smontò l’opposizione dei suoi parenti al fidanzamento, né tenne in alcun conto l’opinione della gente che la conosceva, sorpresa per la decisione e per la scelta. Posta dal padre di fronte al dilemma “Università o Matrimonio”, optò per quest’ultimo anche se per lei fu un grosso sacrificio dover rinunziare per motivi economici all’Università e alla laurea in lettere classiche. Fece la maestra di scuola elementare con passione, con slancio e con profondo senso di responsabilità, conscia del delicato compito di educare bambini, spesso provenienti da ambienti poveri e non acculturati. Amò e stimò suo padre per la sua rettitudine e per la sua bontà e giammai avrebbe fatto qualcosa che lo avrebbe potuto offendere o anche solo dispiacergli. Sposati, egli, continuò a vivere con noi e, com’era prevedibile, anche io sono stato colmato di affetto e di premure. Infine, sia mia moglie che mio suocero furono felicissimi quando io decisi di lasciare la locale segreteria della sezione dell’Unione Italiana Ciechi per dedicarmi all’insegnamento della storia e filosofia nei licei statali a cui io non avevo mai rinunziato. Concludendo, posso dire che fu una moglie, una madre e una maestra impareggiabile. Auguro a tutti i miei compagni d’ombra di poter trovare nel matrimonio la stessa serenità e felicità che io ho trovato nel mio.
Carissimi Lettori,
La redazione ringrazia “Castelfiaba”, che ha dato notizia del nostro periodico del numero di marzo. Castelfiaba è un evento culturale dedicato esclusivamente all’infanzia; siamo lieti di poter collaborare con gli organizzatori di tale evento. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.castelfiaba.it.
Siamo un gruppo di Tecnici qualificati per l'educazione, l'assistenza e l'orientamento per non vedenti, operativo nelle regioni Toscana e Umbria; proponiamo i seguenti servizi:
Incontri ravvicinati è un associazione di promozione sociale nata a Firenze nel 2005 dall’incontro tra
ragazzi vedenti e non vedenti che condividevano la necessità di uno spazio per aggregarsi e confrontarsi reciprocamente. Da allora promuovono attività sportive e sociali per ragazzi non vedenti e
ipovedenti. Da quest’anno è partito in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Giovanili del
Comune di Firenze, il progetto “Incontriamoci Sabato”, una serie d’incontri sportivi e culturali per i ragazzi non vedenti del territorio fiorentino. Quest’estate l’associazione organizza con i propri soci ed interessati gite turistiche e vacanze accessibili al mare e in montagna. In collaborazione con Arci
Asino Castello (Fi) proporrà un soggiorno in colonica sul Monte Calvana per i fine settimana estivi (3
giorni) durante i quali verranno organizzati trekking leggeri con asini, preparazione insieme di piatti tipici e pizza al forno e attività serali intorno al fuoco. Per contattare l’associazione
info@incontriravvicinati.org,Cell.3345893673.
Tel. 055-0113841
Fax 178 6024955
Ciao Carissimi,
rieccoci per un’altra tappa del nostro gustosissimo “giro d’Italia”!
Questo mese ci soffermiamo in Piemonte, la mia terra adottiva che, in fatto di buona tavola e buon bere non è davvero seconda a nessuno!
E’ stato veramente faticosissimo scegliere le ricette tra le tantissime proposte tipiche di questa ricca e gustosa cucina anche perché, tante di esse sono più indicate nei mesi
freddi e quindi, ve lo prometto, rifaremo una capatina da queste parti fra qualche mese. Sperando di accontentare anche questa volta i palati di molti di voi vi saluto e vi do
l’appuntamento al prossimo numero!
Il biglietto da visita della tradizione culinaria del piemonte è rappresentato dal Barolo, vino di altissimo livello del cunese, che non ha bisogno sicuramente di presentazione,e
dal tartufo bianco d’Alba, un prelibatissimo fungo, misteriosamente sotterraneo, prodotto
che più di ogni altro caratterizza e rende omogeneo il territorio delle Langhe, del Monferrato e del Roero
Tagliato a lamelle sottili impreziosisce piatti come un’insalata di funghi crudi, l’insalata di
carne cruda o la carne all’albese, primi piatti come i tajarin o gli agnolotti, su carni come
filetto o scaloppine, no ai brasati perché sono già molto decisi come sapori, fantastico è
sull’uovo all’occhio di bue e sui formaggi a pasta morbida.
Quella piemontese è una cucina di antichissima tradizione che nel corso degli anni ha saputo preservare
quel suo carattere ibrido, di arte culinaria di alta classe abbinata a sapori talvolta rudi, propri della civiltà
contadina, come testimonia anche l’uso, talvolta spregiudicato dell’aglio, per insaporire intingoli, condimenti e minestre.
Ricette nobili e povere si inseguono e si mischiano, dando vita ad una delle proposte enogastronomiche più
eccentriche d’Italia. Il tratto più distintivo della cucina Piemontese è rappresentato da un antipasto. Si tratta della Bagna
Caoda, intingolo prettamente autunnale a base di acciughe, aglio e olio, servito nelle classiche ciotoline fornellino, tenute
calde dall’apposita candela, nel quale vengono immerse verdure crude o cotte. Un sapore deciso tipico
della regione, sebbene gli ingredienti non siano tipicamente piemontesi. Caratteristici di questa cucina eccentrica e gustosissima, sono altri due appetizer, l’insalata di carne
cruda e la carne all’albese, ambedue a base di carne, rigorosamente cruda, tagliata a fette sottili o tritata cotta nel
limone e con cospicua aggiunta dell’immancabile aglio.
Tra i primi la fanno da padrone gli agnolotti, caratteristico e molto gustoso piatto è costituito dagli “agnolotti al sugo d’arrosto”, i risotti, piatto caratteristico ad esempio è la
Paniscia di Novara, risotto cucinato con l’utilizzo di diversi tipi di carni di maiale e con i prodotti
dell’orto.
Per i secondi piatti, apertura dedicata al brasato al Barolo, pietanza del periodo invernale, manzo cotto
con verdure e spezie, tra cui ginepro, cannella, rosmarino e rosolato con una cospicua quantità di Barolo.
Interessanti varianti ai secondi nel pasto piemontese sono i formaggi. Gustosi, a pasta morbida o dura,
molti hanno ottenuto la denominazione di origine protetta. Tra le molte varietà prodotte nell’intero territorio
piemontese citiamo:
- il Bra, che prende il nome dalla città di produzione, a pasta morbida o dura secondo la
stagionatura, dal
sapore deciso e caratteristico.
- Il Castelmagno, formaggio prodotto nell’omonimo comune della provincia di Cuneo, a pasta
semidura, erborinato, dal profumo intenso e dal sapore finissimo le cui caratteristiche sono legate alla particolare varietà e fragranza delle erbe presenti
nei pascoli nonché al luogo e al metodo di trasformazione.
- Il Raschera formaggio con almeno un mese di stagionatura, di pasta cruda, pressata,
semidura. Il suo sapore è fine e delicato, profumato, moderatamente piccante e sapido se stagionato.
- La Robiola di Roccaverano, prodotta in una zona estremamente limitata a cavallo fra le
provincie di Asti e Alessandria, nella zona piu' orientale delle Langhe, è un formaggio fresco
a pasta cruda e bianca senza crosta, l'unico che puo' essere realizzato con latte vaccino, ovino o caprino. Pronto dopo solo una settimana dalla preparazione, deve la propria
particolarita' ai fermenti lattici vivi che rimangono presenti nella sua pasta fino al momento
del consumo. E' quindi un formaggio eccellente, dalla particolare fragranza e dal delicato
sapore. La Robiola e' inoltre un formaggio da tavola a pasta fresca, tenera, compatta, che
puo' essere consumato fresco o leggermente maturo.
Il Piemonte, oltre ad essere regione del buon mangiare è anche la regione del buon, anzi dell’ottimo bere. Tra i vini più pregiati troviamo: Vini bianchi:
l’Arneis di Roero, l’Erbaluce di Caluso, lo Chardonnay Pinot, ,
Vini rossi:
il Barbera, il Barbaresco, la Bonarda, il Re Barolo
Vini dolci:
il Moscato d’Asti, il Brachetto d’Acqui, la Malvasia.
E ora passiamo alle ricette.
Un tipico antipasto della cucina piemontese, elettrici perché nella salsa che li condisce c’è il peperoncino. Molto servita anche la variante “al verde” la cui salsa è fatta con aglio e prezzemolo.
In una ciotola versate abbondante olio evo e insaporitelo con gli altri ingredienti: peperoncino, aglio, sale, qualche goccia di aceto. Mescolate bene con un cucchiaio in modo che i sapori si amalgamino. In una pirofila dai bordi alti, possibilmente di vetro o pirex e con coperchio, sistemate i tomini allineandoli uno vicino all’altro (se avete comprato i rotoli dovete tagliarli in tanti formaggini alti 1 cm. Circa?). Disposti i tomini nella pirofila ricopriteli per bene con l’olio aromatico e lasciateli riposare in frigorifero protetti da un coperchio per almeno 1 giorno. Serviteli come antipasto accompagnati da crostini di pane.
Per la variante al verde frullate abbondante prezzemolo con un paio di spicchi d’aglio ai quali avrete tolto l’anima, pratica che serve per ridurre gli effetti indesiderati dell’aglio. Mescolate questo trito col solito abbondante olio evo e procedete come per i tomini elettrici.
Tradizionalmente, la carne veniva tritata usando due coltelli; oggi è molto più semplice farsela macinare dal macellaio. Condire la carne col succo di limone e di aglio, l'olio, il sale ed eventualmente il prezzemolo. Disporre su un piatto di portata, decorando a piacere.
Spennellare un piatto da portata con un po' del condimento, disporvi le fettine di carne e condire con il resto dell'emulsione. Completare con una pioggia di scaglie di Parmigiano o di tartufo bianco. Servire immediatamente. Insieme o in sostituzione del parmigiano a scaglie sono ottimi, quando è il periodo, carciofi crudi tagliati sottilissimi o anche, a chi piace, sottili fettine di sedano, la parte tenera del gambo….. ehm….stavo dimenticando una vera sciccheria….. fettine di funghi crudi, porcini o ovuli……. Gnam!
Preparare gli gnocchi lessando le patate con la buccia in abbondante acqua bollente salata. Sbucciarle quando sono ancora calde e passarle poi allo schiaccia patate. Sulla spianatoia impastare la purea di patate con farina e i tuorli e 2 pizzichi di sale. Dividere l'impasto a pezzetti e farli rotolare sulla spianatoia infarinata ottenendone bastoncini del diametro di 1,5 cm.circa, tagliare a tronchetti lunghi circa 2 cm. e passarli sui rebbi di una forchetta. Tuffare gli gnocchi in abbondante acqua bollente salata, quando vengono a galla sono cotti. Raccoglierli con una schiumarola e porli nella pirofila. Nel frattempo, in un pentolino far sciogliere il castelmagno col burro e la panna, aggiustando di sale e pepe, e, appena sciolto, condire gli gnocchi cospargendoli poi con i gherigli di noce tritati grossolanamente.
Mondare i porri eliminando la parte più dura, ma tenendo anche un po' della parte verde, lavarli, affettarli sottilmente e farli appassire con l'olio e metà del burro. Aggiungere il riso, farlo tostare leggermente mescolando con un cucchiaio di legno, irrorare col vino bianco lasciandolo evaporare, quindi aggiungere gradualmente il brodo. A cottura quasi ultimata aggiungere il formaggio tagliato a dadini e il burro rimasto, mantecare e aggiustare di sale e pepe.
Lavorare la robiola in una ciotola fino a ridurla in crema. Aggiungervi due gocce del succo ottenuto spremendo l'aglio, poi l'erba cipollina e il sedano tritati finissimamente, sale, pepe, un filo d'olio. Amalgamare bene il tutto. Salare e pepare leggermente le fettine di carne, spalmarvi la crema ottenuta e avvolgerle formando degli involtini. Sistemarli su un piatto da portata guarnito di foglie di insalata e condirli con una citronnette ben emulsionata di olio, limone, sale e pepe Lasciare riposare una mezzoretta prima di servire. E’ un ottimo secondo, fresco e nutriente adatto al periodo estivo.
Pulire gli asparagi eliminando la parte legnosa e lessarli o cuocerli a vapore per una decina di minuti (a seconda delle dimensioni), facendo attenzione affinché restino un po’ al dente. A parte, lavorare assieme le uova intere con la farina, il latte e il formaggio grattugiato fino a ottenere un composto liscio e cremoso. Aggiustare di sale e pepe. Sistemare gli asparagi in una teglia di vetro da forno, o in 4 pirofile da forno monoporzione, versarvi la pastella e mettere in forno a 200° per un quarto d’ora circa. Servire caldo ma non bollente.
Montare a neve i 6 bianchi d'uovo, montare i tuorli con 100 g di zucchero quindi unire, sempre lavorando, il burro fuso, la farina e il lievito. Nel mixer ridurre in polvere le nocciole con 200 g di zucchero e unire all'impasto dei tuorli e, per ultimi, unire gli albumi montati a neve: amalgamare bene con delicatezza lavorando l’impasto con un cucchiaio dal basso verso l’alto in modo da non fare smontare gli albumi. Versare il composto in una tortiera imburrata e cosparsa sul fondo e sulle pareti di granella di nocciola. Passarla in forno a 180 gradi per 25-30 minuti. Sformare la torta quando è fredda. Al momento di servire guarnire ogni fetta con una cucchiaiata di zabaglione caldo.
Il 17 maggio ricorre la festa di San Pasquale de Baylon, un frate francescano del XVI secolo noto per il suo eccezionale talento culinario. Conteso dalle cucine delle case regnanti, San Baylon non lesinava consigli anche ai fedeli non blasonati, e pare che il suo confessionale fosse frequentatissimo da penitenti che assieme all'assoluzione desideravano anche qualche ricetta. La più famosa prese anzi il suo nome, ed è tuttora popolarissima in tutto il mondo: si tratta del "San Baylon", da cui il piemontese Sambajùn, cioè il delizioso Zabaione.
A bagnomaria, sbattere bene con una frusta i tuorli con lo zucchero fino ad avere un composto spumoso. Aggiungere il moscato (e, volendo, anche un pochino di Porto bianco) e, continuando a mescolare, far addensare e gonfiare bene il tutto. Rispettare la cottura a bagnomaria perché, cuocendo lo zabaione direttamente sul fuoco, si rischia di farlo raggrumare o bollire compromettendo del tutto il risultato. Lo zabaione, come è noto, si fa anche col Marsala; in questo caso è meglio aumentare la quantità di zucchero fino a due cucchiai per tuorlo. Servire caldo con biscottini, friandises, torte alla nocciola o altre golosità da inzuppare. Lo zabaione è anche ottimo come base per farciture, dolci al cucchiaio, torte alla frutta eccetera.
Tritare nel mixer le nocciole insieme allo zucchero. Lavorare poi la farina ottenuta con il burro morbido fino ad ottenere una pasta morbida ma ben lavorbile con lemani. Formare con questo impasto delle palline grandi quanto una nocciola e porle sulla placca del forno, un po’ distanziate l’una dall’altra, rivestita da un foglio di carta da forno. Cuocere i biscottini in forno preriscaldato a 180 per 15 20 minuti. Estrarre la placca e lasciar raffreddare prima di muovere i dolcetti per non rischiare di sbriciolarli. Sciogliere a bagnomaria il cioccolato con poco latte e, quando sarà intiepidito, usarlo per unire 2 biscottini. Ottimi risultati si ottengono anche usando della nutella al posto del cioccolato fondente, anzi, per i miei gusti il risultato è anche migliore.
È il più celebre, assieme alla panna cotta, dei dolci al cucchiaio piemontesi. Deriva il suo nome dallo stampo in cui veniva tradizionalmente realizzato, a forma di berretto (che in piemontese si dice appunto Bonèt).
Caramellare qualche cucchiaio di zucchero nello stampo con il succo di limone e mezzo cucchiaio d’acqua. Quando sarà di un bel colore ambrato, farlo scorrere sulle pareti e sul fondo dello stampo per rivestirle accuratamente. Bollire il latte, se si desidera aromatizzarlo con la scorzetta di agrume. Battere bene le uova intere con lo zucchero, poi aggiungere gli amaretti sbriciolati e il cacao. Amalgamare bene, quindi incorporare il latte e versare il composto nello stampo. Cuocere a bagnomaria in forno (180°C) per circa tre quarti d’ora, verificando che raggiunga una buona consistenza altrimenti cuocere ancora per qualche minuto. Una volta estratto dal forno, lasciar raffreddare e capovolgere su un piatto. Per chi non ha dimestichezza con la preparazione del caramello può evitare di caramellare lo zucchero nello stampo e, una volta sformato il dolce, cospargerlo con caramello già pronto, meno profumato ma più pratico.
Dividere a metà le pesche, rimuovere il nocciolo e asportare parte della polpa circostante, mettendola in una ciotola assieme alla polpa tritata delle altre pesche. Unire gli altri ingredienti e lavorare per amalgamare il tutto. Disporre in una teglia imburrata le mezze pesche, con la parte scavata rivolta verso l'alto, e riempire gli incavi col composto. Porre su ogni metà un fiocchetto di burro e cuocere in forno (200°) per circa mezz'ora. Servire tiepide o fredde.
Presso la Biblioteca Nazionale feci ricerche su giornali d’epoca tra cui il Globo ed il Regno delle due Sicilie, stampati a Napoli prima dell’unità d’Italia. Tra il ricercatore e l’archeologo, volli riportare in luce aspetti di un mondo per sempre finito e illuminare dettagli di una umile esistenza. Nel 1844, Carmela Polese abitò in S. Maria la Fede nei pressi di Porta Capuana a poche centinaia di metri più su dell’allora vico Crispano. Un grande freddo spopolò le strade di Napoli al crepuscolo serale il venerdì 12 dicembre 1844. Borea impetuoso e mulinante negli incroci; a sollevare nembi di polvere verso i piani alti dei palazzi; a sfuriarsi rompendo invetriate, menando giù dai parapetti delle altane vasi di pianticelle. Il vento come invisibile invasato spalancava e sbatteva portoni, urlava sotto i cornicioni e come anima furiosa incalzava da dietro i passanti. Il mare del Chiatamone tempestoso con livide onde a frangersi contro i neri scogli di Castel dell’Ovo. Quel giorno fu il genetliaco di re Ferdinando II e peccato che il vento aveva spento luminarie e lanternini accesi dalla fedelissima Napoli nella solenne festività di Corte. Il giornale ufficiale nel dare il giorno dopo la relazione delle feste in occasione del 34° natalizio dell'Augusto Padrone, aveva scritto che il tempo era stato abbastanza giulivo. Invece avrebbe dovuto chiamare fazioso il vento nell’essersi divertito a spegnere la spontanea illuminazione. Nonostante il tempo rigido e il borea, le strade di Napoli erano rimaste animate di gente fino a sera, specie nei quartieri suburbani con popolazione avvezza a vivere di giorno, nel fango perpetuo delle vie. La sera del 12 dicembre 1844, ogni animale che avesse avuto un covo vi si sarebbe rintanato. Erano rimasti per strada i felici mortali senza casa che per dormire dovevano trovarsi un sottoscala, una cava, o la crepa di una muraglia ben riparata, sperando di non morire nel gelo notturno. Nel 1844 Carmela Polese ebbe venti anni, già vedova dopo tre anni di matrimonio. Se avesse indossato una veste di seta al posto di stinti e sciatti panni, avrebbe mostrato la leggiadria di quel corpo. Fronte arcuata e occhi neri contrastavano col pallore della miseria. Le sofferenze a velare il dolce aspetto. Sguardo malinconico da animale bastonato. Non rideva mai e non poté mai mostrare la leggiadria del sorriso e la perfetta dentatura. Ebbe lunghe, folte e nere trecce tanto invidiate dalle compagne. Labbra screpolate dal freddo; labbra che venti anni di patimenti avevano reso dello stesso pallore facciale. Piuttosto alta, ebbe aspetto signorile anche se il languore, la spossatezza e i solchi delle lacrime stampati sulle pallide guance mostravano patimenti e squallida povertà. Carmela Polese abitò in un tugurio della sconcia via di S. Maria la Fede collegata da una parte al grande spiazzato di fuori Porta Capuana e dall’altra alle vicinanze del Reale Albergo dei Poveri. L’oscena arteria di Napoli fu alle prime ore del dodici di dicembre vuota di passanti. Non si udì altra voce o suono che le note di un suonatore di cornamusa a fare la novena di natale nel basso di una famiglia devota di Gesù Bambino. Il sottoscala dove abitò ebbe una sola finestrina affacciata su un giardino di quelli che servono più a mantenere una costante umidità che a renderne l'aria respirabile. La luce filtrava da una graticola di ferro inserita nei bordi della finestrella senza vetri e dava luce a quella specie di conigliera umida dove faceva notte due ore prima che altrove. Per riparo erano stati inchiodati dei canovacci dietro la finestrella. La facciata del palazzo e la finestrella a piano terra esposte a settentrione, in faccia al vento. D'estate, Carmela asportava i canovacci per accogliere il sole a capolino per pochi minuti e solo per una quindicina di giorni a luglio. Solo in quel mese metteva fuori dalla grata un cencio a sciorinare su una cannuccia. Carmela abitò nell'umido ed oscuro sottoscala con l’unica figlia di quasi due anni avuta dopo il breve matrimonio con Totonno il Rosso, camorrista ucciso in una rissa davanti alla locanda O’ Schiavuttiello. Il Sarnese un altro camorrista, era venuto alle mani con Totonno il Rosso che reclamava il saldo di un debito. I due si erano sfidati nella piazzetta davanti alla locanda. La vedova Carmela e la figlia Mariuccia rimasta con un gruzzolo di piastre con cui tirare avanti sì e no una settimana. Chiese soccorso ad una zia ricevendo solo cinque piastre, essendo anche lei in difficoltà economiche. Fu in assoluto abbandono. Stretta dalla necessità di sostenere sé e la bambina, aveva venduto gli oggetti rimastegli come anello nuziale e letto. Madre e figlia dovettero accontentarsi di un giaciglio di paglia al posto di materasso e coperta. La notte tra il venerdì e il sabato del 12 dicembre, 1844 fu molto rigida. La bambina si lamentò per il freddo, per gl’insetti che gremivano il pagliericcio, per l’umido trasudante dalle pareti scalcinate e per la mancanza di cibo in stomaco. Aveva pianto e gridato tutta la notte. La madre straziata dalle parole che la piccola diceva piangendo: “Mamma, del pane! ... Mamma, le pulci! ... Mamma ho freddo!” Un'unica sedia nel tugurio. Carmela tremante di freddo con la figlia tra le braccia per sottrarla alle morsicature degli insetti abbandonatasi sulla sedia, cullandosi Mariuccia tra le braccia. L'olio emise un brusio, insufficiente ad alimentare lo stoppino che ardeva in un bicchiere. Carmela udì con tonfo al cuore il rumore dell’olio che finiva. Il lucignolo a crepitare minacciando di lasciare il tugurio nel buio. La flebile fiamma aveva lottato contro gli sbuffi del vento da sotto i canovacci inchiodati dietro la finestra. Buio. Le grida della bambina terrorizzata. Nella disperazione fu tentata di affogare la figlia e spaccarsi le tempie al muro. Giorni, giorni lunghissimi ... senza pane! Aveva afferrato la bambina per le braccia per gettarla sulla paglia e soffocarla. Le grida della bimba Mamma mamma mia! Era ricaduta sulla sedia stringendo convulsamente al seno il fragile corpo di Mariuccia. Soffocò grida e pianto in un diluvio di baci e lacrime. La natura avrebbe potuto fornirle un estremo espediente per sfamare la bambina e placarne le smanie. Denudato il seno accostò al capezzolo la bocca della figlia messasi a succhiare con avidità, per non dire con rabbia. La misera madre gettò un grido di dolore senza avere la forza di allontanare la boccuccia che le straziava il seno. La mammella disseccata anche a causa dei lunghi e protratti digiuni sembrò priva di latte, ma la natura commossasi confortò l’arsura della bimba con alcune gocce di latte e sangue. Tortura per la madre, ma le smanie dolorose della figliuola furono lenite. La bambina subito dopo abbandonatasi al sonno sulle ginocchia materne. Nella notte Carmela non si mosse dalla sedia, né per un istante ebbe deposto dalle braccia la creatura per paura che non si risvegliasse per il freddo, la fame e il dolore. Sveglia per lunghe ore, Carmela ebbe a pensare, a pensare e a pensare. Se gli angeli custodi non piangono ai nostri sterminati dolori, chi piange per noi? Un livore attraverso le fessure del finestrino annunciò il giorno nel tugurio. La bambina tra non molto avrebbe gridato: Mamma…del pane! Mamma…del pane! Parole di piombo, piombo liquefatto sul cuore. Si era alzata con la bimba in braccio. Per la prima volta a chiedersi se fosse ancora bella. Una scheggia di specchio rimasta appesa su una tavoletta a riflettere il viso. Con la mano libera si tolse dal seno l'immagine della Madonna dell'Arco e baciatala la mise al collo della sua creatura. Adagiata la bambina sulla lettiga di paglia, pianse e pregò in ginocchio la Madonna che assistesse Mariuccia, misera anima di Dio. Con la bambina in braccio che si lamentava nel sonno, ammantatasi con lo scialle, chiuso l'uscio, fu in strada diretta alla casa di donna Filomena. Le forti ventate la facevano lacrimare, ma forse non fu il vento. Ebbe a pregare la Madonna che non la facesse cadere nel peccato. Il breve lamento della figlia la spinse a proseguire. Camminando rasente le mura ebbe un’idea. Fu la Madonna nel tentativo di salvarla? Entrata nella chiesa di santa Brigida, tolto lo scialle penetrò in sagrestia. Dicevano che don Armando era uno dei pochi ad esercitare il sublime ministero secondo lo spirito evangelico e lo spirito del cuore. Chiese di don Armando al vecchio sagrestano: “Sta sopra, nello studio. Non vuole che lo si disturbi.” “Allora salgo. Ho da riferirgli una cosa importante.” “Figlia, io non so come vi accoglierà. Se volete ve lo chiamo.” “Allora aspetto, aspetto qua.” La donna disperata e la figlia che piagnucolava in braccio avevano impietosito il vecchio. Curvo per artrosi salì a chiamare il prete. Don Armando affacciato dallo scalone chiese: “Buona donna che volete?” “Don Armando, sono Carmela, Carmela Polese la vedova di Totonno il Rosso…” "Capisco, ma non posso fare niente per voi, non ho niente da darvi.” "Un grano per san Gennaro benedetto.” Il prete le gettò dall’alto quanto la donna chiedeva. Carmela disse: “Se non potete aiutarmi, allora vi prego di poter tenere solo per questa mattina la mia bambina che sono trentasei ore che non mangia. Il vostro sagrestano potrebbe farmi il favore.” "Il vescovo vieta che possiamo tenere bambine in parrocchia. Il sagrestano vi darà del pane fresco e qualche fico secco. Più non possiamo. Arrivederci e…non venite più qui.” Davanti all’Orto Botanico chiunque avrebbe notato ai lati della via dei Fossi a Pontenuovo, una con un velo nero davanti agli occhi, con una bambina in braccio, avvolta in scialle. Era Carmela a chiedere elemosina: “Un grano, un grano per san Gennaro benedetto.” Qualcuno alle sue insistenze disse affrettando il passo: “Via, via, non ho rame." Nel pomeriggio due giovani diretti al teatro di S. Ferdinando si furono incrociati con la mendicante dal velo nero. Uno dei due scopertole il velo dalla faccia, disse: "Non sei brutta. Perché, invece di chiedere elemosina, non poni a profitto la tua giovinezza?” Avrebbe voluto piangere. Morire. Ma non poteva permettersi di morire. Era andata via da lì, diretta da donna Filomena, l’unica speranza. Carmela raggiunse la bettola in Piazza Loreto per parlare con il padrone del locale. Avventori seduti nei tavoli a mangiare. All’odore del cibo la bambina si fu svegliata guardando attorno e chiedendo con gli occhi il pane, ma senza lamentarsi timorosa per via di quegli sconosciuti. Carmela chiese all’Avellinese, padrone del locale: “Scusatemi, devo parlare con donna Filomena.” Facendo capire che aveva da fare, disse in modo sbrigativo: “Viene a mangiare tra poco. Aspettatela fuori.” Carmela all’entrata della bettola, sotto il muro per ripararsi dalle ventate. Cullava la bambina che succhiava un tozzo di pane comprato con il grano del prete. Dopo un pò vide spuntare una avvolta in mantiglia sfrangiata: donna Filomena. Carmela andatale incontro: “Donna Filomena, sono Carmela. Vi devo parlare.” “Ah, siete voi. Entriamo nella bettola e parliamo.” “Preferisco altrove. Andiamo in un posto dove potremo almeno discorrere a nostro agio. La vista di quella gente mi fa male al cuore.” Donna Filomena accomodante: “Andiamo dunque a casa mia; non è lontana da qui. E’ proprio nel gomito del vico Pemminelle col vicolo delle Pergole. Vi staremo sedute accanto a un buon braciere. Anzi, voglio che tu e la tua bimba abbiate stamattina a far penitenza con me. Vieni, vieni, mia cara figlia.” Carmela come trascinata a rimorchio. Avevano rifatto la strada delle Pergole,svoltato a sinistra e imboccato il piccolo portone di donna Filomena. La donna intuita la grave situazione di Carmela usò ogni arte per giovarsi della disponibilità a vendere quel leggiadro corpo. Donna Filomena diede a Carmela ed alla bambina i più gustosi alimenti. Lei e la piccina ogni giorno avrebbero potuto mangiare lì, dormire su soffice letto e andare in giro con leggiadre vesti. Carmela non avrebbe avuto bisogno di guadagnarsi da vivere, o di logorarsi le reni di fatica. Era arrivato il momento di pigliarsi del ristoro dopo sventure e tribolazioni. Una giovane bionda di nome Maria, fresca, rubiconda in viso, più felice di una regina, era capitata proprio allora in casa di donna Filomena. Maria per la quale pareva che la vita non avesse niente di serio fu una delle duemila donne quasi quindicenni iscritte ai ruoli della prostituzione. Carmela rimasta sola con Maria la interrogò: “Ditemi, vi trovate bene con donna Filomena?” “Per me è il massimo. Ero orfanella e riuscivo a campare chiedendo elemosina davanti all’atrio di una chiesa e alle bettole come tanti bambini. Questi ricordi mi sanguinano come una ferita aperta. Al primo mattino, sostavo affamata con un gruppo di ragazzi – maschi e femmine - davanti alla bettola di Ciccio, a piazzale Loreto. Seminudi nonostante il freddo, ognuno con un sacchetto, una paccottiglia legata ai fianchi. Avevamo…avevano dormito all’aperto, ammassati sui gradini di qualche chiesa, sotto la panca di un acquaiolo o sotto un sostegno di pali contro una muraglia. Tremanti e deperiti non ci arrischiavano ad entrare nella bettola temendo le grida e le botte del bettoliere, o del garzone, oppure i morsi del cane mastino da guardia. Sostavamo lì davanti, l’uno appoggiato alla spalla dell’altro e aspettando che un cristiano ci gettasse un tozzo di pane da contendere al cane. Se qualcuno ci gettava del cibo più sostanzioso, c’era zuffa accanita.” "Povera figlia.” “Poi un giorno mi vide per caso donna Filomena. Mi chiamò. Vide che ero alta così disse: sei alta. Puoi diventare una bella bambina. Vieni appresso a me.” Carmela pensò a sua figlia che riposava stremata. Maria disse: “Donna Filomena mi ha vestita e sfamata. Mi disse che dovevo vedermi con un uomo caduto nel potere del diavolo della concupiscenza. Disse che non dovevo avere paura, che non mi faceva male. Accettai. Così mi vidi con questo uomo molto più grande di me.” Maria disse a bassa voce: “Io e lui spesso giocavamo a fare io la sposa, vestita come una vera sposa e lui allo sposo. Camminavamo per la camera io a braccetto di lui, poi lui mi prendeva e mi spogliava sul letto. Mi sfilava i calzini…mi sollevava la gonna…Mi capite?” “E chi era questo uomo?” “E’ un segreto che solo a voi dico. Questo uomo viene qui di notte quando è sicuro di non essere seguito. Viene dal suo ufficio di polizia. E’il commissario di polizia del quartiere Porto. E’ lui che mi ha regalato vesti nuove. Dice che sono la sua regina, così dice.” A sera, donna Filomena disse a Carmela: “Non posso tenerti qui a dormire tutte le sere, perché non ho un lettuccio per te e per la bambina, né posso farti dormire con le mie ragazze nella casa che tengo in fitto, nel vicino vico Crispano. Può arrivarmi la visita impensata del commissario Mammola dell'ufficio Sanitario e finiremo in carcere tu ed io. Dunque, per questa sera faremo così: quando la tua Mariuccia si sarà addormentata e l'avrai messa a riposare sul mio letto, noi usciremo insieme e ce ne andremo nel mio locale, al vico Crispano. Farai conoscenza delle tue compagne e di donna Giovanna la mia comara, che tengo a guardia delle fanciulle. Lì passeremo la serata allegramente; faremo la nostra cenetta e dopo ce ne torneremo qui a dormire, acconciandoci alla meglio sul letto mio. Domani ti condurrò alla Consolazione dove ti farò iscrivere nei pubblici registri e domani sera rimarrai a dormire con le tue compagne. In quanto alla tua figliuola, sarai padrona di tenerla con te, oppure di mandarla in un ospizio per non avere seccature appresso. Penso che questa ultima ipotesi sarebbe la migliore.” Carmela come trasognata, immersa in una strana fantasmagoria. In tutta la sua persona un benessere inusitato, un appagamento del corpo per il copioso pranzo testé fatto. La stessa contentezza aveva visto sul visino rubicondo della figlioletta. “Aspettami una mezz'ora, ed io sarò di ritorno per menarti meco – disse donna Filomena - intanto, fa che la fanciulla si addormenti.” Carmela sola con la figliuola si ricordò di Maria, poco prima vista, quella giovane fresca, bionda, sorridente e felice. Di certo Maria mangiava di caldo ogni mattina due o tre pietanze, beveva del buon vino, dormiva su un buon materasso e non faceva niente di faticoso. Perché badare al disprezzo della gente? Perché temere che la dichiarassero impudica e infame? La bambina si era addormentata tra le braccia della madre, la prima volta senza chiedere del pane. alla mamma. Mariuccia assopitasi sazia con il sorriso alle labbra. La madre, lo sguardo fisso sulla figlia, avrebbe voluto dire con un ghigno: “Figlia mia, ieri sera ero ancora virtuosa ed onesta e tu figlia mia cara, non avevi mangiato in tutto il corso del giorno che un soldo di pane e il freddo assiderava le tue membra e gl’insetti divoravano le tue carni. Tutta notte tu non facevi che piangere e gridare piena di tormenti. Stasera, invece tu dormi il sonno placido e profondo di un corpo soddisfatto nei suoi bisogni. Bisogna sopravvivere, figlia mia.” Erano state suonate le ventiquattro ore. D’istinto Carmela si fece il segno della croce e fatto pure alla innocente bambina. La recita dell’avemaria spentasi sulle labbra alle prime parole, sapendo ciò che l’aspettava. Una voce dal profondo a mormorarle: tu non sarai più che una ombra abbietta ed infame. L’angelo custode? Una frase di donna Filomena l'aveva riempita di angoscia: “ Domani, domani io ti menerò alla Consolazione per farti iscrivere.” Carmela fattasi coraggio, aveva chiesto a donna Filomena: “Che cosa era questo luogo? Che significava quel doversi ella iscrivere?” “Quale luogo, figlia?” “Poco fa mi avete detto che mi devo iscrivere alla Consolazione…” “Ci sono i regolamenti da rispettare. Vi dovete iscrivere nei registri dell’Ufficio Sanitario per le visite sanitarie di controllo. Ogni quindici giorni dovete farvi visitare presso l’ospedale-carcere di santa Maria la Fede. I chirurghi controlleranno come state di salute e se avete contratto la venerea infezione detta morbo gallico. Inoltre dovrò passare dal Commissariato di Prefettura e presso il Commissariato di quartiere per altre formalità. Ma non vi preoccupate. Ho buone conoscenze e non ci saranno problemi. Tutte le spese per queste incombenze spetteranno a me. Voi non vi dovete preoccupare. Pensate che questa è la vostra salvezza, figlia mia. Lo fu anche per me: sfuggite dalla morte che avrebbe abbattuto voi e la bambina.” Carmela non ebbe il coraggio di fissarsi su tali pensieri. Un altro dubbio a gettarla in agitazione: con chi sarebbe rimasta Mariuccia nel tempo che lei sarebbe andata fuori con Filomena? Poteva lasciare sola in quella ignota casa la piccina addormentata? "E se noi usciamo, chi resterà accanto alla mia bambina?” Con pazienza, donna Filomena disse: “A questo ho già pensato. Lasceremo qui a guardia di nennella Rosaria, che sta adesso nell’altra stanza. Rosaria ha dieci anni, vive qui e ha il compito di venire subito ad avvisarci se nennella si sveglia.” “Aspettami qui con Rosaria, io verrò stanotte a prelevarti mentre Rosaria, come ti ho detto, farà da sorvegliante a tua figlia.” Verso l'una di notte donna Filomena fu di ritorno: "Sei pronta, Carmela?” Carmela aveva chiesto come se non capisse ancora: “A che?” “Come? Come a che? Non devi venire con me?” “Dove?” “Dove? Dove? ... Ma tu a che pensi? Dove hai la testa? Non è stabilito che tu abbi a venire stasera nel mio locale?” "A far che?” “Uh! Santa Anna! Tu mi sembri una scimunita. A fare che? A fare ciò che fanno le altre figliuole che sono là. Dorme nennella, tua figlia dorme?” “Sì.” “Dunque, andiamo, che è già tardi. Un'ora di notte è suonata e le guardie non mancano mai di starci addosso. Tu non sei ancora iscritta alla Consolazione. Può essere pericoloso.” Carmela persuasa, o meglio rassegnata come la vittima al patibolo. Si alzò dal fianco della sua bambina; le fece di nuovo il segno della croce; le posò un bacio in fronte, ricomposto i panni addosso, ricoperto il capo col fazzoletto e lo scialle che aveva avuto con sé dal mattino. Disse a donna Filomena: “Andiamo.” La sera scura e tetra ... Le vie deserte ... Il piede che affondava nel fango. Tremavano i ginocchi e i denti alla povera Carmela. Fu già in strada quando la Filomena era ancora per le scale non potendo speditamente menare innanzi una gamba davanti all'altra per la eccessiva pinguedine. Carmela ebbe l’impulso di fuggire. E la bambina? Nascondersi in quelle viuzze buie, eclissarsi dalle ricerche della Filomena e tornare a riprendersi la figlia. Donna Filomena apparsa sotto la soglia del portoncino: “Vieni appresso a me, Carmela. E’ qui vicino. Sono appena due passi.” Svoltato a sinistra avevano imboccato il vico Crispano. Guardando su, donna Filomena disse: “Siamo giunte.” Donna Filomena a impartirle istruzioni: “Figlia mia, se un cliente ti chiede una prestazione diversa dal solito, puoi accontentarlo solo se paga di più. Fa sempre il patto prima. Se qualcuno fa storie, chiama donna Giovanna nello stanzino di lato al ballatoio.”Risa sguaiate, voci di donne e uomini da sotto una persiana di giunchi a coprire il vano di una finestra illuminata. Entrarono in un piccolo portone infangato e sudicio per immondizie perenni. La scalinata mezzo dirupata in fondo al cunicolo. Lo stabile stava lì dalla dominazione spagnola. Lanterna ad olio da una incavatura del muro con flebile luce sulla scalinata pericolante. Più si saliva e più fitto fu il buio. Alla fine c’era un unico piano il cui uscio non si chiudeva che a notte avanzata. Una casa di quarta categoria, una specie di succursale dei lupanari nei vicoli infami del Cavalcatore. L’alcova era di due camere non intonacate dalle cui travi pendevano cenci dipinti a guazzo come festoni, forse risalenti ai tempi di Carlo III, o anche prima. I dipinti a rappresentare scene d’innamorati e di satiri con giovani ninfe. Sulle pareti delle due stanze ridotte alla primitiva nudità di costruzione, gli avventori si erano divertiti a sbozzare disegni erotici più immaginosi degli affreschi pompeiani. Le due camere suddivise ognuna in tre stanzini da paraventi di telaccia. Ogni stanzino con il proprio materasso di capecchio. Donna Filomena aveva introdotto Carmela in uno degli stanzini liberi. Le disse sottovoce: “Tra poco arriva il tuo cliente. Tu torni da tua figlia solo domani mattina. Non succede mai niente. Se qualcuno fa storie, chiama donna Giovanna.” Donna Filomena era andata via. C’era posto solo per stare seduta sul bordo del letto. Di là dal paravento di tela un uomo fotteva con una disgraziata come lei. Di là dal paravento rantoli e sospiri. In un incavo del muro, al chiarore della lanterna la mappina per pulirsi. Il primo cliente sollevò la tela. Nel vederla disse sottovoce: “Uhè, perzechella!” Carmela lo guardò sottecchi trattenendosi dallo schifo. Era Peppe Bussolotto un vero camorrista da postribolo. Tarchiato con radi capelli e nuca rasa a zero: la rasatura della nuca, di uso presso i camorristi. Le labbra coperte da radi baffi e guasta dentatura di vario colore, tranne che bianca. Lo schifo di quell’uomo segretamente la eccitò. Volle vedere la sua meraviglia quando lei gli apriva le cosce. Lo vide che annaspava e sgranava gli occhi. Pensò che il sesso poteva essere un’arma, l’unica con cui tentare di difesa. Mentre giacque, Carmela capì altre cose. L’alternativa sarebbe stata la morte per fame e per freddo della bambina e poi per lei. Se fosse stata fortunata, non avrebbe contratto il morbo gallico almeno per una diecina di anni. Oltre quel limite non ci pensava. Sopravvivere, non vivere. L’uomo mentre la fotteva, la baciava pure. Le disse in orecchio: “Tu sei la più bella qui. Chiederò solo di te.” I pensieri di Carmela rivolti al giorno dopo, quando avrebbe riabbracciato la bambina. Le arrivò dentro e glielo tirò. Carmela si pulì con la mappina. L’uomo nel tirarsi lo sproporzionato membro nelle brache ebbe sorriso appagato. Alla debole luce era ancora più brutto con le ombre che incupivano lo sguardo e quella faccia butterata dal vaiolo lucente di grasso. Peppe Bussolotto le ebbe a dire chinandosi verso di lei: “Perzechella, stanotte ho portato via il più bel trofeo della mia vita dannata. Ho scacciato dal tuo corpo le orme di tuo marito. Solo io ti ho posseduto dopo di lui. Questo è un trofeo. Il più bello." "Hai finito, paga e va’ via.” “Perzechella, sono un camorrista gentile. Uno che sa leggere e scrivere. Per questo penso anche. Ti dico che ogni uomo desidera prendersi la donna che è appena stata di un altro maschio. Per questo mi piaci ancora di più.” Carmela non vedeva l’ora che lo sgorbio se ne andasse. Peppe le disse all’orecchio: “So chi ha ucciso tuo marito. Questo uomo adesso è nel carcere della Vicaria dove la camorra fa ciò che vuole. Mi farò dare i soldi che doveva a tuo marito e dopo lo ucciderò. Con quei soldi tu vivrai ricca e rispettata, ma dovrai essere solo mia. Accetti?” Carmela lo guardò. Ebbe pietà e schifo per l’uomo che la osservò voglioso. Si fece la croce d’istinto. Ebbe a pensare, poi gli fece cenno di sì. Nel 1844 a Napoli – dai registri dell’Ufficio Sanitario - secondo l’art. 18” del Regolamento – risulta che il numero delle prostitute fu di circa duemila su seicentomila residenti. Nello stesso periodo a Parigi la cui popolazione ammontava ad un milione ci furono 400 prostitute iscritte nei pubblici registri e 800 a Londra che contava due milioni di abitanti. Giornale il Globo, anno 1844: …E accadeva che le morti per freddo o per fame non erano oggetto di denuncia da parte dei medici. Si moriva all’ospedale dei Pellegrini per tisi, tifo, colera, apoplessia, febbri reumatiche, gastriche, di convulsioni epilettiche, ma mai di fame o di freddo… Il Giornale del Regno delle due Sicilie, anno 1845: …In un inverno tanto rigido come quello tra il 1844 e il 1845, il freddo e la fame fecero vittime anche nelle campagne vicino Napoli. Le vittime in maggioranza donne e bambini. Soccombevano come al solito per lo più le deboli, le abbrutite, le vecchie e le madri denutrite. Quelle più in forze si salvavano dalla morte del corpo andando in città scalze, coperte di cenci, le labbra livide. Andavano in città a vendere il corpo per prostituirsi. Parecchie trascinavano con loro i figlioletti, pallidi, deboli, rachitici e piagnucolosi. …Per alcune coi figli consunti, l’ospedale de’ Pellegrini era ed è l’approdo prima del cimitero….
Nei giorni 28 e 30 marzo scorsi, il Centro di Distribuzione del Libro Parlato di Napoli, in collaborazione con la Sezione Provinciale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e con l’Associazione Linea D’Arco, ha organizzato due “letture al buio” rispettivamente presso la Biblioteca Comunale di San Giorgio a Cremano e presso la Stazione Marittima di Napoli nell’ambito di “Galassia Gutemberg”. Con l’organizzazione di questi eventi, organizzati già altre volte nella nostra Provincia, il Libro Parlato propone una lettura innovativa che, nell’impossibilità di leggere con gli occhi, esalta le abilità percettive di ciascuno, vedente e non vedente e rende possibile un’esperienza sinestetica, ossia un approccio multisensoriale al testo. La voce, accompagnata dal pianoforte, permette, infatti, di sollecitare non la vista, ma l’udito e di far emergere le sensazioni che solo una narrazione ad alta voce esalta ed evoca. Abbiamo parlato di voce e piano forte infatti in un ambiente completamente oscurato, l’attore Costantino di Criscio, accompagnato magistralmente dal piano di Ivan Dalia, ha letto dei brani tratti da “Esercizi di stile” di Raymond Queneau offrendo una meravigliosa occasione per sperimentare differenti registri interpretativi e diversi punti di vista. Gli eventi, intitolati proprio “Punti di vista”, sono stati anche una occasione per presentare ai politici e alla cittadinanza i servizi offerti dal Libro Parlato e per reperire nuovi donatori di voce al fine di ampliare il servizio e l’utenza.
Nel precedente numero del periodico, abbiamo pubblicato la presentazione di un libro molto importante riguardante l’alluvione di Firenze. Per un errore in fase di impaginazione, parte
dell’articolo non era stato pubblicato. Proprio per rimediare all’inconveniente, presentiamo nuovamente l’articolo nella sua interezza. Ci scusiamo ancora per il contrattempo.
Il testo in questione è stato scritto da un fiorentino doc, Vincenzo Liguori, che in prima persona ha vissuto la drammatica alluvione di Firenze. Il Signor Liguori prestava in quegli anni servizio militare
nella direzione di una caserma, e tanto bene e aiuto portò in quei giorni drammatici, che hanno lasciato all’amata città di Firenze varie ferite indelebili. Adesso a molti anni di distanza
l’amico Vincenzo ha messo su carta molte verità scomode
che cercano di gettare nuova luce sul quel disastro, e su ciò che doveva essere fatto e invece come spesso accade nel nostro bel paese, non fu fatto.
Maurizio Martini
Corrado Tedeschi editore
Firenze via Massaia 98, 50134 Fi.
Tel. 055-495213-495214
indirizzo e-mail: cte@tedeschi.net
Finito di stampare nel mese di settembre 2006 da C.G.E. - Centro Grafico Editoriale, Firenze.
Mi sono dedicato a questa opera di memoria per un doveroso rispetto verso quanti mi hanno accompagnato nell'esistenza, mi hanno sorretto nelle esperienze tristi e liete e mi sono rimasti sempre vicini e fedeli. A loro vada il mio ringraziamento per la costanza e la pazienza. Un particolare grazie per la disinteressata consulenza legale, all'Avv. Alessandro Brogi. Il contenuto del saggio composto da un testo e dai XXXIV allegati, è autobiografico e prende spunto dal grande amore per questa terra e da quanto concorre a renderla unica al mondo. La natura con i suoi paesaggi così variegati, le Alpi Apuane e il monte Amiata, la morbida morfologia dei rilievi, dagli Appennini alle degradanti colline e pianure che portano fino al mare, i suoi corsi d'acqua brevi e irrequieti, i suoi bizzarri abitanti, la sua storia antica e recente sono l'oggetto e la giustificazione di tanto amore. Tanta dedizione è solo un modesto omaggio alle mie radici che in questa terra si affondano e da essa hanno tratto origine, vita, motivo d'impegno, sostegno, giustificazione e riferimento per la coerenza di comportamento del mio vivere. una testimonianza verso tutti quei concittadini e non che ebbero la ventura di essere presenti agli eventi di quel lontano 1966. Si ripromette di essere un contributo alla conoscenza della verità di quelle ore che ancora non è stata svelata. Quarantanni dovrebbero essere sufficienti a sollevare la coltre delle paure e dei misteri che coprirono, come sempre, molti interessi. Molti degli attori di quei giorni non ci sono più e non aggiungerebbero nulla a quanto ormai fa parte della storia. Il tempo trascorso ha consentito il placarsi degli animi e delle coscienze che allora insorsero di fronte al disastro. Dedico questo contributo a tutti gli " io c'ero ", a tutti gli " io c'ero e feci " che sono tanti e perché no, anche agli " io c'ero, ma non feci nulla.......". Il rispetto della memoria e il ricordo degli avvenimenti del passato sono una garanzia per il presente ed una speranza per il futuro. Se è un obbligo preservare l'attualità, nel culto di quanto è avvenuto e di quanti ci hanno preceduto, è pur vero che un Paese che non coltivi la memoria, o peggio la tema, non può avere solide radici ed induce a prevedere grosse incertezze per il suo futuro ed a nutrire seri dubbi sul suo progredire la conoscenza degli avvenimenti nella loro autenticità e la conoscenza dei nostri luoghi, delle nostre tradizioni e delle nostre esperienze ristabiliranno i giusti valori della realtà e della memoria, saranno di monito a quanti ci seguiranno ed in una epoca di crescente pressione immigratoria, rappresenteranno la migliore offerta che dovrà essere accettata, come bagaglio di cultura e di sapere, da quanti, per altri tristi motivi, verranno e vorranno a noi unirsi, per convivere in questo "gioiello di terra ". La ricerca di tutte queste nozioni e notizie ed il perseguimento caparbio delle "verità " di quelle ore, in un quadro di realistica revisione storica di quel tragico evento, seppure invogliato a togliermi un annoso dubbio dall'animo, è divenuto certezza solo nel settembre 2005. Pur in prossimità della celebrazione del suo quarantennale, non devono impressionarci e farci paura. Al legislatore la tragica esperienza di quei giorni servì per prendere coscienza della gestione "non molto attenta e curata " degli uomini preposti alla sorveglianza del territorio ed al governo e alla sicurezza dei cittadini. Gli servì anche per prendere coscienza dell'opportunità di prevedere con più lungimiranza i fenomeni della natura e di assicurare una più attenta sorveglianza dell'ambiente. Lo convinse della necessità d'adeguare e revisionare l'apparato del governo centrale e periferico. Dì acquisire in un 'epoca di globalizzazione mondiale e di veloce progresso tecnologico, una necessaria e diversa "cultura " di conoscenza dell'ambiente e di sorveglianza del territorio, con la creazione di un nuovo modello d'organizzazione centrale e periferica e di Difesa Civile, insieme ad un possibile, diverso e coordinato impiego delle FF. AA., ristrutturate ed adeguate alle nuove esigenze operative, che gli consentissero di far fronte con tempestività e d'intervenire con più rapidità dove necessario. Così l'avere ritrovato e portato alla luce i documenti riferiti agli avvenimenti di quei giorni nella loro autenticità, non deve suonare ad intempestività, a scelta di un momento poco felice e indelicato nei confronti degli attuali "reggitori" del governo centrale e locale. La presa di coscienza di verità, anche se scomode, dovranno essere interpretate eventualmente come esempi da non seguire, moniti per non ripetere gli errori e per non ricadere nelle stesse mancanze. Fungere da stimolo, ma soprattutto servire per predisporre sistemi di difesa e di gestione più efficienti ed adeguati alle mutate esigenze e alle attuali realtà ambientali. Senza dimenticare che le minacce e i pericoli sono sempre dietro l'angolo, possibili ed incombenti e che la natura nella sua imprevedibilità, è sempre pronta a riproporli, anche di maggior gravità ed intensità. Per garantire in un quadro di maggior previdenza e di controllo della situazione, la sicurezza dei cittadini e la salvaguardia di un patrimonio d'inestimabile valore, si è proceduto ad una profonda revisione di tutto il sistema. La prova di questa volontà è del resto rappresentata dalla revisione e dalla ristrutturazione avvenuta in questi anni delle FF. AA. ed del loro adeguamento ai nuovi compiti di difesa nazionale. L'averlo associato anche a possibili ulteriori compiti internazionali, hanno indotto il governo centrale a prendere atto della necessità di dovere procedere a una veloce e necessaria sua revisione. Lo strumento infatti appariva ormai non più idoneo, troppo invecchiato ed inadeguato alle molte- plici e nuove realtà ed esigenze operative. Nel quadro della revisione totale si attuò così la riorganizzazione dell'intero apparato statale centrale e periferico, quella delle FF. AA. e si istituì un Ministero per il controllo dell'Ambiente e del Territorio con organi periferici, affidati alle Regioni. Si nominarono con leggi specifiche le Autorità di Bacino preposte alla sorveglianza, controllo e gestione dei principali fiumi e dei più "sensibili" bacini idrografici nazionali. La revisione storica dell'evento dell'alluvione, resa possibile solo nell'anno 2005, dalla venuta alla luce dei documenti originali degli "attori" di quelle giornate, potrà anche fare individuare le "responsabilità" che all'epoca non fu ritenuto opportuno di fare emergere e conoscere. Quale migliore occasione della celebrazione del quarantennale per fare conoscere le "verità" di quelle ore raccontate dagli stessi protagonisti, che serviranno così a verifìcare la bontà di questi cambiamenti e provvedimenti, in parte già avvenuti ed in parte ancora in via di realizzazione. Ma anche per ristabilire i giusti valori della memoria e del passato, per eliminare dubbi e possibili zone d'ombra nella interpretazione di quelle ore e nel prendere coscienza magari oggi per allora, con un atto di umiltà, delle vere e reali "responsabilità" degli allora reggitori della "res pubblica ". Sarà un 'opera non inopportuna, ma di necessaria autocritica dell'intera comunità e dei suoi rappresentanti, un atto di riconoscenza verso quanti subirono danni materiali e morali ed a quanti misero in gioco e rischiarono la vita, senza dimenticare le vittime innocenti che nell'occasione trovarono la morte. Ma sarà anche per tutti una costruttiva "lezione" ed esperienza di vita, capace d'insegnare a non ricadere negli stessi errori. Di certo l'occasione per riunire e ringraziare gli "angeli del fango" civili e militari e per fornire un esempio concreto alle nuove generazioni di cosa deve intendersi per "solidarietà", accoglienza e rispetto del passato. L'occasione della celebrazione e l'attenzione che sarà posta per festeggiare la scadenza dei quaranta anni, potranno così essere l'occasione per verifìcare l'efficienza dell'intero apparato predisposto alla gestione, controllo e sorveglianza dell'Ambiente e del Territorio, per controllare l'adeguatezza delle Leggi e dei Regolamenti e per verifìcare la funzionalità degli Organi e degli strumenti centrali, periferici e locali, preposti a garantire la sicurezza dei cittadini. Perfinire, buon ultimo, ma non meno importante ed opportuno, per fare il controllo ed il punto di guanto fin qui realizzato per il recupero e la difesa del patrimonio artistico e di quanto ancora limane da fare.
a del 4 novembre 1966. La pioggia cade senza tregua da settimane e non accenna a fermarsi. Firenze è ancora addormentata, le strade sono deserte, in giro ci sono poche persone. Nessuno sa quello che sta per accadere, nessuno immagina che tra poche ore si consumerà una tragedia che segnerà per sempre la storia di questa città, nessuno sa che la culla del Rinascimento sta per essere colpita a morte dalla natura. Firenze dorme, riposa, in attesa di festeggiare l'anniversario della Vittoria della Prima Guerra Mondiale e non immagina che sta per essere colpita al cuore ed oltraggiata dal suo fiume: l'Arno. Una massa d'acqua e di detriti di ogni genere sta per riversarsi nelle strade del centro, sommergerà i suoi tesori più belli, la sua storia, la sua cultura, i suoi libri, i suoi monumenti testimoni della sua età. Tutto sta per essere travolto da una immensa quantità d'acqua e di fango. Il Duomo e il Battistero con i loro tesori, Santa Croce con il Cristo del Cimabue che raggiunto dai flutti così irriguardosi, sarà danneggiato in modo irreparabile, la Biblioteca Nazionale con i suoi preziosi documenti storici, la culla del sapere del mondo, rischieranno di scomparire per sempre. Così l'Arno fa il suo colpo grosso, strappa alla città il suo passato e diviene l'arbitro del suo futuro. Colpisce al cuore l'arte, il sapere e la scienza, l'anima vera di Firenze. L'invasione irriverente delle acque melmose e luride avrà il sapore quasi di un castigo.
Cari amici Un nostro carissimo lettore, il signor Giuseppe Lurgio della provincia di Salerno, mi ha regalato dei portachiavi fatti in legno da lui stesso, per farmi conoscere una delle sue passioni: ha l’hobby del legno, usando semplici attrezzi manuali e legno riciclato. Lo scopo del nostro lettore non è quello di fare pubblicità della sua passione, ma trasmettere alla società comune che i portatori di handicap hanno la capacità e la voglia di trasmettere le proprie passioni e sogni che si possono realizzare tra le mille difficoltà che si incontrano strada facendo. Il suo è un invito rivolto in modo particolare ai portatori di handicap che hanno voglia di fare qualcosa di utile per se stessi e per la società comune, trascinando coloro che hanno difficoltà nell’inserimento sociale, ad aprirsi agli altri e non a chiudersi in se stessi, evitando di essere emarginati da se e dagli altri, ma reagiscano e siano forti davanti alle prime difficoltà che si incontrano per la strada senza abbattersi davanti al proprio handicap. Lottare per superare i vari ostacoli che si incontrano per la propria strada senza doversi arrendere al primo ostacolo. Non si può pretendere di sperare che gli ostacoli successivi siano più facili da superare con una bacchetta magica se non viene superato il primo con le proprie forze e capacità. Con molto piacere colgo l’occasione per comunicarvi che la Commissione per l’integrazione sociale dei portatori di handicap da quando è stata creata, cioè dal 1 luglio 2005 ad oggi ha avuto e sta avendo buoni risultati. Così il signor Giuseppe Lurgio mi ha contattato, leggendo il comunicato della stessa Commissione che potete consultare visitando il nostro sito www.gio2000.it link servizi utili. Per contatti, coordinatore Luigi Palmieri e-mail: l.palmieri@gio2000.it fax: 096227674 cell. 328 32 16 896 Da lunedì al venerdì ore 17.00 alle 20.00 il sabato ore 10.30 alle 19.00
In passato, ma forse ancora oggi, le signore di un certo ceto sociale elevato avevano l’abitudine di tenere “Salotto” nei saloni delle proprie case. Invitavano cioè “a prendere il thè” amici di un certo rango, intellettuali, professionisti, industriali ed altri personaggi importanti. Era questa una maniera di socializzare e di tenersi su moralmente con conversazioni più o meno gradevoli, più o meno interessanti; era anche una maniera per uscire dalla solitudine che, ad una certa età, incombe su tutti. Oggi, lo sviluppo tecnologico consente di fare “salotto” senza muoversi dalle proprie abitazioni. Infatti, chi conosce il computer può mettersi in contatto on-line con altre persone, cogliendo così la possibilità di stringere amicizie, di conversare, di dare e ricevere conforto e suggerimenti. Sono incontri che si possono organizzare secondo le esigenze degli interessati, senza distinzione di sesso, di religione, di appartenenza politica e sociale. Questi incontri on-line trovano rispondenza, soprattutto nelle esigenze di persone anziane inabili e degli invalidi impossibilitati a muoversi. Queste categorie, per le loro particolari difficoltà di mobilità, sarebbero quasi tagliati fuori dalla convivenza sociale e vivrebbero le loro giornate in penosa e deprimente solitudine. E’ questo il pericolo che più frequentemente corrono i ciechi, soprattutto anziani, che incontrano maggiori difficoltà di aprirsi ad altri che non siano i propri familiari. Pertanto, mi pare assai lodevole e degna di rilievo l’iniziativa di Bruno Scola, cieco bellunese, di organizzare quello che egli significativamente chiama “salotto per tutti”. E’ un rapporto on-line che si stabilisce non soltanto fra ciechi. Infatti possono parteciparvi, e vi partecipano, anche vedenti, come ad esempio, esperti in informatica, psicologi, insegnanti e medici. Infatti il “salotto” ha lo scopo di dare a ciascuno le possibilità di manifestare i propri pensieri, le proprie esigenze, le proprie preoccupazioni e i propri bisogni. Si dà e si riceve conforto, suggerimenti, sostegno psicologico, aiuto a tenersi su moralmente. Sappiamo bene quale benefico effetto può avere la parola suasiva di un amico sul morale di una persona depressa. E nel “salotto” danno un valido contributo tutti i professionisti partecipanti. I medici danno anche il loro apporto professionale con chiarimenti e suggerimenti su possibili malesseri fisici. Gli psicologi mettono la loro arte al servizio di tutti coloro che, magari in preda a smarrimento, hanno bisogno di consigli e di orientamento sui diversi aspetti della vita vissuta. Gli esperti d’informatica si impegnano a dare maggiori chiarimenti e precisazioni sul più efficiente uso del computer. Quanto detto, non deve fare pensare ad incontri di mestizie e di sofferenze. Il “salotto” è anche, infatti, luogo di allegria, di serenità, di ascolto di musica e canti, di piacevoli conversazioni riguardanti il più e il meno i vari problemi di politica e di sport che quotidianamente interessano la società. Insomma, il “salotto” da a tutti una spinta a desiderare di continuare a vivere, nonostante le afflizioni fisiche e psicologiche che ciascuno può avere. Al “salotto”ben volentieri parteciperei anch’io se conoscessi l’uso del computer. A questo punto, mi domando se in Italia esiste altra iniziativa analoga a quella bellunese di Bruno Scola. E se non esiste, non potrebbero le sezioni provinciali o regionali della nostra Unione prendere l’iniziativa per fornire ai ciechi un così utile servizio sociale? Mi si potrebbe rispondere che l’Unione, da decenni, ha organizzato “Tirrenia” dove i ciechi, pagando, possono andare a soggiornare e fare utili incontri amichevoli. Non c’è dubbio che anche “Tirrenia” è un’iniziativa e una organizzazione abbastanza valida ma, comprensibilmente, “il salotto per tutti” è un’altra cosa.
Si trova a Firenze, all’interno del Parco delle Cascine, nell’area dell’Istituto Tecnico Agrario di via delle Cascine, 11. E’ un giardino fiorito, profumato e tattile che sarebbe simile a tanti altri se le specie botaniche presenti non fossero state selezionate per “accendere il buio” dei non vedenti. Gli studenti dell’Istituto tecnico agrario con i loro docenti Angela Baldini e Luciano Messana debbono avere pensato all’immensa bellezza dell’universo quando hanno progettato questo giardino. Anche chi non può vedere deve poterne godere, si sono detti. E la ricerca di un modo alternativo di percepire la bellezza li ha resi audaci e creativi. Ecco allora la nascita di un giardino odoroso e tattile che ha l’obiettivo di far percepire attraverso gli altri sensi ciò che non può essere visto con gli occhi. Non è difficile percorrerlo da soli, basta appoggiare la mano su una corda-guida per essere condotti dentro un mondo di sensazioni tattili e olfattive che evocano ricordi, pensieri e, talvolta, immagini lontane. Il giardino di forma trapezoidale è diviso in sette strisce, ognuna delle quali contiene più specie odorose. Si inizia con la lavanda e la canfora che accarezzano l’aria con il loro profumo familiare. La fresia e la tuberosa addolciscono il percorso prima di arrivare all’inebriante giacinto e all’aspra cedrina. A fare da colonna sonora è il rumore dell’acqua che zampilla da una vasca azzurra posta al centro del giardino. Intorno, un basso muretto di mattoni rossi ha ripreso l’antica funzione di condotta idrica che un tempo serviva per irrigare i campi dell’azienda. Il non vedente continua il suo cammino incrociando il timo e la melissa. E’ possibile rallentare l’andatura oppure fermarsi per afferrarne l’intenso odore. Ancora qualche passo ed ecco la nepitella, parente stretta, per familiarità olfattiva, delle prime due. Il rosmarino e l’erba cipollina sono rispettivamente nella terza e nella quarta striscia, mentre le bellissime kalanchoe sono nella sesta. Basta allungare una mano per sentire il turgore delle loro foglie del colore della giada che hanno la morbidezza del velluto. Accanto alle kalanchoe, i gerani odorosi condensano il profumo nelle foglie pelose color verde scuro. Sulle ultime tre strisce sono allineate altre specie odorose e fiori dai colori intensi destinati agli ipovedenti. Il percorso termina presso il pergolato di rose banksie disposte a grossi ciuffi bianchi e gialli. Per eventuali visite e approfondimenti contattare i docenti Angela Baldini e Luciano Messana presso l’Istituto Agrario di Firenze-Tel. 055362161- Fax 055360003
E’ passato qualche anno dalla fine del corso per assaggiatori d’olio di primo livello frequentato da sei giovani nonvedenti ed ipovedenti, ma l’associazione Oleum ed in particolare Gaetano Avallone, non ha dimenticato i giovani corsisti e la promessa che aveva fatto, di far conoscere le potenzialità dei ragazzi disabili visivi anche come assaggiatori di olio. Per questo motivo, un’allieva del corso, Antonella Improta, (non vedente socia della Sezione di Napoli dell’u.I.C.I.) è stata invitata a partecipare in qualità di uditrice, al panel di valutazione del Sirena d’Oro, prestigioso premio che si tiene tutti gli anni nella straordinaria penisola sorrentina. La manifestazione, che ha risonanza nazionale, attira ogni volta l’attenzione dei media e in questa occasione, anche Antonella ha goduto del suo momento di “celebrità”. Infatti Antonella, essendo stata invitata a rilasciare un’intervista per la trasmissione “La Vita in Diretta”, (RAI UNO), ha approfittato di questa opportunità per raccontare della splendida iniziativa messa in piedi dall’Istituto per la Diffusione delle Scienze naturali e dalla Sezione di Napoli dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti che ancora una volta, grazie al corso per l’assaggio, ha dato una dimostrazione concreta delle innumerevoli iniziative che possono incoraggiare l’inclusione sociale dei disabili visivi che se supportati dalle giuste tecnologie e da chi crede in loro, sono capaci di raggiungere qualsiasi obbiettivo… A meno che non si desideri diventare fotografi professionisti o esperti piloti! Diversi sono stati i premi assegnati durante la manifestazione : dalll’olio dal fruttato più intenso… Al miglior uliveto… ma credo che il riconoscimento più importante, anche se virtuale, va fatto al professor Avallone, che con la sua tenacia è riuscito a fare in modo che all’interno del panel di assaggiatori della Sirena D’oro, per la prima volta, vi sia un’uditrice, Antonella;… il professore, che ha scritto un articolo sul giornale Sorrentum, raccontando con parole commosse e sincere l’esperienza da lui fatta come docente presso l’Unione Italiana dei Ciechi, ha dimostrato, che quelle barriere del pregiudizio di cui parliamo spesso definendole insormontabili, possono facilmente abbattersi grazie alla nostra voglia di comunicare e di metterci in gioco.
Mi pare che l'esigenza di finanziare le nostre strutture sia una esigenza inderogabile e soprattutto lo è perchè i bisogni dei nostri iscritti aumentano sempre più. Mi pare che si è cercata una strada sbagliata e secondo il mio modesto parere rischiamo, ad essere ottimisti, una figuraccia. Il gigante ha riflettuto tanto, ha dato fondo a cotanto genio e ha partorito un topolino. Come si può pensare di unire l'immagine della nostra gloriosa associazione a dei numeri telefonici che notoriamente sono impopolare come gli 899? Non si conosce la diffusa tendenza a disattivare questi numeri da rete fissa? L'autority per le telecomunicazioni ha stabilito che le aziende devono disattivare questi numeri a tariffa speciale e renderli disponibili su richiesta degli utenti. L'Unione non è una macchina per far soldi, la nostra dignità non può essere calpestata in questo modo. Mi chiedo, se il famoso esperto a cui abbiamo regalato tanti soldi, ha prodotto questa idea geniale, cosa mancava a noi dirigenti per programmare un'attività di autofinanziamento dignitosa e qualificante? Cercherò, per quello che posso di portare all'atenzione della mia sezione questa problematica e spero tutti apriranno un serio dibatito in materia. Faccio appello ai giovani affinchè facciano sentire la propria voce e portino nella nostra organizzazione un soffio di speranza. Forse sono un inguaribile sognatore ma non riesco a rassegnarmi difronte alle tante mani tese che cercano il nostro aiuto, l'aiuto della nostra Associazione, di una Associazione che deve riscoprire lo spirito dei nostri padri, degli eroici dirigenti di questa regione.
Nessun giornalista o scrittore potrà mai descrivere la realtà che stiamo vivendo. Forse un musicista o più arti associate riusciranno in quest’intento. Se la realtà virtuale ci appare come un pericolo incombente, forse potrà rieducare i nostri sensi e far vivere emotivamente quel che la realtà “vera” ci propone nel quotidiano. Suono, visioni, odori, architetture, sensazioni tattili saranno l’anticipazione ad un sapere che la cultura dominante (si fa per dire) ha distrutto e distorto in un linguaggio ed una comunicazione privi di senso e fondamento. Resta solo il problema da risolvere da sempre: chi sarà a dirigere un nuovo possibile mondo con un obiettivo finale di bene comune? Ciò che sconcerta e rende impotenti è l’assenza di una logica e di una motivazione intelligente. Se il malaffare, l’assassinio, la violenza, la distruzione dell’habitat, la barbarie elevata a sistema hanno sino ad oggi avuto una possibile motivazione, cosa spinge oltre l’essere umano all’auto distruzione? Se obbedire e tollerare hanno avuto un senso o una ragione più celata dettata dalla sopravvivenza, la disobbedienza, il rifiuto categorico, la lotta sino all’ultimo sangue quale motivazione attendono ancora per esplodere? Se qualcuno vi chiede di gettarvi da un ponte, se vi chiede di uccidere vostro figlio, se vi spinge a sterminare la specie, voi obbedite? Eppure sembra proprio di sì! Se domani fosse l’ultimo giorno che ci è dato di vivere come specie, rubereste per l’ultima volta? Uccidereste il giorno prima un rivale? Dichiarereste guerra ad un altro paese? Decidereste un nuovo embargo? Stuprereste l’ultima volta una bambina? Beh… questa è la situazione che stiamo vivendo e forse fingiamo di non vedere né comprendere. Entriamo ora nello specifico. La confindustria ha rinnovato il suo vertice eleggendo una “donna”: Emma Marcegaglia. Chi avrà promosso e lottato per la quota rosa sarà soddisfatto, ma le donne, ultima speranza per un mondo migliore, possono avere una siffatta rappresentante? Vediamo cosa propone la realtà femminile del momento. L’assemblea presieduta da Emma Marcegaglia apre i lavori e saluta il prestigioso pubblico.La prima proposta all’ordine del giorno? Incredibile ma vero: è l’invito ad un minuto di silenzio per onorare la memoria dell’ultimo morto nello svolgimento del proprio lavoro.Non necessitano commenti poiché gli argomenti, successivamente trattati, parlano da soli. La nuova proposta della nostra presidentessa, in totale assonanza con il minuto di silenzio, è la detassazione dello straordinario. Non occorre un esperto per comprendere che un prolungamento dell’orario di lavoro significa un aumento del rischio, infatti dopo le prime 4 ore di lavoro la concentrazione cala e nelle altre due ore successive raggiunge il primo livello di pericolosità. I salari odierni, i più bassi a livello europeo, spingeranno i lavoratori allo straordinario e le morti sul lavoro aumenteranno. Naturalmente gradualmente l’orario di lavoro sarà quello comprensivo dello straordinario, quindi una parte della produzione e della sua programmazione saranno spostate verso lo straordinario e chi veramente ci guadagnerà è ovvio. Più ore di lavoro, meno spese fiscali, riduzione quindi del personale e se ci scappa il morto… beh di minuti di silenzio se ne possono fare molti e un discorso commovente è già stato sperimentato e collaudato. Ma è ora il momento di scaldare il pubblico e scatenare l’applauso; i fannulloni sono un’ottima stampella e i dipendenti dello Stato il bersaglio più ovvio. Bisogna punire i parassiti, gli assenteisti e naturalmente privatizzare e licenziare. Chi ha lavorato sia nel pubblico sia nel privato, sa benissimo che la raccomandazione e il parassitismo esistono in entrambi i settori, ma nel settore privato chi ne usufruisce maggiormente sono i dirigenti e sono pagati fior di quattrini per sfruttare e reprimere i livelli più bassi. Nello Stato o parastato, chiunque abbia intenzione di lavorare, viene brutalmente sfruttato e perseguitato. La dirigenza? La macchina della burocrazia è la risposta senza equivoci di sorta. Dividere i lavoratori privati e quelli pubblici è stato lo sport preferito dei politici e dei sindacati italiani. Procediamo ed eccoci al punto più assurdo e incompetente delle varie proposte. Si! Prproprio così! Ricordate un referendum famoso come quello sul nucleare? La volontà popolare a distanza di decenni trova una conferma di impotenza e scherno. Rieccoci ancora a discutere e programmare quattro centrali nucleari. Certamente le nuove tecnologie hanno reso molto sicure queste installazioni, ma ha un senso una scelta simile oggi? No! Proprio non c’è ancora una volta che il desiderio di speculare ed arricchirsi a scapito di tutti e ciò che sconcerta, come dicevo, è il coinvolgimento irresponsabile degli stessi sfruttatori e padroni compresa la loro prole. Le scorie radioattive non sono un problema risolto, il plutonio a fine lavori sarà o inizierà ad essere materiale quasi inesistente e a costi inimmaginabili e incolmabili dalle tasche del popolo. Qualche gola profonda ha già predetto una ubicazione per tali scorie, mentre le tasche di qualcuno già straricco e compromesso in mille attività si gonfieranno ancora di infamia e ricchezza. Qui possiamo aggiungere anche il progetto del ponte sullo stretto di Messina, l’alta velocità e quisquiglie del genere. Fiorellino finale è la proposta dell’indicizzazione della pensione e la prospettiva di contratti di lavoro individuali, creati su misura come un abito o una cassa da morto. Ovviamente Velrusconi e company erano in sala e si strofinavano le mani soddisfatti. Ora il minuto di silenzio è lontano, gli applausi sono il presente che ricordano il fallimento dell’evoluzione umana in cui le mani hanno avuto tanto iniziale importanza e prospettiva. Un frastuono convulso e un correre frenetico e insulso sono passi che calpestano un formicaio senza regole organizzative, senza ruoli specifici, senza Storia che non sia smarrimento e ipocrisia in cerca di un Dio che non può essere né il Dio delle formiche, né il Dio delle api, ne il Dio delle rondini, né il Dio di una sorgente che sfoci nel mare della spiritualità e del destino. Se qualcuno ha pensato che defenestrando la sinistra privilegiando, col voto utile, la destra più bieca ed oppressiva immaginabile, osservi il risultato e si cosparga il capo di cenere. Se la motivazione era ed è la paura o l’insicurezza, sappia che aveva ragione da vendere, ma ha sbagliato mira ed ha colpito l’unico possibile riferimento da cui pretendere un cambiamento e ruolo, e con cui riavviare un processo di rinnovamento e giustizia. L’errore continua e invece di aver paura di chi ci ha condotto vicinissimi al baratro, si continua a colpire chi può e potrà salvarci da una catastrofe imminente e certa. Solo il “diverso” potrà essere ricchezza e amico nel combattere chi sta guidando il mondo in una guerra infinita. Ciò che posso invitarvi a fare è vedere nel decreto sicurezza uno strumento a difesa di chi ha il potere e il denaro per proteggersi a scapito delle vostre esistenze di stenti e l’orrore di guerre fratricide. Chi semina grandine raccoglie tempesta e noi di grandine ne abbiamo seminata e ccontinuiamo alla grande. Se fossimo determinati e capaci di una minima strategia alternativa, uniremmo le forze emarginate ed a rischio di sopraffazione e sfruttamento, in un unico grande movimento per una dignità umana ormai svanita nell’individualismo ottuso e sterile di un razzismo, meschino ed insulso. La disperazioneconduce alla legge del più forte e del più adatto, quindi chi ha fame e esperienza di sopravvivenza sarà, in una lotta intestina tra miserabili, colui che avrà le possibilità più alte di riemergere vincente. Gli imperi sono sempre stati una parabola più o meno lunga, ma alla fine il crollo è stato inevitabile. Cosa può significare la caduta di un impero come quello anglo americano e israeliano non mi è dato di sapere, ma certamente pochi saranno i superstiti e non è detto siano i più ricchi e i padroni da sempre. L’Italia o ciò che ne rimarrà sarà attraversata da un ciclone di violenza e guerra all’ultimo sangue. Voi l’avrete voluto e votato, sia pure nell’incoscienza di farlo, ma i nodi vengono sempre al pettine e questa volta sono nodi scorsoi che ci stringono la gola per l'orgasmo finale di una perversione di massa. Una Chiesa ritorna al suo compito di secoli, la preghiera e la speranza saranno ancora nutrimento per sadici venditori di salvezza, ma chi è fuori dalla Storia non può essere altro che visione ed illusione, né più né meno di un miraggio nel deserto delle idee e delle Fedi. Un sincretismo religioso cerca spazio e unità, mentre la scienza calpesta e tradisce la sua funzione nel collassare infinito di energia in una forma che non sarà più Uomo.
Alla nuova fiera di Roma, nei primi giorni di marzo, si è svolto L'EUROPEAN DIVE SHOW, la più importante manifestazione espositiva europea interamente dedicata al mondo della subacquea. Fin qui tutto normale, è una cosa che accade ogni anno, un evento che attrae migliaia di visitatori. Ma questa volta, fra i vari stand ce n'era uno che ospitava un gruppo con una particolare voglia di raccontare a tutti la sua esperienza, per coinvolgere, interessare e rendere partecipe chiunque avesse la curiosità di stare a sentire. Due istruttori calabresi (Domenico Ietto e Roberto Crocco) e un'allieva di Trieste (Paola Sema), tutti non vedenti, appartenenti al Gruppo Subacqueo Paolano, erano a disposizione allo stand della FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee), perché volevano assolutamente che la gente sapesse quanto è bello immergersi e insegnare ad immergersi a persone prive della vista e quanto possono essere piene di inventiva e allo stesso tempo semplici le metodologie per raggiungere questi risultati, fino a poco tempo fa impensabili. Non solo diventare un subacqueo, ma poter mettere a disposizione degli altri le proprie capacità, ciò che con fatica e con gioia si è appreso, poter percepire l'emozione di un allievo che si immerge per la prima volta, quell'emozione mista a un po' di paura, che piano piano si trasforma in fiducia e felicità. E tutto questo grazie a qualcosa di estremamente semplice: un dialogo stabilito sott'acqua tra istruttore ed allievo con dei segnali tattili, due mani a contatto che si parlano. Dopo lunghi anni di sperimentazione sul campo, e dopo che i non vedenti li hanno adattati alle loro esigenze, usati e fatti propri, questi segnali sono stati riconosciuti a livello nazionale dalla FIPSAS che li ha presentati alla CMAS (Confédération Mondiale des Activités Subacquatiques) per l'approvazione internazionale. Più di 10 anni fa il professor Piero Greco, presidente del Gruppo Subacqueo Paolano, e l'architetto Giuseppe Bilotti, allora presidente provinciale dell'Unione Italiana Ciechi, hanno chiamato in causa il dio del mare, ideando il progetto Poseidon: con la collaborazione dell'IriFoR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) nazionale e del suo Presidente Prof. Tommaso Daniele e dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Cosenza. A Paola, in Calabria, hanno cominciato ad organizzare dei campi estivi durante i quali istruttori subacquei esperti insegnavano a non vedenti provenienti da tutta l'Italia e da vari paesi europei ad immergersi. I non vedenti si sono dimostrati entusiasti di riunirsi, di imparare e di comunicare le loro esperienze e gli organizzatori hanno iniziato a pensare che potevano trasformare i più competenti in istruttori, capaci di formare altri bravi subacquei, capaci di dare ciò che avevano ricevuto. Il tempo e l'esperienza a Paola hanno dimostrato che la figura di un istruttore con disabilità visiva non è solamente molto utile per insegnare ad un allievo neofita ad immergersi, ma risulta addirittura indispensabile quando si tratta di formare un istruttore vedente in modo che sia in grado di accompagnare in acqua una persona non vedente, spiegargli i metodi più consoni per farlo e per superare le eventuali difficoltà che questa persona può trovare nel suo percorso di immersione. Col passare degli anni ai campi gli allievi arrivavano sempre più numerosi e si ritrovavano ad imparare proprio da coloro che avevano dovuto affrontare i loro stessi problemi, ma che provavano anche le loro stesse sensazioni a contatto con l'acqua e che avevano le loro stesse esigenze per esplorare l'ambiente circostante: qualcosa di stupefacente per loro e per chi li seguiva. Da un iniziale limite di 15 metri di profondità per una persona affetta da disabilità visiva si è passati ai 20, e ora si pensa di raggiungere i 40, che è poi quello massimo fissato per le immersioni sportive dei cosiddetti normodotati. Per questo si sta approntando un corso di immersione profonda per non vedenti, perché gli istruttori formatori FIPSAS si sono resi conto della preparazione tecnica e acquatica che possono raggiungere i loro allievi, naturalmente dopo un'istruzione adeguata. Il gruppo è affiatato e approfitta di ogni occasione per riunirsi e organizzare uscite in acqua e immersioni, anche molto impegnative. A Pasqua c'è stato il Mar Rosso: un nuovo ambiente da esplorare per vedenti e non, istruttori e allievi, assieme. Si guarda lontano ci si immerge già con miscele ternarie (trimix,una miscela di gas composta da elio azoto ed ossigeno)e si spera che in un futuro prossimo, con l'ampliamento della formazione, il numero di istruttori cresca e la loro distribuzione sul territorio nazionale e internazionale sia più capillare. Gli scopi sono ambiziosi, ma realizzabili, e se un giorno formazione e segnali tattili saranno riconosciuti a livello internazionale, non sarà solo una vittoria personale per chi quest'idea l'ha portata avanti per tanti anni; sarà una conquista per tutti i ciechi, che potranno avvalersi di istruttori competenti dislocati in strutture sul territorio italiano e non, di metodi di insegnamento validi e testati da persone che si sono trovate nella loro stessa identica situazione e che hanno dovuto affrontarla prima di loro. Ragazzi romani, triestini, spagnoli, polacchi, che ora vengono a Paola, potranno immergersi anche nelle loro città, esplorarne i fondali marini, gustarne la particolare bellezza, con bravi istruttori vedenti o non, con un metodo standard di comunicazione: questo è il sogno di Piero Greco e Giuseppe Bilotti e di tutto il Gruppo Subacqueo Paolano, persone che si impegnano veramente e a fondo per realizzarlo.
11 15 giugno 2008 – Lago di Bilancino.
E’ stato presentato oggi, presso il Castello di Villanova a Barberino di Mugello, il XII Campionato di
vela Match Race per non vedenti che si svolgerà, per la prima volta in Toscana, dall’11 al 15
giugno sul Lago di Bilancino. Gli organizzatori e promotori dell’evento sono il Circolo Nautico Mugello e l’associazione Homerus
che per prima al mondo ha ideato un progetto che ha permesso a centinaia di non vedenti di
imparare a navigare a vela in maniera autonoma.
Questa dodicesima edizione del Campionato Nazionale di Vela Match-race open avviene in vista del Campionato Internazionale che si svolgerà sul Lago d’Iseo, nei mesi successivi, con la
partecipazione di squadre di atleti non vedenti provenienti da Israele, Australia, Spagna, Svizzera,
Nuova Zelanda, Francia e Italia, che hanno accolto e fatto proprio il metodo match-race di Homerus. Sul Lago di Bilancino si sfideranno 7 equipaggi di atleti provenienti da tutta Italia e dai
paesi d’Europa. Il 14 giugno è prevista la finale e domenica 15 giugno avverrà la premiazione presso la
diga dell’invaso di Bilancino alla presenza di Gianni Salvadori, assessore alle Politiche Sociali e allo Sport della Regione Toscana, di Paolo Cocchi, assessore alla Cultura, al Turismo e al Commercio
della Regione Toscana, di Riccardo Nencini, presidente del Consiglio della Regione Toscana, Paolo Ignesti, presidente del Comitato Provinciale di Firenze del CONI, il rappresentante regionale del
Comitato Italiano Paralimpico, Gian Piero Luchi, sindaco del comune di Barberino di Mugello, Vincenzo Frascà, presidente della Bilancino spa e Stefano Tagliaferro, presidente della Comunità
Montana del Mugello. Il campionato si svolgerà con gare match-race, ossia sfide successive fra 2
imbarcazioni. Per le regate verranno utilizzate le barche J-24 recentemente acquistate dal CNM.
Come ha voluto precisare Alessandro Gaoso, presidente di Homerus, i non vedenti in barca sono
completamente autonomi. La scuola, infatti, insegna loro a governare la barca utilizzando tutti i
sensi come la percezione della temperatura e della direzione del vento, i rumori dell’acqua e i
suoni della natura. Durante le regate il percorso di gara sarà segnalato con boe sonore. Gli incroci
tra imbarcazioni sono regolati da uno strumento acustico posto a prua dell’imbarcazione in prossimità delle luci di via che emette, con frequenza fissa dei suoni: di sirena, se l’imbarcazione
procede con le mure a dritta; e di clacson, se procede con le mure a sinistra. Le luci di via sono
tradotte in “suoni” di via, mentre le luci rosse e verdi sono “viste” dai ciechi, grazie ai loro suoni.
Danilo Malerba, uno degli atleti che parteciperà al Campionato, ha voluto precisare che non è comunque facile per un non vedente governare una barca a vela, perché gli stimoli da tradurre
sono molti, dal vento, alla percezione della barca, ai suoni delle boe e dei segnalatori a bordo. Ci vuole coraggio, ma il risultato è meraviglioso. La manifestazione si svolgerà con il patrocinio della Presidenza della Repubblica, della Regione Toscana, della Comunità Montana del Mugello, del Comune di Barberino di Mugello, del Comune
di Borgo San Lorenzo, della Federazione Italiana Vela, del Comitato Italiano Paralimpico, dell’Unione Italiana Ciechi, della Fondazione Carlo Marchi, della Bilancino S.p.A., della Società
della Salute del Mugello, del Rotary Club del Mugello e del Lyons Club di Firenze. Per informazioni:
Sara: 340 8565242
e-mail: circolonauticomugello@gmail.com